Sergio Ricossa

Io, liberale pentito

(1999)

 


 

Nota

Questo è un articolo pubblicato su Il Giornale del 12 Maggio 1999. Sergio Ricossa è un economista di formazione liberale che, come testimoniato da questo scritto, è arrivato a posizioni molto vicine ad una vera e genuina anarchia.

Questo testo è stato segnalato dall'amico Mauro Gargaglione.

 


 

Cinquant’anni fa mi pareva sufficiente dichiararmi, a richiesta, liberale einaudiano. Allora esisteva pure un partito liberale italiano, al quale credo di essere stato iscritto e del quale ho perso le tracce. L’ingenuità della giovinezza mi impediva di pensare che la libertà fosse più stuprata delle donne e che il suo stupro fosse il più impunito dei delitti; mi impediva di pensare che il voto democratico fosse, il più delle volte, fra le forme più truffaldine di abuso contro gli elettori.

A poco a poco mi convinsi che c’era da vergognarsi a portare l’etichetta di liberale, ed era mortificante precisare: liberale einaudiano. Il fatto era che il povero Luigi Einaudi, sconsolato scrittore confesso di "prediche inutili", riceveva omaggi informali soprattutto da coloro che in politica si impegnavano a realizzare il contrario delle sue idee. Scoprii che Luigi Einaudi era stato eletto presidente della Repubblica da partiti che desideravano sbarazzarsi di lui: "promuovere per rimuovere" (si sapeva che egli sarebbe stato un presidente neutrale). Oggi mi pare di intuire che, se l’Italia beatificherà un Einaudi, non sarà il padre Luigi, bensì il figlio Giulio, filocomunista, recentemente scomparso.

Quanto ai partiti, mi resi conto che era tempo perduto bazzicarli, se non si mirava a una carriera politica redditizia al proprio portafogli e al proprio gusto di potere. Trovai le etichette dei partiti spudoratamente ingannevoli, nella pessima democrazia italiana. All’estero, poco meglio. I liberal anglosassoni non sono, o non sono più, della mia famiglia. Negli Stati Uniti scovai un Libertarian Party, anarco-individualista (all’incirca), e interessante perché parecchi suoi simpatizzanti consigliano di astenersi dal votarlo. Infatti essi consigliano di astenersi dal votare qualunque partito.

Un partito libertario è una contraddizione in termini. Lotta per il potere allo scopo di non esercitarlo. Cerca di impossessarsi dello stato per sopprimerlo. Si organizza per disfare ogni organizzazione in nome dell’anarchia. Al massimo, un partito libertario può essere, per coerenza, un centro di informazioni sull’anarco-individualismo: uno dei tanti centri del genere, perché l’anarco-individualismo non ha un pensiero unico. È pensiero aperto, con una evoluzione ramificata in sempre nuove varianti. Ovviamente, fra queste varianti non c’è l’anarco-collettivismo della tradizione europea continentale, e tanto meno l’anarco-terrorismo, le cui bombe fanno stragi di innocenti. Sono però ammissibili altre varianti vecchie e nuove, a scelta.

Se si ammette che gli individui sono diversi (ciascuno unico), si deve concedere che ognuno sia anarchico a modo suo. Wendy McElroy ha scritto: "Come scelta personale, la prostituzione non è uno stile di vita che vorrei mai intraprendere o consigliare. (Ma) come femminista non posso tralasciare le voci di donne che dicono che vogliono davvero lavorare come prostitute più di quanto possa tralasciare le voci di donne che dicono che sono state forzate ad assumere quello stile di vita e ne sono state danneggiate. (Sovente) il sesso nel quale sono coinvolte le prostitute è più onesto, aperto e decente di quello praticato dal presidente degli Stati Uniti". Si può condannare moralmente quanto noi giudichiamo un vizio, e tuttavia chiederne la libertà di esercizio, se esso non offende diritti altrui. Si può e si deve.

E se all’opposto ciò offende diritti altrui? A questo punto il libertario si trova alle prese con la sua massima tentazione: appellarsi a una forza pubblica punitiva. In altre parole: accettare che lo stato, il grande nemico, nasca e si giustifichi addirittura come unico valido difensore della libertà. Sappiamo che storicamente non è così. Nel momento in cui esso ci chiede il monopolio della forza, ci priva della libertà all’autodifesa. Ma, come scrive J. Neil Schulman, "il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà richiede , in pratica, il diritto all’autodifesa". Uno dei suoi libri si intitola significativamente Self control, not gun control (Centurion Press).

