Gian Piero de Bellis

La nuova tratta degli schiavi

(Ottobre 2016)

 


 

Quando abitavo in Francia, a Lyon, e frequentavo un corso di Ricerca Documentaria, un giorno arrivò un docente senegalese per una presentazione. Alla fine dell'incontro si sviluppò una discussione tra uno studente della Costa d’Avorio e il docente senegalese. Lo studente gli esponeva la visione convenzionale negli ambienti di sinistra e cioè quella dell’Africa povera perché sfruttata dalle potenze imperialiste fin dai tempi della tratta degli schiavi. In quella occasione, il docente senegalese disse qualcosa che ignoravo e che mi è rimasto impresso nella memoria. Faceva notare che la tratta degli schiavi sulle coste del Senegal era stata resa possibile perché altri africani catturavano i neri nelle zone interne e li portavano sulla costa dove li vendevano agli schiavisti bianchi. Questi ultimi non si avventuravano mai nell’interno conoscendo i rischi e i pericoli (in termini di malattie e attacchi a sorpresa) che avrebbero corso.
In sostanza, ci faceva capire, non si trattava di bianchi sfruttatori che assoggettavano poveri neri, ma di padroni di vario colore (bianchi, neri, mulatti) che schiavizzavano persone indifese.

La storia ha per secoli ripetuto questo schema, con semplici variazioni.
Anche ai giorni nostri, le navi dei padroni si avvicinano alle coste di un paese e recuperano esseri umani che entrano nella nuova tratta degli schiavi. Questa affermazione può apparire, a molti, incredibile o addirittura assurda.
Che si tratti di una nuova tratta degli schiavi, è infatti negato con estremo vigore sia dal fervente umanitario che sottolinea solo lo sforzo dei paesi dell’Europa occidentale di salvare vite umane, sia dal fervente nazionalista che giudica questi nuovi arrivati solo come dei soggetti che attenteranno al suo benessere e alla sua sicurezza. Quindi, tutt’altro che degli schiavi, né per gli uni né per gli altri. Ma o dei poveretti da aiutare o degli avvoltoi da scacciare.

Il fatto di avere queste visioni diametricalmente opposte ritenendole, ognuno dalla sua parte, vere, deriva probabilmente dal fatto che ciascun individuo filtra la realtà attraverso le sue specifiche lenti ideologiche, per cui vede solo quello che vuole vedere, ingigantisce certi dati, ne trascura bellamente altri e non sente ragioni se non quelle dettate dal suo credo ideologico. Per cui i profughi, i migranti, gli extra-comunitari o che dir si voglia, o sono tutti santi o sono tutti diavoli.
Questo è, in sostanza, il succo delle conversazioni da bar o dei post sui social networks. Pochi offrono visioni articolate e proposte sensate.

L’ipotesi che qui si sostiene invece è che abbiamo a che fare con una nuova tratta degli schiavi, adattata ai vincoli culturali del secolo corrente che aborrono l’applicazione di catene di ferro ben visibili, ma accettano, attivamente o passivamente, la presenza di vincoli politici, lacciuoli burocratici, muri ben solidi, luoghi di detenzione chiamati centri di accoglienza, e via discorrendo.

Le funzioni adempiute da questa nuova tratta sono molteplici e varie, e fanno comodo a gruppi differenti (e anche antagonisti) di individui. Vediamo di elencarle:

- Funzione produttiva. In Europa, soprattutto nei paesi più ricchi, molti lavori pesanti e faticosi, sono stati da decenni affidati a persone provenienti dall’estero. In Germania, ad esempio, questo è stato il caso dei Turchi nelle fabbriche metalmeccaniche, in Belgio degli Italiani che lavoravano in miniera, o a Torino dei meridionali che erano occupati alla Fiat. Attualmente, l’espansione su territori più vasti di una condizione di benessere materiale ha fatto sì che le persone disponibili per questi lavori provengano da un più distante Sud. Adesso solo gli africani e taluni asiatici sono disponibili a raccogliere pomodori per un salario di fame e a svolgere molti altri lavori che i locali non sono più disposti a fare, soprattutto non a quel salario, per così tante ore e in condizioni di vita così disagiate. Lavoratori del Sud del mondo si trovano anche in molte fabbriche e fabbrichette del Nord Italia, dove il padroncino sbraita contro gli extracomunitari un giorno perché sono dei fannulloni e l’altro giorno perché rubano il lavoro agli italiani. Quanto ad essere dei fannulloni, i cosiddetti extra-comunitari sono, in Italia, il 5,8% della popolazione ma rappresentano l’11% della forza lavoro. Sul rubare il lavoro agli italiani, vale quanto detto più sopra.

