Gian Piero de Bellis
Lo scontro di inciviltà
(Febbraio 2015)
Il 1 Gennaio 1992 tutte le istituzioni ufficiali dell’Unione Sovietica cessarono di esistere. Lo scontro ideologico, politico e militare tra i due grandi imperi del XX secolo (gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica) noto sotto il nome di Guerra Fredda perdeva uno dei suoi protagonisti e finiva quindi di avere rilevanza e senso.
Un anno e mezzo dopo, nell’estate del 1993, un professore dell’Università di Harvard, Samuel P. Huntington, pubblicava nella rivista Foreign Affairs un articolo divenuto in seguito famoso: The Clash of Civilizations? (Lo scontro delle civiltà?)
In esso si avanzava l’ipotesi che “la sorgente fondamentale del conflitto nel mondo non sarà più principalmente di ordine ideologico o economico. Le grandi divisioni all’interno del genere umano e la fonte principale di conflitto saranno di natura culturale.”
L’ipotesi sarà poi più ampiamente articolata e ribadita in un libro pubblicato nel 1996 con il titolo: The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order. Interessante notare la scomparsa del punto interrogativo, segno che l’ipotesi era diventata, per l’autore, una tesi oramai accettata e accettabile.
Certamente accettabile lo era per gli ambienti governativi e militari dei vari paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, i quali, dopo la fine del “pericolo comunista” cercavano disperatamente un nemico che giustificasse il loro ruolo di fornitori di sicurezza e le loro spese colossali in materia di armamenti e di personale militare.
In un contesto di ripresa della globalizzazione (che era stata interrotta dallo scoppio della prima guerra mondiale) e di incremento straordinario degli spostamenti di persone da zone un tempo chiuse (ex stati comunisti, Cina) o periferiche e lontane (Medio Oriente, Africa, America Latina), la tesi dello scontro di civiltà, poteva essere vista come uno strumento culturale capace di assolvere due funzioni:
- distinguere la civiltà occidentale dalle altre;
- riaffermare la superiorità della civiltà occidentale rispetto a tutte le altre.
In sostanza, appurato e proclamato che vi era uno scontro di civiltà, la civiltà occidentale doveva proteggere e affermare sé stessa di fronte alle altre civiltà; ed essendo superiore, era legittimata a promuovere i suoi valori di democrazia e di liberalismo anche attraverso una presenza e un intervento militari, dappertutto, nel mondo.
Questa trovata geniale dello scontro di civiltà non solo riusciva ad inventare nuovi e infiniti possibili nemici (le civiltà non occidentali) ma riusciva anche ad assegnare ruoli ben precisi: quello dei buoni agli stati occidentali, e quello dei cattivi a tutti gli individui e gruppi che non si conformavano agli ideali occidentali. In sostanza, si formulava l'esistenza di una situazione come quella riassunta nella espressione : the West against the Rest (l’Occidente contro il Resto del Mondo).
A quel punto c’era solo bisogno di un gruppo di uomini politici che sfruttasse l’idea e trasformasse lo scontro di civiltà in una crociata culturale, cioè in una nuova guerra permanente e globale. Ecco allora arrivare sulla scena i George W. Bush, i Dick Cheney, i Donald Rumsfeld.
Correva l’anno 2001 e il potere cercava una nuova strategia per plasmare il nuovo millennio.
Ma ... un momento. Vi è davvero qualcosa di nuovo in tutto ciò?
George Orwell nel suo romanzo 1984 già aveva parlato di una guerra infinita e globale che coinvolgeva i tre superstati Eurasia, Oceania ed Estasia. In questa guerra non era importante sapere chi era alleato di chi e contro quali nemici si combattesse. Addirittura
“Non è importante che la guerra abbia davvero luogo … Ciò che è necessario è che sussista uno stato di guerra. (“It does not matter whether the war is actually happening .... All that is needed is that a state of war should exist.”)
In sostanza, l’essenziale era che la guerra esistesse nell’immaginario collettivo e assolvesse alla funzione di assorbimento del surplus produttivo (consumo e distruzione di beni da parte dei ceti parassitari) e contribuisse
“a garantire quella atmosfera mentale speciale necessaria per l’esistenza di una società gerarchica.” (“to preserve the special mental atmosphere that a hierarchical society needs.”)
In sostanza la guerra è lo strumento necessario al Grande Fratello per la preservazione dei rapporti di dominio e di subordinazione.
Per questo una delle affermazioni più pertinenti al riguardo è che “la guerra è la salute dello stato.” (War is the health of the state, Randolph Bourne, 1918). E per fare la guerra lo stato ha un bisogno disperato di nemici.
Nel corso della storia, e soprattutto nel corso del XX secolo, con l’affermarsi degli strumenti di comunicazione di massa, è stata inventata e propagandata ad arte l’idea dell’esistenza di nemici globali irriducibili che vogliono impossessarsi del mondo e piegarlo ai loro “loschi” fini.
Tra i nemici inventati dagli intellettuali e pennivendoli al servizio dello stato abbiamo avuto:
- Gli anarchici e l’internazionale del terrore. In realtà, quasi tutti gli atti violenti attribuiti agli anarchici erano o il frutto di squilibrati, di persone affette da delusioni esistenziali, o opera pura e semplice delle varie polizie e servizi segreti degli stati. Quanto a parlare di una internazionale che coordinasse le attività degli anarchici, mai tesi fu più vanesia tenendo conto dell’assoluta incapacità organizzativa (e anche dell’assoluto disinteresse al riguardo) della stragrande maggioranza degli anarchici.
