Gian Piero de Bellis

Oltre lo statismo – Oltre il mercatismo (II)

(Febbraio 2013)

 


 

Nella sua opera principale, The Wealth of Nations (1774), Adam Smith ha indirizzato le sue critiche alle pratiche corporative e restrittive di mercanti e produttori sotto la protezione dello stato, qualificandole con il termine di mercantilismo.
Adam Smith non era chiaramente contro il commercio e contro la produzione ma contro le restrizioni al commercio e alla produzione che andavano tutte a danno dei consumatori e dei nuovi potenziali produttori a cui veniva impedito l'accesso.

La Rivoluzione Industriale, con l'introduzione delle macchine e l'ascesa dell'Inghilterra a prima potenza economica del mondo, portò ad un superamento, abbastanza esteso, delle restrizioni al commercio e alla produzione anche se non si è mai giunti alla formazione di un mercato mondiale di libero scambio.
Anzi, mano a mano che l'Inghilterra perdeva la sua posizione di supremazia economica, anche i teorici dell'economia abbandonavano la tesi del libero scambio e sviluppavano concezioni neo-mercantiliste, come nel caso di Keynes e della scuola keynesiana.
Ma anche nel caso di Keynes non possiamo dire che egli fosse contro il commercio e contro la produzione. Anzi egli voleva moltiplicare le transazioni commerciali attraverso un impulso notevole dato ai consumi. Nella visione di Keynes lo stato doveva fare qualsiasi cosa (anche far scavare buche alle persone) di modo che esse avessero in tasca i soldi che permettessero loro di consumare e quindi, come si suol dire giornalisticamente, di far girare l'economia.
È per questo che mi sembra del tutto giustificato assegnare a Keynes il titolo di campione del mercatismo.
Ma che cos'è il mercatismo?

Accanto allo statismo, che è l'ideologia che postula la superiorità politica e morale dello stato rispetto all'individuo, il mercatismo è quella ideologia e quella pratica, sostenuta da una autorità centrale come lo stato (nazionale o sovranazionale) che, promuovendo i consumi e inquadrando tutti gli scambi come scambi mercantili, li regolamenta, protegge e tassa per il beneficio dello stato stesso e delle corporazioni ad esso legate. I mercatisti sono la versione moderna e aggiornata dei mercantilisti.

Per i mercatisti (e per lo stato e i suoi accoliti) è questione di vita e di morte il fatto che tutti gli scambi siano scambi mercantili, cioè di merci, effettuati con l'intermediazione della moneta emessa dallo stato e quindi a corso forzoso.
In questo senso, coloro che vedono e vogliono lo stato dappertutto non sono poi molto diversi da coloro che vedono e vogliono il mercato dappertutto.
Per gli uni lo stato è equiparato alla società e alle relazioni sociali (tutto è stato); per gli altri il mercato è equiparato agli scambi di qualsiasi tipo (tutto è mercato).

Entrambi sono posizioni non solo storicamente false ma anche praticamente assurde. Per quanto riguarda l'equazione stato=società è sufficiente mostrare che la società è esistita prima dello stato, che ci sono società senza stato e che molti rapporti sociali (affettivi, sessuali, culturali, ludici, artistici, ecc.) non hanno nulla a che vedere con lo stato.

Per quanto riguarda l'equazione mercato=scambi, basterebbe far capire che, solo per fare degli esempi, i regali che facciamo, le carezze che diamo o le informazioni che ci scambiamo (ad es. su Internet), non sono fenomeni catalogabili sotto l'etichetta di mercato a meno di non utilizzare il termine mercato in maniera talmente estensiva da oltrepassare di gran lunga il ridicolo e finire nell'assurdo più completo.
Un approccio simile è assolutamente inaccettabile per coloro che sono a favore di concetti e di pratiche molto più articolate e complesse della semplice e ingannevole contrapposizione stato-mercato.