- Funzione affaristica. Gli immigrati rappresentano una realtà su cui fare affari colossali in tutte le varie fasi del ciclo del loro esistere e muoversi. Già la partenza verso nuovi lidi comporta un salasso da pagare a persone senza scrupoli che sfruttano lo stato di necessità o la voglia di evadere da una realtà non più accettabile (fuga da guerre o semplice ricerca di migliori prospettive di vita). Il posto su una barca malandata che potrebbe affondare in qualsiasi momento può arrivare a costare dai 700 fino ai 2300 euro. In alcuni casi i costi sono ancora più alti. Scrive una giornalista inglese: Bayin Keflemekal, 30 anni, infermiera dall’Eritrea, ha pagato circa 6.500 euro solo per raggiungere la costa libica. In sostanza, per i proprietari di automezzi e di barconi in Africa il traffico di esseri umani rende molto ma molto di più che una attività di trasporto merci o la commercializzazione del pescato. Un altro affare è rappresentato per gli stati dal pattugliamento del Mediterraneo per cui si ricevono fondi dell’Unione Europea. Il pattugliamento porta sì al salvataggio di persone su barconi malandati, in avaria o in pericolo di affondare, ma questa è solo la premessa necessaria per passare al successivo anello della catena del malaffare. Varie mafie si sono formate sulla base di procedure burocratiche che prevedono la schedatura e l’accoglienza (leggi: reclusione) dei migranti. Come risulta da una conversazione telefonica tra persone implicate nel business della cosiddetta accoglienza migranti « Tu hai idea di quanto guadagno con gli immigrati? Il traffico di droga rende di meno » (Salvatore Buzzi). In sostanza, l’immigrato come merce da utilizzare per spillare soldi a tutti con il pretesto dell'intervento umanitario.

- Funzione politica. La politica, che riduce tutta la realtà nel quadro dello stato assistenziale-stato nazionale-stato territoriale, consente e alimenta questi comportamenti di sfruttamento e di rapina nei confronti degli immigrati, in sostanza questa nuova tratta degli schiavi. Il portatore dell’ideologia nazionalista (alla Salvini) utilizza gli immigrati come uno spauracchio per raccogliere consensi a buon mercato. Dipinge tutti gli immigrati come persone violente (alcuni lo sono ma non certo tutti), che rigettano l’identità italica (perché poi dovrebbero accettarla), un pericolo per le donne locali (molti di loro sono invece qui con tutta la famiglia) e via discorrendo. L’ideologia nazionalista è una ideologia grettamente egoista (promuovere chiusure) e apertamente terrorista (suscitare paure) che tende a rendere difficile per l’immigrato trovare un lavoro, avviluppandolo in una serie di vincoli e divieti burocratici, per cui diventa carne da macello per il caporalato agricolo e per il padronato industriale. Così la funzione produttiva (di sfruttamento) si salda con la funzione politica (di manipolazione). Padroncini e politicanti lavorano quindi tacitamente in pieno accordo. Per quanto riguarda il portatore dell’ideologia pseudo-umanitaria (alla Boldrini) per il quale lo stato deve intervenire a salvare e proteggere gli immigrati, egli è la foglia di fico o la patina fintamente progressista che serve a coprire tutto l’affarismo che si è sviluppato intorno ai migranti. In sostanza, destra e sinistra, se così vogliamo ancora chiamarle, sono le due versioni idiote e criminali che permettono a questa nuova tratta degli schiavi di continuare al fine di ricavarne benefici in termini politici ed economici, per loro e per i loro compagni e amici.

Allora, come se ne esce da questa situazione di disumanità demenziale e di immoralità allucinante?

La via d’uscita è la fine della sovranità territoriale degli stati che, come tanti grandi e piccoli Al Capone, si arrogano il diritto di estrarre il pizzo e dominare tutti i soggetti che vivono all’interno di un certo territorio. Questo dominio territoriale monopolistico non è esistito eternamente (solo a partire dal trattato di Westfalia, 1648) e non è un requisito imprescindibile per una organizzazione sociale civile. Tutt’altro. Con la nascita degli stati nazionali la violenza e le aggressioni si sono moltiplicate in quanto il potere di opprimere e di sfruttare si è ancor più organizzato e strutturato.

Con la fine degli stati territoriali sarebbe possibile far emergere, attraverso la costituzione di comunità volontarie, due semplici requisiti di civiltà:

- la libertà di azione (laissez-faire) e di circolazione (laissez-passer) per tutti e dovunque;
- il principio di non-aggressione che significa rispetto delle scelte e degli spazi personali di ciascuno.

A quel punto, politicanti, affaristi, sfruttatori e pseudo-umanitari non troverebbero più nessuno che dia loro retta e le loro ideologie apparirebbero come bocconi indigesti che nessuno vorrà più mandar giù.
E si tornerà allora, finalmente, a prendere in esame la realtà vera, fatta di esseri umani, delle loro simpatie, empatie, affinità e volontà.

 


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