Gian Piero de Bellis

La territorialità come premessa necessaria del territorialismo

(Luglio 2012)

 


 

Nel ragionamento scientifico si fa largo uso di affermazioni note come generalizzazioni. Il sillogismo, ad esempio, parte da una generalizzazione estremamente fondata (postulato) per arrivare ad una conclusione altrettanto solida. L'esempio più noto è:
- Tutti gli esseri umani sono mortali
- Socrate è un essere umano
- Socrate è mortale.

L'esistenza di un solo caso che inficiasse la generalizzazione, distruggerebbe la validità della conclusione. Famoso è l'esempio, introdotto da Karl Popper, della scoperta di un cigno nero (black swan) che, chiaramente, compromette la generalizzazione, ritenuta precedentemente del tutto valida, che tutti i cigni sono bianchi.

Una generalizzazione anche se fondata sulla conoscenza di un enorme numero di casi che la confermano rimane comunque una affermazione scientifica soggetta sempre a possibile falsificazione (e quindi passibile sempre di essere contraddetta e superata).

Le generalizzazioni che si basano su un numero ridotto di osservazioni sono soggette ad un alto tasso di falsificazione. Immaginiamo, ad esempio, una tribù dell'Amazzonia che pratichi il cannibalismo e che la tribù accanto condivida le stesse abitudini alimentari. È allora molto probabile che un membro della tribù, in vena di riflessioni, ritenga che questo costume sia parte integrante della natura umana. Il contatto con altre realtà gli distruggerebbe immediatamente questa sua convinzione.

Queste brevi considerazioni introducono a un tema sempre molto attuale e cioè al fatto che molti, talvolta, effettuano ardite generalizzazioni attribuendo, del tutto impropriamente, alla natura umana quelli che non sono altro che costumi di gruppo, elaborazioni culturali prodotte all'interno di una società o ideologie propagandate dall'élite al potere.

Questo è ad esempio il caso della territorialità.
In un vocabolario italiano, sotto la voce “territorialità” troviamo la seguente definizione: “Condizione, carattere dell'essere territoriale.”
E, sotto la voce “territoriale” abbiamo: “di, appartenente a un territorio.” (Il Nuovo Zingarelli, 11 edizione)
In sostanza la territorialità è il sentimento e la manifestazione di appartenenza ad un certo territorio da parte di un essere umano.

Negli anni '60 del secolo scorso la territorialità intesa come l'esistenza di un istinto territoriale, sia negli animali che negli esseri umani, fu oggetto di trattazione da parte del commediografo ed etnologo Robert Ardrey in un testo diventato famoso, dal titolo: The Territorial Imperative (1966).
Dopo una lettura del testo, le obiezioni che si possono fare alla posizione espressa da Ardrey sono sostanzialmente tre:

  1. Equiparare animali ed esseri umani sulla base del semplice istinto è piuttosto riduttivo in quanto l'essere umano è dotato anche di una componente culturale fatta di pratiche e di abitudini apprese talmente sviluppata che, già alla fine del '500, Michel de Montaigne non poteva fare a meno di rimarcare che “Il costume è una seconda natura, e non meno potente.” (“L'accoutumance est une seconde nature, et non moins puissante.” Essais, 1588).
  2. Attribuire a tutti gli animali un istinto territoriale non è del tutto vero ed è lo stesso Ardrey a riconoscerlo, nello stesso testo, quando fa riferimento al jackdaw (l'uccello taccola, della famiglia dei corvi) e al platy (un pesce tropicale) come animali non territoriali. E si può benissimo aggiungere che tutti gli animali che migrano non sembrano mostrare nessun attaccamento permanente ad uno specifico territorio.
  3. Assegnare un istinto territoriale a tutti gli esseri umani rappresenta una generalizzazione talmente forte da essere difficilmente sostenibile a meno che non escludiamo dalla razza umana tutti i migranti, gli esploratori, i viaggiatori instancabili, i cosmopoliti, gli sradicati, gli avventurosi, gli avventurieri e via discorrendo, senza dimenticare naturalmente gli scienziati senza fissa dimora, come il matematico Paul Erdös che si spostava di casa in casa, presso amici e conoscenti, disponendo solo della sua valigia e dei suoi effetti personali.

In sostanza, il concetto di territorialità come istinto proprio alla natura umana non sembra reggere nemmeno ad una analisi superficiale. Ma dal momento che esso viene sostenuto da taluni con profonda convinzione sorge il dubbio che queste persone stiano facendo riferimento a qualcosa di completamente diverso. E, sotto il concetto di territorialità e di territorio, stiano in sostanza alludendo al concetto-principio di non-aggressione che è relativo all'individuo, al suo spazio personale (che non ha nulla a che fare con un vasto territorio popolato da molte persone) e ai frutti del suo lavoro.

Ad esempio, quando una persona venuta da non so dove (potrebbe essere anche il mio vicino) invade il campo che ho lavorato per mesi e si appropria dei frutti, non c'è bisogno di invocare l'istinto territoriale per affermare che io sono incline a difendere me stesso e quanto mi appartiene.
Infatti, l'aggressione potrebbe venire anche da parte di uno della famiglia che risulti essere, anche lui, proprietario, in parte, del terreno, e che vuole appropriarsi di tutto il raccolto.
In tutti questi casi non è in gioco il territorio e l'istinto territoriale, ma qualcosa di ben altro: l'individuo e la voglia di difendere la sua libertà e la sua dignità in quanto produttore.

Fare chiarezza su questo punto è essenziale perché coloro che accettano l'istinto territoriale come componente innata della natura umana e come elemento di cui tenere conto per qualsiasi organizzazione sociale, sono poi portati ad accettare, consapevolmente o inconsapevolmente, attraverso manipolazioni culturali più o meno sottili, l'esistenza del territorialismo (la sovranità territoriale monopolistica) come una realtà “naturale” del vivere civile. E invece il territorialismo non è altro che la base indispensabile del banditismo.

 


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