Gian Piero de Bellis

Sul reddito di cittadinanza

(ovvero, reddito di sudditanza)

(Marzo 2018)

 


 

Il tema

Da qualche tempo a questa parte si fa un gran parlare, soprattutto sui giornali e nei partiti, di Reddito di Cittadinanza. L’idea è sostenuta da diverse forze politiche e da intellettuali di vario orientamento. È presentata anche sotto altri nomi quali Reddito di Dignità, Reddito di Inclusione, Reddito di Autodeterminazione o, addirittura, Reddito di Nascita.

Se analizziamo la proposta un po’ più a fondo scopriamo che si tratta, in sostanza, di accorpare tutte le provvidenze sociali che le persone ricevono a vario titolo (sussidi, assegni di disoccupazione, pensioni sociali, ecc.) sotto un’unica voce. Quindi, a ben vedere, non sembra che si tratti di qualcosa di così innovativo come taluni vorrebbero far apparire o come talaltri immaginano.


Gli antecedenti

Negli anni 1883-1889, in Germania, il cancelliere Otto von Bismarck introdusse alcune misure di assistenza e di previdenza che furono catalogate dagli oppositori liberali come Socialismo di Stato. I provvedimenti riguardavano l’assicurazione malattie (1883), l’assicurazione sugli incidenti sul lavoro (1884), la pensione di vecchiaia (1889). Misure similari sono state poi introdotte in altri paesi europei. In Inghilterra sono stati gli stessi liberali, presunti critici dell’interventismo statale, che sotto la guida di Lloyd George, hanno dato vita a quello che sarà conosciuto come il Welfare State, un insieme di interventi sociali statali che garantiscono ai cittadini bisognosi assistenza dalla culla alla bara.

I motivi che hanno spinto le classi dirigenti e il ceto padronale a introdurre provvedimenti di assistenza sociale sono essenzialmente due:
- motivo politico: si cerca di attrarre le masse lavoratrice sotto le ali dello Stato, distaccandole dai partiti socialisti e operai e bloccando sul nascere forme autonome di solidarietà sociale (ad es. le società di mutuo soccorso) che avrebbero potuto rappresentare una alternativa concorrenziale allo Stato, minacciandone la sua presunta ragione d’esistere (fornire sicurezza).
- motivo economico: la produzione crescente, frutto della meccanizzazione e della standardizzazione del lavoro, permette di operare una distribuzione dall’alto delle risorse; cioè consente allo stato di fornire a tutti risorse supplementari in aggiunta o in sostituzione del salario. Così facendo lo stato agevola l’assorbimento della crescente produzione pur in assenza di una corrispondente crescita dei salari.

I protagonisti attivi dell’introduzione del Socialismo di Stato o Welfare State, come lo si voglia chiamare, sono, come già rilevato, conservatori e liberali, vale a dire coloro che hanno istituito e gestito per decenni un apparato statale in continua espansione. Quindi, nulla a che vedere con socialisti e sindacalisti. Anzi, quando nel 1911, il governo “liberale” di Lloyd George introdusse l’allora impopolare Legge sulla Assicurazione Nazionale che rendeva obbligatoria l’assicurazione per 12 milioni di persone, ci fu una forte opposizione da parte dei lavoratori che si vedevano espropriati di un loro strumento di organizzazione sociale. Infatti, già allora in Inghilterra almeno 9 milioni di persone erano coperte da una assistenza sociale volontaria, da esse stesse scelta e finanziata. Il liberale Lloyd George non ha dunque fatto altro che intervenire su una realtà esistente, in movimento progressivo, trasformandola da volontaria in obbligatoria e da sociale in statale.


Le conseguenze

Quali sono stati i risultati di questo intervento statale dal punto di vista sociale e personale?
Se ne possono elencare qui brevemente alcuni. Esso:

- ha generato un sottoproletariato culturale del tutto dipendente dallo stato, incapace di prendere alcuna iniziativa autonoma riguardo alla direzione da dare alla propria vita;
- ha eretto lo stato a entità superiore la cui presenza è indispensabile nella vita delle persone, dalla culla alla bara;
- ha distrutto le iniziative di mutuo appoggio sorte dal basso basate sulla volontarietà e che favorivano e stimolavano l’autogestione;
- ha dato vita all’uomo-monade (isolato) e all’uomo-massa (omogeneizzato). Queste due figure appaiono sotto forma di sudditi e di salariati, entrambi succubi di grandi organizzazioni padronali (lo stato centrale, la grande impresa). In sostanza, il suddito statale e il salariato industriale sono state e sono tuttora le due marionette del burattinaio stato-padronato.

Senza il socialismo di stato o assistenzialismo statale è invece molto probabile che individui indipendenti e comunità volontarie (di produzione, di servizi, di assistenza) sarebbero sorti e si sarebbero sviluppati al di là e al di fuori del sistema statale-padronale.