- Gli ebrei e il complotto giudaico. Nel corso della storia e soprattutto a partire dai primi del novecento, con la diffusione dei Protocolli dei Savi di Sion, un testo confezionato ad arte sulla presunta cospirazione ebraica per impadronirsi del mondo, la persecuzione nei confronti degli ebrei è avvenuta in maniera sistematica. Ad essi si rimproverava il fatto di essere gruppo a parte, non assimilato nella vita culturale della nazione, e si rinfacciava il loro potere economico, come se questi aspetti costituissero un crimine (vedi qui). Ad ogni modo, mentre i partiti nazionalisti e razzisti arrivavano al potere dello stato, per gli ebrei, i potenziali dominatori del mondo, si preparavano i forni crematori che li avrebbero inghiottiti a milioni.
- I comunisti e la teoria del domino. Fin dall’inizio il movimento bolscevico fu presentato come una cospirazione ebraica per la dominazione mondiale. Cosa parecchio ridicola se si pensa allo stato di arretratezza della Russia ai tempi della Rivoluzione. Successivamente, il pericolo comunista è stato ingigantito a dismisura fabbricando la teoria del domino, per cui un paese caduto sotto regime comunista avrebbe contagiato-trascinato i paesi vicini. Nella realtà è successo esattamente l’opposto: i regimi comunisti sono crollati uno ad uno contagiandosi a vicenda nel rigetto del totalitarismo statalista (autunno del 1989).
Purtroppo, i nemici, soprattutto quando sono inventati (e lo sono regolarmente allorché si tratta di propaganda statale) hanno il difetto di apparire, alla lunga, come tigri di carta che crollano al levarsi del primo vento di rinnovamento. Per cui bisogna crearne sempre di nuovi.
Adesso, il nuovo nemico inventato dagli statalisti-razzisti-nazionalisti è costituito dagli islamici.
Se si esamina la situazione attuale degli islamici quali futuri dominatori del mondo si vede che essi:
- fanno riferimento a una civiltà che è da molto tempo in uno stato di comatosa stagnazione;
- le loro popolazioni (i locali) sono sotto governanti corrotti e tirannici (in Arabia Saudita, Egitto, Pakistan, Iraq, Afghanistan, ecc.) manipolati, finanziati, armati dalle potenze occidentali;
- i fuoriusciti da quei paesi (immigrati, profughi) vivono in Occidente una vita spesso grama, e molti di loro sono impiegati in lavori umili (spazzini) o faticosi (muratori).
Se a tutto ciò si aggiunge che negli ultimi anni centinaia di migliaia di loro sono stati spesso uccisi, imprigionati, violentati (Algeria, Bosnia, Afghanistan, Iraq, ecc.) direttamente o indirettamente dalle armi vendute da imprese occidentali e dagli eserciti inviati da stati occidentali, allora ci rendiamo conto non solo del loro stato di impotente frustrazione ma anche del perché alcuni di loro impazziscano e compiano atrocità. Che d’altronde rimangono fatti isolati che si concludono inevitabilmente con la immolazione o eliminazione del perpetratore.
In definitiva, a dispetto di quanto sostenuto da Samuel Huntington, invece che di uno scontro di civiltà, quanto sta avvenendo nel mondo ha tutta l’aria di essere uno scontro di inciviltà: da una parte l’inciviltà degli stati occidentali e dei regimi a loro legati o da loro manipolati, e, dall’altra, l’inciviltà impotente di individui rabbiosi fuori di senno che talvolta formano bande criminali con l’intenzione di sostituirsi a quei regimi feudali-militari.
L’ipotesi dello scontro di civiltà si è rivelata erronea anche per altri motivi. Nel suo articolo del 1993 Samuel Huntington affermava:
“Se la civiltà è quello che conta … la probabilità della violenza tra Ucraini e Russi dovrebbe essere bassa. Essi sono sostanzialmente due popoli Slavi di religione ortodossa che hanno intrattenuto relazioni strette tra di loro per secoli.” (“If civilization is what counts … the likelihood of violence between Ukrains and Russians should be low. They are two Slavic primarily Ortodox peoples who have had close relationships with each other for centuries.”)
La guerra in corso tra bande pro-Ucraina e bande pro-Russia e che ha fatto migliaia di morti, soprattutto tra la popolazione civile, rappresenta la smentita più chiara possibile di una tesi stravagante e fuorviante. Le guerre e gli scontri non si hanno tra civiltà, ma tra stati più o meno criminali desiderosi di occupare territori e di dominare popolazioni.
Per cui, la scelta che si presenta alle persone raziocinanti non è quale banda criminale appoggiare o dietro quale mafia trovare protezione, ma rifiutare tutte le bande e tutte le mafie territoriali. In sostanza, né con le mafie occidentali né con le mafie medio-orientali (attuali o future).
Lo scontro-confronto reale è quindi quello tra l’inciviltà del potere monopolistico-territoriale (attuale o potenziale) e la civiltà delle comunità volontarie e dei liberi individui.
Coloro che ragionano in termini di nazioni, masse, razze, religioni dominanti, responsabilità collettiva, hanno sempre bisogno di un nemico per compattarsi nel loro gruppo settario, sotto un leader potente. Costoro sono portatori di inciviltà, qualunque sia la presunta “cultura” a cui facciano riferimento.
E di essi non v’è assolutamente bisogno.
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