Gian Piero de Bellis

Il libertarismo dal volto poco umano

(Giugno 2012)

 


 

Tutte le concezioni filosofiche, religiose, politiche quando fanno breccia presso un gran numero di persone rischiano di essere fraintese o addirittura di degenerare nel proprio opposto. Così il cristianesimo, messaggio di amore e di fratellanza, nelle mani di taluni rappresentanti della Chiesa è diventato, in passato, strumento di oppressione e di morte. Il socialismo versione Marx-Engels, da analisi che presagiva e promuoveva l'estinzione dello stato, è diventato, nelle mani dei burocrati di partito, ideologia per la preservazione e venerazione del dio stato. Il liberalismo di Bastiat e Lord Acton, da baluardo concettuale contro l'ingerenza dello stato nella vita economica è diventato, attraverso il ‘liberale’ Keynes, il promotore del dirigismo e dell'interventismo statali. E via discorrendo.

Sulla base di questi esempi del passato è molto probabile che il libertarismo, mano a mano che si diffonde e trova nuovi sostenitori, corra gli stessi rischi di fraintendimento e di degenerazione. Infatti come affermato da Murray Rothbard, “i libertari, nonostante la loro devozione al pensiero razionale e all'individualità, non sono esenti dal rischio di coltivare culti mistici e totalizzanti alla pari di altri movimenti ideologici e religiosi.”  (“libertarians, despite explicit devotion to reason and individuality, are not exempt from the mystical and totalitarian cultism that pervades other ideological as well as religious movements.”) (Murray Rothbard, 1972).

Anzi, questi rischi diventeranno tanto più reali quanto più si farà riferimento a certe posizioni presenti nel libertarismo, espresse da alcuni mostri sacri del pensiero libertario, che non solo occorrerebbe porre nel contesto dell'epoca ma anche, tutto sommato, abbandonare.
Faccio qui riferimento, in particolare, a tre pensatori e a tre posizioni da essi formulate o ampiamente sottintese:

Ayn Rand (Libertarismo Padronale)

La scrittrice Ayn Rand è diventata famosa per avere raffigurato, in alcuni romanzi di grande successo, il desiderio di libertà e la voglia di intraprendenza che animava i protagonisti delle sue storie. I quali protagonisti sono sempre grandi figure che padroneggiano la scena: un architetto (Howard Roark), un magnate dei giornali (Gail Wynand), un industriale dell'acciaio (Hank Rearden). Dal punto di vista della finzione romanzesca, raffigurare caratteri forti che diffondono un forte messaggio, implicito o esplicito, di autonomia e di indipendenza, ha un senso. Il rischio però è che taluni potrebbero vedere il libertarismo come la concezione adatta al super-uomo e sostenere o combattere tale concezione sulla base di questa interpretazione.

Infatti, la celebrazione randiana dell'egoismo fu talvolta intesa davvero, soprattutto da alcuni seguaci, come una esaltazione del super-uomo occupato a far prevalere i propri interessi immediati, costi quel che costi. E se si scava un po' più a fondo nella vita di Ayn Rand, sui suoi atteggiamenti come capo indiscusso di una setta in cui scomuniche e ostracismi erano pratica a lei congegnale, questa interpretazione e l'attribuzione della qualifica di Libertarismo Padronale alle idee della Rand non sembrano cose del tutto fuori luogo. Uno dei suoi più stretti collaboratori, Nathaniel Branden, da lei successivamente allontanato dal movimento per motivi di gelosia, parlò successivamente di “una terribile atmosfera di repressione intellettuale” (http://en.wikipedia.org/wiki/Ayn_Rand) basata sul culto della Rand, che pervadeva il movimento Objectivist da lei fondato e il gruppo da lei dominato (chiamato scherzosamente “il Collettivo”).

Nel 1972 Murray Rothbard, che partecipò brevemente al Movimento Objectivist, produsse addirittura un ironico pezzo teatrale (Mozart Was a Red, 1960) e un lungo articolo in cui analizzava sociologicamente il culto Ayn Rand (The Sociology of Ayn Rand Cult). In quest'ultimo testo troviamo la seguente affermazione: “il modo di funzionare del movimento Randiano era in contrasto profondo e totale con le convinzioni ufficiali basate sulla individualità e indipendenza di ognuno e sul fatto che non si riconoscesse altra autorità al di fuori delle proprie capacità razionali.” (“the actual functioning, of the Randian movement, was in striking and diametric opposition to the official, exoteric creed of individuality, independence, and everyone’s acknowledging no authority but his own mind and reason”).