Infatti, se tutto è stato, tutto diventa oggetto di regolamentazione burocratica; se tutto è mercato, tutto è vendita e acquisto di merci. Il barista che dà un bicchiere d'acqua ad una persona di passaggio, nel mondo assurdo e criminale dello statismo e del mercatismo, diventa allora un deviante che va sanzionato (vedi: Acqua gratis al clochard multa da 500mila lire al bar, oppure, Multa al bar per l'acqua ad una bimba).

Invece, nel mondo delle comunità volontarie e del libero scambio, moltissime relazioni sociali sono regolate da un ordine spontaneo e moltissimi scambi non sono più o non si configurano affatto come vendita o acquisto di merci.
Ridurre tutto a stato e mercato è una svalutazione della vita dell'individuo e della ricchezza delle interazioni sociali.

Quindi, andare oltre lo statismo e oltre il mercatismo vuol dire tendere a recuperare la singola persona, il singolo essere umano in tutta la sua complessità.
Allora le forme del libero scambio si mescolano e si confondono nelle forme della libera produzione.
Riprendendo un concetto espresso anni fa da Alvin Toffler nel suo The Third Wave (1980), questo vuol dire imboccare la strada che porta alla diffusione ulteriore di due realtà:

  • Il prosumer: il consumatore di un bene o servizio diventa, talvolta, anche il produttore o la persona associata alla sua produzione. Il fai-da-te è un fenomeno chiaro di unione del produttore e del consumatore. Attualmente molti consumatori partecipano alla fase iniziale (progettazione, crowdsourcing) o finale (stampa di un biglietto d'aereo, sistemi di self-checkout, valutazioni sul prodotto e sulla transazione, ecc.) della produzione-vendita di un bene o servizio. Questi fenomeni si moltiplicheranno quando kit per l'autoproduzione di oggetti (stampa tridimensionale) saranno disponibili come adesso sono disponibili stampanti per documenti. A quel punto, il mercato si ritirerà ulteriormente.
  • La customization: una produzione modulare a componenti standardizzate ci porterà al di là del mercato di massa e ci introdurrà a scambi individualizzati di prodotti e servizi personalizzati. Siamo molto lontani dai tempi in cui Henry Ford affermava che il consumatore poteva acquistare una auto modello T di qualsiasi colore purché fosse nero.

Accanto a questi scambi, ancora di natura economica, un'altra realtà sta emergendo, generata dal fatto che:

  • abbiamo tempo per offrire, a noi e ad altri, prestazioni che non si qualificano come scambi di mercato;
  • abbiamo risorse per offrire volontariamente ad altri beni e servizi attraverso atti che non si configurano come scambio di merci (couchsurfing, scambio di appartamenti, car-sharing, scambio di libri, ecc.)

Quindi, in società avanzate in cui il problema della produzione per soddisfare i bisogni di base è stato soddisfatto, un posto centrale sarà occupato, sempre più, da quelli che potremmo chiamare i piccoli scambi di straordinaria grandezza: un sorriso, una carezza, una gentilezza, un aiuto, una idea, una informazione, un dono, e via discorrendo.

I grandi liberali del '900 che hanno celebrato il mercato e auspicato lo stato minimo non potevano immaginare tutto ciò perché essi erano figli ed esponenti della società di massa, quella società caratterizzata appunto dal mercato e dallo stato, entrambi fenomeni di massa. La vera alternativa è quindi rappresentata dal superamento della società di massa nella direzione dello sviluppo degli scambi liberi personalizzati e delle comunità volontarie.

Altrimenti il rischio è che, lottando per falsi obiettivi noi non facciamo altro che prolungare la vita dei padroni (politici ed economici) invece di accelerarne la loro scomparsa. E allora non sarà più questione né di statismo né di mercatismo ma di fine (almeno per un pezzo) di noi in quanto esseri umani, critici e raziocinanti. E questa sarebbe, forse, la caduta in una ennesima amara illusione e delusione.

 


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