Gian Piero de Bellis

La proprietà come furto e come libertà

(Dicembre 2010)

 


 

Una delle frasi più celebri di Proudhon è “La propriété, c'est le vol!” (“La proprietà, è il furto!”) [Qu'est-ce que la propriété, 1840].

Molti però ignorano, spesso volutamente, che in uno scritto successivo Proudhon ha dato un'altra definizione della proprietà: “La propriété, c'est la liberté! (“La proprietà, è la libertà!”) [Théorie de la propriété, 1862].

Alcuni potrebbero vedere in queste due opposte formulazioni dei paradossi buttati lì per sconcertare e confondere le persone di buon senso. Eppure, a considerare bene la cosa, c'è un seme di verità in entrambe le affermazioni. Tutto dipende da che cosa intendiamo per proprietà e dai modi/mezzi con cui è stata conseguita. Per questo un esame, anche piuttosto sommario, del concetto e della realtà della proprietà è necessario per evitare affermazioni improprie e obiettivi erronei.

Innanzitutto va affermato che la proprietà non è un diritto e tanto meno un diritto naturale.

Questo per sgomberare il campo da un equivoco, da una assurdità e da una indebita estensione.

Equivoco: la maggior parte delle persone vede nello stato e nelle leggi dello stato la nascita e la formulazione dei diritti. Quindi, per molti, anche il diritto di proprietà è un qualche cosa creato e assicurato dallo stato. Senza lo stato, essi pensano, non ci sarebbe alcun diritto di proprietà garantito agli individui. Dal momento che ciò non è vero, questo solo motivo di una nozione errata dell'origine dei diritti, sarebbe sufficiente, a mio avviso, per farci abbandonare l'idea della proprietà come diritto. Ma c'è di più.

Assurdità: l'età dello statismo (o statalismo) in cui ancora viviamo, soprattutto nella sua fase assistenziale (welfare state) ha generato una serie di diritti inventati quali il diritto al lavoro, il diritto alla casa, il diritto al salario minimo garantito, per arrivare, ultima trovata degli intellettuali da strapazzo, al diritto alla felicità. Aggiungervi il diritto alla proprietà mi pare cosa non molto sensata.

Indebita estensione: quando utilizziamo l'espressione diritto naturale, facciamo capire a tutti che stiamo parlando di un diritto pre-statuale e pre-welfare state che nulla ha a che fare con lo stato; se poi riteniamo lo stato come una entità istituita per opprimere e sfruttare, il diritto naturale è l'unico che consideriamo accettabile (a parte norme e regolamenti prodotti autonomamente da gruppi interessati). Ma il diritto naturale garantisce diritti inalienabili che sono intrinseci alla persona fin dalla sua nascita (ad es. life, liberty and the pursuit of happiness – la vita, la libertà e la ricerca della felicità); includere tra questi il diritto alla proprietà mi sembra una estensione indebita. Infatti nessuno nasce con il diritto naturale alla proprietà ma solo con il diritto naturale al libero accesso alla proprietà, che sarà conseguita a seguito di determinati comportamenti produttivi. Altrimenti rimarremmo nella situazione presente in cui anche gli sfaccendati e i parassiti rivendicano il loro “diritto naturale” alla proprietà, ed espropriano con la tassazione una quota delle proprietà di coloro che si sono dati da fare con il loro impegno e i loro sforzi.

A questo punto, se accettiamo che la proprietà non è né diritto statuale né diritto naturale, dobbiamo tratteggiare che cosa essa è. A mio avviso la proprietà è un fatto naturale e un fatto sociale.

Fatto naturale. La proprietà sorge dall’attività produttiva dell’essere umano e, spesso, dall'applicazione di tale attività ad una risorsa naturale. È questa la posizione di Locke (Second Treatise of Government, 1690) su cui si basa il liberalismo classico. Ad esempio, colui che, per primo ha dissodato e coltivato un appezzamento di terra, ne diventa il legittimo proprietario. Chiaramente può poi disporre del terreno, scambiandolo con altri beni, e da qui, con la libertà di impresa e di scambio, è sorta la società industriale e poi quella post-industriale, con le varie forme che ha assunto la proprietà (individuale, cooperativa, azionaria, ecc.) nel corso della storia.

