Gian Piero de Bellis
Capitalismo & Statismo : la strana coppia
(Settembre 2015)
"La strana coppia" è il titolo di una commedia di Neil Simon, divenuta poi un film di successo (1968) interpretato da Walther Matthau e Jack Lemmon. Racconta le vicende di due amici, dal carattere completamente diverso, che, a seguito di una serie di circostanze, si trovano a condividere lo stesso appartamento nel corso di alcuni mesi.
Come molti sanno, la vita in comune ha spesso l'effetto di modificare le personalità degli individui rendendoli per certi aspetti più simili tra di loro. Sembra che anche gli animali domestici arrivino ad assumere alcuni tratti ed atteggiamenti del padrone o delle persone che hanno cura di loro.
In maniera similare si potrebbe avanzare l'ipotesi che fenomeni storici della stessa epoca, anche se sembrano possedere all'origine caratteristiche distinte se non addirittura contrapposte, possono, nel corso del tempo, subire modifiche che li rendono abbastanza simili e in sintonia l'uno con l'altro.
Questa premessa serve per introdurre l'ipotesi che le due ideologie del capitalismo e dello statismo, sviluppatesi quasi contemporaneamente nel corso degli ultimi secoli, hanno finito per assumere tratti e comportamenti similari e ad assistersi l'un l'altro.
La tesi non è nuova, considerato che per Marx lo stato non è altro che il comitato d'affari della borghesia affaristica. Quindi, nella sua visione, non si tratta solo di somiglianza e appoggi reciproci ma di sintonia assoluta fin dall'inizio.
Tuttavia, si potrebbe sostenere che Marx era prevenuto contro la borghesia e aveva elaborato uno schema di sviluppo sociale, economico e tecnologico nel quale la borghesia non aveva più alcun ruolo da giocare nella futura società senza classi. O, più precisamente, non vi era posto né per lo stato né per il capitalismo, fenomeni entrambi da porre sotto il segno della borghesia (piccola e grande).
Ad ogni modo, anche se accantoniamo Marx e le sue idee, vi sono fatti precisi e affermazioni di autori che nulla hanno a che vedere con Marx, che suffragano l'esistenza della strana coppia Capitalismo & Statismo. Vediamone alcuni.
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Proprietà (formazione, accrescimento, difesa)
È indubbio che la proprietà dei beni naturali (terreni, boschi, corsi d'acqua, ecc.) nasce all'ombra del potere del più forte ed è assicurata dall'uso (reale o potenziale) della forza. La proprietà capitalistica in particolare sorge dalla dissoluzione dei feudi e dall'esproprio delle terre comuni e delle proprietà della Chiesa. In tutto ciò appare l'alleanza tra il nuovo potere politico (i governanti dello stato nazionale) e il nuovo potere economico (la nascente borghesia). Ma a parte questi fenomeni di abuso di potere nel sorgere e nel concentrarsi delle proprietà, va aggiunto che lo stato di diritto, registrando e garantendo la proprietà, permette lo sviluppo dell'attività economica e il godimento legittimo dei relativi frutti. A tal punto che alcuni autori come von Mises attribuiscono allo stato un ruolo indispensabile (“Per il liberale, lo stato è una assoluta necessità ...” - Liberalism, 1927) e altri come de Soto (The Mistery of Capital, 2000) vedono nell'assenza di un garante (non burocraticamente oppressivo) della proprietà un ostacolo allo sviluppo del capitalismo (inteso come intraprendenza economica e dotazione di credito a fronte di una proprietà riconosciuta).
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Mercato (nazionale, regolato e protetto)
Il capitalismo nasce e si sviluppa con la fine dei particolarismi feudali e l'affermazione dello stato nazionale e del mercato interno. Stato nazionale e Mercato nazionale sono fenomeni del tutto associati. L'esistenza di un mercato mondiale è stato un episodio temporaneo del capitalismo, conseguenza del fatto che l'Inghilterra e la Francia erano, a quei tempi, potenze mondiali. Tanto è vero, che una volta che esse hanno cessato di esserlo, anche i loro capitalisti si sono ritirati per lunghi decenni entro i confini nazionali e hanno domandato l'erezione di barriere doganali. Già Adam Smith aveva messo in luce il carattere fondamentalmente protezionista dei capitalisti (“Mercanti e manifatturieri ...sembrano essere stati i primi inventori di quelle restrizioni all'importazione di beni dall'estero che assicurano loro il monopolio del mercato interno.” (La Ricchezza delle Nazioni, Libro IV, Capitolo II). Ci sono volute due guerre mondiali per spingere i governi europei ad un abbattimento delle barriere politiche ed economiche, fenomeno visto inizialmente con orrore dagli imprenditori italiani (Confindustria) che cercarono di contrastare in tutti i modi le misure di apertura degli scambi portate avanti dal ministro del commercio estero Ugo La Malfa.
