Roberto Bolzan
Soldi e Potere
(2017)
Un pezzo interessante su cui discutere anche se non si condividono tutte le affermazioni. Ma sulla conclusione ("dovremmo pensare alla concentrazione del potere politico ed occuparci di distribuirlo il più possibile") è assai probabile e augurabile che siamo tutti pienamente d'accordo
“I rapporti Oxfam e simili, che utilizzano criteri alquanto discutibili, non contribuiscono né a diminuire le disuguaglianze né ad aiutare chi è in una condizione di povertà, ma servono solo a foraggiare i professionisti dell’indignazione. “
Eccetera eccetera, capitalismo etico e tutto quanto.
Bla bla bla.
Alla pubblicazione del rapporto che rivela che 8 persone possiedono la stessa ricchezza del 50% della popolazione mondiale, leggo questi commenti, certo giusti, ma non sono soddisfatto.
Non svaluto chi vuole spiegare che il capitalismo consente il benessere più di qualunque altro sistema. Mi sta bene, ma non mi soddisfa.
Sempre in cerca di posizioni chiare ho bisogno di qualcosa di più. Qualcosa che centri l’obiettivo.
M’interrogo sulle parole e mi chiedo cosa significhi ricchezza. Da bambino avevo l’immagine di depositi di danaro, fare il tuffo nelle monete, un uomo tirchio che risparmia ogni cent e possiede fantastiliardi di dollari. Però Orwell racconta, nel suo meraviglioso “Senza un soldo a Parigi e Londra”, di avere conosciuto l’ultimo avaro di Parigi, un barbone morto conservando enormi ricchezze nel materasso. L’ultimo, appunto: epoca finita.
Negli anni ’80 leggevo di ricchi arabi con i rubinetti dello yacht di oro massiccio, cioè del dispiegamento cafone della ricchezza come spreco e insulto alla povertà. E amici mi raccontano di aerei mandati apposta a prendere le rose appena spiccate dai giardini di Riyad per qualche moglie del sultano che occupava piani interi di qualche albergo in Europa. Tutto finito, ché gli arabi adesso investono e nutrono le nostre aziende bisognose di capitali. Ci saranno ancora i capricci di qualche favorita, ma il cuore, the beef, è diventato un oculato impiego degli immensi capitali derivanti dal petrolio.
M’interrogo allora sul significato di ricchezza. Anni fa era Bill Gates l’uomo più ricco del mondo. Devo immaginare un uomo con un conto corrente con tantissimi zeri? non ci sono più l’epoca e le condizioni per immaginare depositi di monete. Sono allora zeri nell’estratto conto? ovviamente non è così. E non sono proprietà terriere, giacimenti minerari, fonderie d’acciaio, non ci dobbiamo immaginare un uomo che a gambe divaricate dà ordini ai suoi operai nel cortile di una fabbrica. Oggi sono Zuckerberg o altri che, come lui, forniscono servizi che per noi sono essenziali. La loro ricchezza deriva dall’aver capito prima degli altri cosa ci serve e fornircelo in maniera gradevole e utile. È una ricchezza basata essenzialmente sulla fiducia; domani dovessero scoprire un vulnus nel sistema informatico, la ricchezza di queste persone sparirebbe all’istante. Anche fossero proprietari di miniere di rame o di immense coltivazioni di grano, quindi di beni ben tangibili e solidi, la ricchezza potrebbe scomparire in fretta dietro le fluttuazione dei listini di borsa.
Al di là di tutto, la ricchezza è oggi costituita da azioni, partecipazioni, quote di società che hanno un valore. Zuckerberg detiene una quota di un’azienda ed è questa quota che viene conteggiata dai rapporti. Nessuno va a vedere il suo conto corrente, che potrebbe essere anche vuoto.
Anticipo il ragionamento dicendo che la ricchezza oggi è ricchezza sociale, e consiste di quote di attività produttive alle quale tutti concorrono.
Come tale la ricchezza si confonde con il potere: il potere di decidere come rendere produttivo il capitale; ed ha una implicita finalità produttiva e sociale, perché se questo capitale viene lasciato improduttivo la ricchezza stessa si riduce.
Anche quando decide di cedere le sue quote aziendali il ricco capitalista non accumula denaro in un deposito, ma reinveste, crea nuove aziende o acquista quote di altre: la ricchezza non viene mai lasciata dormire.
Ben diverso dalla posizione del sultano del Brunei, che sciupa il danaro per dimostrare di essere ricco e lo lascia improduttivo; anzi, la sua ricchezza è proprio potersi permettere lo spreco dei rubinetti d’oro massiccio e di un’infinità di servi addetti ai capricci della sua persona.
La ricchezza capitalistica è ricchezza sociale concentrata nelle mani di persone capaci.
Le statistiche non ci dicono tutto: non ci dicono, per esempio, di quel che sfugge alla classificazione. Putin è ricco? avendo nelle sue mani il potere di decidere degli immensi giacimenti di gas della Siberia, questo lo renderebbe immensamente ricco. Ma non sono suoi, solo il potere di disporne è suo, almeno provvisoriamente. In generale, è ricco un politico? Ed ha senso porsi la domanda? Come il ricco che possiede azioni di un’azienda ma non ha magari particolari sostanze nel conto corrente, anche il politico ha nelle sue mani il potere di una nazione. A cosa gli serve essere ricco di danaro?
Spesso poi succede che l’imprenditore diventi anche leader politico, unendo il potere economico a quello politico. In molte nazioni questo è vietato o almeno viene limitato il pieno esercizio del potere economico, riconoscendo implicitamente la pericolosità della somma dei due.