Murray Rothbard (Libertarismo Territoriale)

Con Murray Rothbard il discorso si fa molto più sofisticato a ragione del fatto che Rothbard era uno studioso estremamente erudito della società e dei rapporti economici. Con Rothbard il libertarismo fa un deciso salto di qualità ma, nonostante ciò, perdurano aspetti criticabili, primo fra tutti il fatto che si è sempre nell'ambito di una singola opzione (l'anarco-capitalismo) invece di favorire una pluralità di opzioni (il libertarismo come volontarismo) che ognuno è poi libero di scegliere e di mettere in atto nel corso della sua vita.

Questo è evidente soprattutto esaminando le idee di Rothbard sulla proprietà. In uno scritto degli anni '70 (For a New Liberty: The Libertarian Manifesto, 1973) la posizione di Rothbard è molto chiara: ciascuno è proprietario (1) del proprio corpo, (2) delle risorse naturali che ha messo a frutto, (3) dei frutti che provengono dalla sua attività.
In un altro testo del 1982 (The Ethics of Liberty) Rothbard sottolinea chiaramente che “se un pezzo di terra non è stato trasformato da un individuo, nessuno può accamparne legittimi diritti di proprietà.” (“if any land has never been so trasformed, no one can legitimately claim its ownership”) .

Questa posizione è in perfetta sintonia con la concezione dei liberali classici come è stata espressa da Locke. Invece, in una fase successiva, Rothbard sembra aver trovato nel predominio universale della proprietà privata (e quindi nella privatizzazione dell'intero globo terrestre) la soluzione che porrà fine allo stato e al suo dominio di tipo pubblico. Chiaramente, secondo il Rothbard classico, la distinzione non è tra proprietà privata e proprietà pubblica ma tra proprietà legittimamente ottenuta (tramite attività o scambio) e la proprietà estorta (con la violenza o con l'inganno).

Ma questa distinzione chiara e precisa sembra andare persa in un saggio pur pregevole e interessante del 1993: Nations by Consent. Qui Rothbard, affascinato dall'emergere di nuove piccole realtà statali (smembramento dell'Unione Sovietica, fine della Jugoslavia, separazione tra Repubblica Ceca e Slovacchia) immagina che la soluzione allo statismo consista nella formazione di piccole nazioni in cui tutto lo spazio sia di proprietà dei privati.

Quindi, contraddicendo quanto sostenuto in un precedente scritto in cui affermava che "la proprietà è sempre privata" (“all property is always private”) (The Ethics of Liberty, 1982) e che la differenza vera è tra proprietà privata legittima (frutto del lavoro) e proprietà privata illegittima (accaparrata dallo stato), Rothbard si pone a favore di una privatizzazione totale della terra di modo che “nessun pezzo di terra, nessun centimetro di superficie esistente al mondo rimanga di dominio 'pubblico'; ogni porzione di territorio, si tratti di strade, piazze o quartieri, va privatizzata.” (“no land areas, no square footage in the world, shall remain "public"; every square foot of land area, be they streets, squares, or neighborhoods, is privatized.”) In sostanza, “ogni pezzo di terra esistente in un paese [dovrebbe essere] di proprietà di un individuo, di un gruppo o di una corporazione” (“every piece of land in a country [should be] owned by some person, group, or corporation”), e questo senza che Rothbard specifichi se quel terreno sia stato prima messo a frutto dalla persona, dal gruppo o dalla corporazione, o se invece sia stato semplicemente incamerato (occupato, espropriato, strappato).

In sostanza, con questa proposta ritorniamo pari pari nel feudalesimo in cui vigeva il principio “nulle terre sans seigneur” e i servi erano vincolati al lavoro nelle terre del padrone che si estendevano a perdita d'occhio e nelle quali, almeno in teoria, nessuno poteva entrare senza permesso.

In definitiva, il libertarismo territoriale suggerito da Rothbard si pone sulla scia del Libertarismo Padronale della Rand e prepara il campo per un'altra forma degenere di Libertarismo, il Libertarismo Stanziale di Hans-Hermann Hoppe.

Hans-Hermann Hoppe (Libertarismo Stanziale)

Per sgomberare il terreno da possibili equivoci, va innanzitutto detto che Hans-Hermann Hoppe è un pensatore e scrittore estremamente brillante e acuto che ha contribuito in maniera notevole alla elaborazione e diffusione del libertarismo. Alcuni suoi scritti di critica della democrazia e del monopolio statale in materia di sicurezza sono diventati, giustamente, dei classici.