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Imperialismo e militarismo
Il capitalismo trionfante è legato ad uno statismo trionfante. Espressione massima di questo statismo trionfante è l'imperialismo che vede protagoniste tutte le potenze capitalistiche europee (Inghilterra, Francia, Germania, in primo luogo). Queste tre potenze si spartiscono l'Africa e sono presenti (Inghilterra e Francia) in Asia. Abbiamo anche il caso di un capitalista (Leopoldo II del Belgio) proprietario di un intero paese (il Congo). E quello di un altro capitalista (Cecil Rhodes) che ha dato il suo nome ad uno stato in Africa (Rhodesia). In tempi più recenti, il paese espressione massima del capitalismo (gli USA) è divenuto il maggiore esponente di una politica imperiale, sostenuta da un massiccio apparato militare. Il presidente Eisenhower, nel suo messaggio di fine mandato, ha qualificato l'intreccio tra stato e capitalismo come il “complesso militare-industriale” e ha messo in guardia i suoi concittadini dalle possibili perverse conseguenze di questo connubio.
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Produttivismo e parassitismo
I capitalisti, utilizzando le scoperte scientifiche e le applicazioni tecnologiche hanno messo in moto, attraverso i lavoratori, una macchina produttiva sempre più efficace. Questo produttivismo avrebbe dovuto portare a due conseguenze (a) un abbassamento progressivo dell'orario di lavoro (b) un innalzamento progressivo della remunerazione del lavoro. Ma tutto ciò è alieno alla mentalità e al comportamento dei capitalisti (tranne eccezioni più uniche che rare come Robert Owen in Scozia e Henry Ford negli Stati Uniti). Essi hanno preferito che lo stato intervenisse attraverso l'assistenzialismo e il parassitismo dei lavori "socialmente inutili" per garantire l'esistenza di una massa di consumatori. A queste pratiche i liberali alla Keynes hanno conferito poi rispettabilità accademica. Non per nulla Keynes è (giustamente) visto come colui che ha salvato il capitalismo dalla rovina di un produttivismo incapace di trovare sbocchi alle merci.
L'esistenza di questa strana coppia è chiaramente negata da tutti coloro che costruiscono i loro schemi ideali senza tenere alcun conto della realtà storica. Essi attribuiscono a priori determinate caratteristiche a talune formulazioni concettuali e, su quella base, distinguono in astratto un fenomeno dall'altro (ad es. il fascismo dal comunismo) anche qualora, a un esame attento, le differenze di fondo sono trascurabili. Una critica che si può fare, ad esempio, al Mises della Human Action è di costruire uno schema aprioristico atemporale dell'economia e della sua dinamica, senza un riferimento preciso all'esperienza storica, a differenza della Wealth of Nations di Adam Smith che è tutta costruita sulla descrizione e analisi di quanto si è prodotto nella storia.
Siamo quindi spesso in presenza di una falsa coscienza della realtà che ne rende impossibile qualsiasi modifica. Per cui capitalismo e statismo continuano a sopravvivere da una crisi all'altra, con i rispettivi sostenitori impegnati in continuazione nel gioco della finta opposizione-contrapposizione.
Intanto questa strana coppia di finti nemici continua a sfruttare e a mandare in rovina produttori autonomi, piccoli e medi imprenditori, lavoratori agricoli indipendenti, operai con un salario di fame e via discorrendo. Queste categorie non sono minimamente rappresentative né del capitalismo né dello statismo; esse sono solo le rotelle che fanno muovere il motore, le cui leve sono nelle mani dei capitalisti (banchieri, grandi prenditori) e degli statisti (politicanti, alti burocrati).
Ma la realtà sta procedendo in direzioni che non sono affatto favorevoli a questa strana coppia. La crisi del padronato (statale e non) e la diffusione della micro-imprenditoria sono fenomeni che preludono ad una organizzazione sociale ed economica radicalmente diversa.
Quello che sembra mancare ancora è una consapevolezza piena di tale dinamica che sia capace di produrre un nuovo paradigma conoscitivo che la raffiguri.
Quando molti saranno in grado di effettuare l'unione di un modello teorico interpretativo con un modello pratico attuativo, allora entreremo davvero consapevolmente in una nuova ed entusiasmante fase dell'avventura umana.
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