Se modificassimo la nostra classifica, individuando le persone di sostanza e facendo una graduatoria di quelle che possiedono la maggior quantità di beni materiali, troveremmo che ci sono ricchi totalmente sconosciuti, magari il nostro vicino di casa con terreni, beni e soldi nel materasso. A parte l’aspetto folcloristico di questa scoperta, che ci porterebbe a conoscere persone molto simili all’avaro di Parigi descritto da Orwell, la graduatoria non ha molto significato per noi, perché riconosciamo che la vera ricchezza non sta lì, qualunque cosa essa sia.
Abbiamo fin qui riconosciuto che la ricchezza, almeno quella capitalistica, è ricchezza sociale e sostanzialmente costituita dal potere di decidere e come tale accomunata al potere politico. Il potere politico, a suo volta, si è sempre più caratterizzato dalla capacità di disporre dei beni dei governati, in un singolare rovesciamento di significato, per il quale il potere economico è passato al servizio della società mentre quello politico la spoglia. La ricchezza che viene impiegata per produrre, infatti, aggiunge valore alla società: nessuno si sentirebbe più ricco se Microsoft non esistesse (nonostante Windows, permettetemi la battuta), Microsoft estrae valore dalla società ma lo reintroduce moltiplicato in termini di prestazioni del prodotto e quindi di utilità sociale. La ricchezza estratta dal potere politico, invece, anche quando è impiegata al meglio (e questo non è quasi mai il caso), annulla l’utilità sociale di questo valore (i forestali calabresi non sono di alcuna utilità sociale). Il ricco capitalista non può disporre dei beni degli altri (anche se le sue decisioni influiscono sul benessere e sulla ricchezza degli altri), il politico può farlo ed anzi il suo potere consiste essenzialmente nel disporre dei beni altrui. Il mondo alla rovescia.
Cosa pensiamo allora del confronto con il potere esplicitato dalla seguente storiella (non trovo più la fonte e la racconto quindi sinteticamente, dev’essere di Henry Corbin)?
Un ambasciatore dell’imperatore arriva con armate e grandi mezzi presso la fortezza di un monaco, un uomo conosciuto per santità. La fortezza sovrasta un’altissima rupe. L’ambasciatore riporta l’immenso potere dell’imperatore e gli chiede quale sia, in confronto, il suo potere.
Il monaco allora fa un cenno e due uomini, al suo cenno, si gettano dalle mura e si schiantano nel dirupo.
L’ambasciatore allora comprende e riporta all’imperatore quello che ha visto.
Il monaco, che non possiede nulla ma ha un potere immenso sugli uomini, rappresenta un tipo di potere che ormai è raro nelle nostre società. Questo potere non estrae valore dalla società ma è al suo servizio. Certo, può essere negativo e anche, senza nemmeno pensare all’effetto sui due che si sono buttati, catastrofico. Questo succede anche alle aziende quando ci sono errori, che sciupano capitale o addirittura provocano danni per errori tecnici. Ciò non toglie che questo potere sia al servizio della società e lo riconosciamo perché nel caso opposto, quando è la società ad essere al servizio del potere, immancabilmente questo si manifesta con un arricchimento del potente a discapito dei governati. O dei suoi amici, se vogliamo.
La differenza tra il potere economico e quello politico, apparentemente simili, si comprende molto bene se pensiamo in ipotesi di distribuirlo omogeneamente tra le persone. Immaginiamo di distribuire la ricchezza di Bill Gates (che, ricordiamolo, non è stata estratta dalla società, bensì aggiunta come valore d’uso dei suoi prodotti) dando qualche dollaro a ciascun abitante del mondo. Ammesso che sia possibile vendere Microsoft monetizzando il suo valore per poi chiuderla. La domanda è se questo valore distribuito avrebbe maggior valore sociale di quanto ne abbia in forma concentrata, vale a dire se i sei miliardi di persone del pianeta, possessori di qualche dollaro in più, ne farebbero un uso migliore. La risposta è che probabilmente no, e nemmeno se la somma fosse distribuita sotto forma di quote azionarie tutte uguali. Un’azienda con sei miliardi di azionisti paritari non durerebbe mezza giornata e con essa si dissolverebbe il valore di servizio che essa offre. La sostanza è che è meglio che i capitali restino concentrati nelle mani di chi li ha creati.
Pensiamo ora ad un mondo senza potenti, cioè ad un mondo in cui il potere è riconsegnato nella mani di ciascuno. Anarchia, certo, situazione difficile da gestire, ma non impossibile. Soprattutto, situazione molto creativa. Mentre con i pochi dollari derivanti dalla distribuzione dei beni dei ricchi posso al massimo comperarmi qualche panino e difficilmente potrò, per solo effetto della distribuzione, creare il valore precedente o qualcosa di nuovo, il potere di disporre di me stesso e dei miei beni darebbe grande stimolo alla creatività ed alla generazione di nuovo valore. E, dall’anarchia e nell’anarchia, riconoscere un potere carismatico al servizio della società e che vi aggiunga valore. E questo potere di cui le persone si fossero riappropriate individualmente potrebbe essere consegnato, in parte, ad un terzo con una delega sempre revocabile. Il potere distribuito è molto meglio del potere concentrato.
E c’è un’altra differenza: che mentre il denaro dev’essere posseduto per fruttare, il potere è meglio che sia solo temporaneamente affidato in delega.
Per concludere, invece di criticare i rapporti Oxfam perché non descrivono la reale distribuzione della ricchezza ed invece di escogitare spiegazioni su quale sia il miglior sistema per redistribuirla, preferisco affermare il concetto che è bene che la ricchezza sia distribuita in modo ineguale e che ce ne siano concentrazioni colossali. Questo fa bene alla società.
Nello stesso tempo dovremmo pensare alla concentrazione del potere politico ed occuparci di distribuirlo il più possibile, perché è questo che fa male alla società.
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