Detto questo, rimane il fatto che Hoppe è anche il sostenitore di una posizione che, a mio avviso, non ha nulla a che fare con il libertarismo e che anzi ci riporterebbe indietro al feudalesimo o ci costringerebbe a rimanere prigionieri in eterno dello statismo (cioè del macro-feudalesimo).
La posizione, presente anche in Rothbard, consiste nel negare la libertà di circolazione delle persone a meno che non vi sia un consenso esplicito da parte dei residenti delle regioni verso cui vorrebbe dirigersi (o che vorrebbe semplicemente attraversare) una persona.
In un articolo del 2001, The Libertarian Case for Free Trade and Restricted Immigration, Hoppe sostiene che, “gli uomini d'affari spostano le loro attività verso aree in cui i salari sono bassi, e i lavoratori si spostano a cercare lavoro verso aree in cui i salari sono alti” (“businesses move to low wage areas, and labor moves to high wage areas, thus effecting a tendency toward the equalization of wage rates”).

Questa sua affermazione abbastanza plausibile lo porta poi, in maniera nient'affatto logica, a dichiararsi a favore del libero commercio ma non del libero movimento delle persone. Infatti, nella concezione di Hoppe, le merci possono circolare liberamente ma le persone, per potersi spostare da un posto all'altro, devono essere invitate da un proprietario residente nella regione. Paradossalmente quindi, non solo i lavoratori ma anche gli imprenditori (coloro che creano possibilità di lavoro) sarebbero privi della libertà di muoversi e quindi non potrebbero andare, fisicamente, ad impiantare industrie in paesi a basso costo della manodopera, a meno di non essere invitati (e non si capisce bene come avverrebbe ciò).

In linea generale, il mettere merci e persone sullo stesso piano, oltre che svilire tutto il ragionamento, non aiuta certo Hoppe a fornire elementi a sostegno della sua tesi perché vi sono residenti che vogliono escludere sia persone che merci dall'accedere in quello che essi considerano il loro territorio e, checché sostenga Hoppe, questa mi sembra una posizione molto più logica (anche se ancora meno libertaria) di quella da lui avanzata.

Ad ogni modo, per un libertario l'obiezione decisiva alla posizione di Hoppe è il fatto che, se accettiamo che le persone debbano avere un permesso per entrare in un certo territorio, è chiaro che deve esistere un organismo che controlla chi è stato invitato e chi no. Questo organismo è il governo o, detto altrimenti, lo stato territoriale. Quindi, nella formulazione di Hoppe, “A tutti i porti di ingresso e lungo i confini, il governo, come fiduciario dei suoi cittadini, deve controllare che i nuovi arrivati abbiano un biglietto di ingresso – un invito valido da parte di un residente proprietario locale. E tutti coloro che non sono in possesso di tale biglietto saranno espulsi a loro proprie spese.” (“At all ports of entry and along its borders, the government, as trustee of its citizens, must check all newly arriving persons for an entrance ticket — a valid invitation by a domestic property owner — and everyone not in possession of such a ticket will have to be expelled at his own expense”).

Per cui una persona intraprendente, sola al mondo, pur non avendo compiuto alcun atto di aggressione, per il solo fatto di voler cambiare vita spostandosi in un altro ambiente e a contatto con persone nuove, viene fermata ed espulsa in quanto priva del biglietto di invito. Al tempo stesso, un'altra persona, che è riuscita a farsi invitare e a installarsi da proprietario in una certa regione, per questo solo fatto potrebbe far venire tutte le persone che vuole, scrocconi e parassiti inclusi. Perché questa è la posizione, piuttosto bizzarra, implicitamente pro-statale e ampiamente anti-libertaria, che Hoppe sostiene nel suo scritto di cui suggerisco una attenta e critica lettura.

 

In sostanza, alcune formulazioni della Rand, di Rothbard e di Hoppe, invece di aiutarci a costruire una società libertaria basata sulle scelte libere e volontarie degli individui, ci rigettano verso il potere padronale dello stato, forse sotto forme un po' differenti ma sempre tutt'altro che attraenti.

In definitiva, con il liberalismo padronale, territoriale, stanziale, rimaniamo bloccati in una realtà di corporativismo feudale d'altri tempi e invece noi siamo nel 21° secolo, con Internet, gli individui che si muovono, i confini mentali e materiali che crollano, il muro di Berlino che non esiste più, le società arabe in fermento e via discorrendo.

Forse, al posto di queste figure pur importanti del libertarismo ma troppo ancorate al passato e a talune idee che si collocano addirittura al di fuori del filone liberale classico, meglio sarebbe prestare attenzione alle voci più recenti e a mio avviso più interessanti di esponenti del libertarismo quali Roderick Long, Michael Rozeff e Butler Shaffer, per fare solo qualche nome.

E in ogni caso, quando leggiamo un testo, da chiunque sia stato scritto, una mente aperta e un forte spirito critico rimangono atteggiamenti non solo necessari ma addirittura indispensabili.

 


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