Il secondo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti ha finora trattenuto quel governo dal disarmare le famiglie. L’Europa è un altro mondo. Da noi i governi non si fidano delle famiglie. Le angariano con la scusa di difenderle, ma non le difendono. (Singolarissimo è il caso della Svizzera, dove il cittadino si porta a casa le armi del servizio militare). Schulamn fa osservare che l’America ha uno dei sistemi politici più stabili nel mondo, e il motivo è che un potenziale Lenin, un potenziale Hitler, saprebbe che sconfiggere o asservire l’esercito e la polizia non gli basterebbe; gli resterebbe da fare i conti con la gente comune capace di resistere armata. (Il caso svizzero porta ad analoga riflessione).

Certi argomenti non sono nemmeno discussi in Italia. Qui da noi "stato" si scrive con la S maiuscola e si finge di considerarlo una divinità, ignorando che è una mera finzione giuridica. Lo stato sarebbe nulla senza gli uomini politici che lo animano, e costoro non sono superuomini. Sono uomini come gli altri, ma più pericolosi perché dotati di più potere, fra cui il potere fiscale di portar via e usare il denaro degli altri, a palate. Lo fanno, dicono, per "il bene comune". Però l’unica definizione di bene comune e di interesse generale è tautologica: è quel che fanno i politici al potere, qualunque cosa facciano, compreso il rubare ai poveri per regalare ai ricchi.

Se li eleggiamo si vantano di "rappresentare il popolo", altro esempio di linguaggio ingannatore. Il popolo di cui parlano è quello dei loro clienti conniventi, che partecipano alla spartizione del bottino. I fatti storici dimostrano che è minimo il grado di democrazia quando è massima la percentuale dei voti raccolti dai governanti: 99,9% del totale. Sono le percentuali del comunismo sovietico. I dissidenti sono stati ammazzati o rinchiusi nel gulag. La differenza è che l’anarchico individualista non vota se non vuole votare, e non vuol votare se non è convinto che il voto (per eccezione infrequente) assesti una botta in testa al potere politico.

Nemico del potere in sé, il libertario si preoccupa anche del potere economico. Non si azzarda mai a sostenere che il capitalismo sia buono o cattivo. Se interrogato in merito, risponde: dipende. C’è un capitalismo talvolta buono, un capitalismo così così, un capitalismo cattivo o pessimo. Anzi, poiché il libertario è individualista, egli bada alle persone in cui il capitalismo si incarna. C’è il capitalista talvolta buono, quello così così, quello cattivo o pessimo (ladro, truffatore, farabutto, eccetera). Ma l’esperienza storica insegna: il potere economico è tanto più pericoloso quanto più si allea ed è connivente col potere politico o, peggio che mai, col potere militare.

Di qui l’avversione del libertario per il socialismo e il comunismo, in cui i due poteri, l’economico e il politico-militare, si integrano al massimo, si sommano e fatalmente diventano liberticidi. L’anarco-individualista non è asociale per principio. La contrapposizione individuo-società è stupida. Ogni società è formata da individui, che decidono liberamente di collaborare fra loro con vantaggio di tutti. La società è al servizio dell’individuo, non viceversa. Dello stato si può fare a meno (o si può ridurlo al minimo), della società, no, salvo che si rinunci agli enormi vantaggi della divisione del lavoro, così bene illustrati da Adam Smith. Hayek ha completato Smith osservando: "Siccome ogni individuo sa poco, e in particolare raramente sa chi di noi sa fare meglio, ci affidiamo agli sforzi indipendenti e concorrenti dei molti, per propiziare la nascita di quel che desidereremo quando lo vedremo". Dunque, il libertario ha fiducia nella società libera. Il socialista non ha fiducia nella società, ritiene che essa vada guidata dal di fuori, da un pianificatore, una "esperta" autorità, un controllore al di sopra dei controllati.

Così si avvia il circolo vizioso: chi controlla i controllori, e i controllori dei controllori… Dal circolo vizioso si esce solamente se si ammette il diritto della società di autogovernarsi. Ciò implica la tolleranza e il rispetto reciproco. Implica inoltre il diritto di secessione, come soluzione estrema per conflitti interni altrimenti insanabili. Implica il decentramento di tutto, e un estremo decentramento fiscale. Il libertario vuole il fisco in mano ai contribuenti, dopo aver ridotto la pressione fiscale al minimo (la prima condizione esige la seconda, e viceversa). È contro il non-profit ingannatore: attività in teoria senza fine di lucro, in pratica basate sul potere di costringere gli altri a cedere una parte del loro lucro legittimo. La beneficenza obbligatoria è "maleficenza".

Il libertario sceglie la sua patria e non vi nasce casualmente. Scegliere una patria vuol dire però accettarne le regole volontariamente adottate dai cittadini. Reciprocamente, i cittadini aprono le porte di casa, fino ai limiti della capienza, a chi si impegna a rispettare quelle regole, che sono in essenza regola di tolleranza. E sia chiaro: le regole di tolleranza non valgono verso gli intolleranti.