La realtà attuale

Lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni, con l’introduzione su vasta scala della robotica e l’avvento di centri di produzione del tutto automatizzati-robotizzati, sta moltiplicando la quantità di beni prodotti. Per via di questa dinamica stanno risorgendo, in maniera ancora più acuta, gli stessi problemi di assorbimento della produzione che erano presenti più di cento anni fa a seguito dell’introduzione di congegni meccanici nella produzione. Infatti, un numero inferiore o talvolta nullo di lavoratori è richiesto per produrre moltissimi oggetti di consumo. E dal momento che i robot non sono consumatori di quei beni, è necessario inventarsi dei nuovi consumatori.

Anche nei decenni passati, ad ogni incremento della produzione, ha corrisposto l’introduzione, da parte del ceto statale-padronale, di strumenti del tutto artificiosi e demenziali che agevolassero l’assorbimento dei beni prodotti. E questo perché il sistema economico è finalizzato al conseguimento di due obiettivi del tutto contraddittori: bassi salari-massima produttività. Per cui non sarà mai possibile, rimanendo all’interno del sistema attuale, risolvere il problema economico dello smercio e della sovrapproduzione. Per questo il sistema padronale industriale ha introdotto sue proprie misure ed ha fatto affidamento sullo stato per garantirsi, per quanto possibile, uno smercio continuo dei prodotti. Questi rimedi, oltre all’introduzione del Welfare State (redistribuzione assistenziale), sono apparsi sotto forma di:
- obsolescenza produttiva e stimolo al consumismo attraverso una pubblicità martellante;
- moltiplicazione di attività burocratiche e di intermediazione parassitaria del tutto inutili:
- sprechi e vera e propria distruzione di risorse anche attraverso conflitti bellici continui su scala locale.

Tutto ciò però non sembra più sufficiente. Occorre adesso uno strumento unico, centralizzato, di controllo e stimolo dei consumi, che istituzionalizzi definitivamente la figura del suddito-salariato e permetta al sistema statale-padronale di continuare ad esistere ancora a lungo. E allora arriva, provvidenziale, la proposta del reddito di cittadinanza.

Infatti, con il reddito di cittadinanza, misura falsamente progressista e niente affatto rivoluzionaria, si bloccherebbero sul nascere tutte le spinte alla autonomia produttiva che la tecnologia e la cultura hanno generato negli ultimi decenni. Così facendo, si garantirebbe la perpetuazione delle figure succubi di suddito-salariato e si impedirebbe la fuoriuscita dal sistema statale-padronale. In sostanza tutti diventerebbero sudditi salariati, anche coloro che nulla producono. Ci troveremmo a vivere la peggiore delle distopie immaginabili: zombi, privi di volontà e di creatività, che aspettano la paghetta concessa loro dal Grande Fratello per spenderla in prodotti studiati e realizzati da o con l’aiuto di intelligenze artificiali, sotto l’occhio vigile dei padroni. Gli scenari di Orwell (1984) e Huxley (The brave New World) sarebbero pienamente realizzati, con risvolti addirittura ancora più inquietanti e devastanti.


Le possibili alternative

Il reddito di cittadinanza è la risposta del sistema dominante a possibili alternative che, se attuate, potrebbero rappresentare la fine del sistema stesso. Già ora sarebbe possibile introdurre cambiamenti sempre più dirompenti rispetto alla realtà dominante. Infatti potremmo operare per:

- una riduzione radicale e progressiva del tempo di lavoro;
- la trasformazione dei lavoratori dipendenti in associati dell’impresa;
- il superamento progressivo della divisione manuale/intellettuale;
- la diffusione delle attività produttive-creative indipendenti;
- la moltiplicazione delle comunità volontarie di beni e servizi.

L’introduzione su vasta scala di strumenti di comunicazione e di produzione a prezzi del tutto abbordabili (computers, programmi open source, stampanti 3D, social networks, crowdfunding, ecc.) permetterebbe lo sviluppo di attività indipendenti e di comunità di produzione (di beni e servizi) su scala mai vista in passato.

La fuoriuscita dal sistema statale-padronale attuale è del tutto possibile, in pratica, se solo abbiamo voglia di immaginare il nuovo e di attuarlo nella nostra vita.
Invece di un debilitante e manipolatorio reddito di cittadinanza dovremmo promuovere:
- un reddito di attività, cioè il fare qualcosa che ci piace e ricavarne un pieno beneficio morale e materiale;
- un contributo di solidarietà, vale a dire l’operare anche per il benessere altrui, in una dinamica permanente di dare nella misura del possibile e ricevere nel momento del bisogno.

Il tutto in maniera libera, come membri di comunità volontarie di produzione e di servizi. In questo modo saremmo davvero esseri umani autonomi e cittadini del mondo.

 


[Home] [Top] [Sussurri & Grida]