Fatto sociale. La proprietà come fatto naturale è poi riconosciuta dagli altri che hanno tutto l'interesse a veder garantito, a loro volta, i frutti del lavoro (personale o di gruppo). A tal fine, le persone associate elaborano anche norme a garanzia della proprietà e del commercio, come ad esempio la Lex Mercatoria, che non hanno nulla a che fare con lo stato e che garantiscono la regolarità e correttezza delle transazioni, estromettendo imbroglioni e profittatori.

Questo è quanto si è verificato spontaneamente, fino a quando non è intervenuto lo stato. A quel punto la proprietà come fatto diventa la proprietà come diritto. Nessuno ha espresso meglio questa trasformazione di Albert Nock quando attribuisce allo stato “l'ansia di convertire la proprietà che sorge dal lavoro in proprietà che sorge dalla legge, e di assegnare tali diritti di proprietà." (“the preoccupation with converting labor-made property into law-made property, and redistributing its ownership"). Egli ne conclude che lo stato è sorto proprio per questo motivo e cioè “soprattutto per attuare una distribuzione puramente legale della proprietà delle risorse naturali.” (“over and above a purely legal distribution of the ownership of natural resources, is what the State came into being for” - Anarchist's Progress, 1927)

A quel punto, la proprietà come libertà diventa (per buona parte) proprietà come furto. Lo stato moderno nasce infatti a seguito di furti colossali delle proprietà del clero (si veda la dissoluzione dei monasteri da parte di Enrico VIII), dell'aristocrazia (nella Francia della Rivoluzione), dei contadini (l'Inghilterra delle recinzioni delle terre comuni). Le terre e gli altri beni rapinati sono poi stati distribuiti ai sostenitori del potere statale ed è nato quell'intreccio tra stato e borghesia statalizzata che ha caratterizzato l'epoca dello statismo e che altro non è che feudalesimo su scala allargata. Per questo motivo il socialismo classico era furiosamente contro l'accaparramento delle risorse da parte della borghesia, e si è battuto per la loro redistribuzione (più o meno forzata) tra tutti. Così facendo però taluni hanno concentrato troppo l'attenzione sulla proprietà come obiettivo principale di lotta e hanno giustificato e accettato l'esistenza di una entità (lo stato) che si presentava come l’unico possibile redistributore ed equalizzatore. Per cui il socialismo si è poi trasformato in statismo.

A mio avviso, coloro che sono impegnati nella loro liberazione dal potere non dovrebbero cadere negli stessi errori e cioè:

- non dovrebbero concentrare troppo la loro attenzione sulla proprietà ma dovrebbero dare preminenza al tema e alla lotta per la libertà (di impresa, di scambio) e al principio di non aggressione. L'affermazione della libertà e del principio di non aggressione porta con sé, con tutta probabilità, all'accesso generalizzato alla proprietà. Infatti, come affermato da von Mises “In nessun luogo e circostanza la proprietà della terra su larga scala ha avuto origine attraverso il funzionamento del meccanismo economico. Essa è il risultato di uno sforzo militare e politico.” (Socialismo, 1936)

- non dovrebbero puntare tutte le loro carte sulla proprietà privata in contrapposizione alla proprietà pubblica (o statale). Primo, perché la cosiddetta proprietà pubblica è solo un modo conveniente per mascherare con un aggettivo suadente (pubblico) la proprietà e il controllo di moltissime risorse da parte di cosche e corporazioni che nulla hanno a che fare con l'interesse generale. Secondo, perché ci sono realtà quali il sapere, le scoperte scientifiche, le bellezze naturali, la foresta Amazzonica, l'Acropoli di Atene, ecc. ecc. ecc. che sono patrimonio dell'umanità. E il rischio futuro è che, dopo aver feudalizzato la conoscenza attraverso il rilascio statale di brevetti e patenti, lo stato (ad es. in Italia) arrivi anche a vendere ai “privati” la torre di Pisa e il Colosseo per far quadrare il bilancio.

In sostanza, la proprietà come furto e la proprietà come libertà, sono le due facce del concetto e della realtà della proprietà. Se non sappiamo ben distinguere tra di loro rischiamo di diventare i portavoce delle future mafie e le pedine inconsapevoli della perpetuazione dello stato territoriale, ben inteso sotto altro nome e sotto altra veste.

 

 


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