Gian Piero de Bellis
I Tre Impostori
(Maggio 2017)
A partire dagli anni 1990 e fino al 2007, Placido Domingo, José Carreras e Luciano Pavarotti hanno costituito un gruppo vocale di grande rinomanza e successo chiamato: I Tre Tenori.
Mi sono ricordato di quel trio di concertisti quando, a seguito di talune letture, per uno strano gioco di associazioni mentali, mi si è presentata l’idea dell’esistenza di un altro trio, molto meno noto anche se presente da più tempo sulla scena politico-statuale, e che chiamerei, data la loro subdola invasività: I Tre Impostori. Essi sono:
- Il Ministro della Produzione
- Il Ministro della Repressione
- Il Ministro dell’Integrazione
Il Ministro della Produzione
Nel 1908 apparve un saggio di Enrico Barone dal titolo: Il Ministro della Produzione nello Stato Collettivista. In esso l’economista anticipava alcuni rilievi e critiche alla pianificazione centralizzata che saranno poi ripresi da Ludwig von Mises nel suo testo Die Gemeinwirtschaft (1932, 2 ed.).
Per Barone, la cosiddetta “anarchia della produzione” che per i dirigisti denota il fallimento della "mano invisibile" in quanto porta ad un sommovimento costante delle quantità di beni prodotti e dei processi produttivi, è invece il requisito indispensabile perché possano emergere di continuo i coefficienti di produzione più efficienti. Per cui, per “gestire” l’economia in vista del risultato migliore, il Ministro della Produzione dello stato collettivista non potrebbe fare altro che utilizzare le stesse categorie del sistema di libero scambio che egli dovrebbe sostituire. A meno di non mettere in atto un sistema economico caratterizzato da una altissima inefficienza nella allocazione dei fattori di produzione. E questo è ciò che si è puntualmente verificato nel corso del XX secolo in tutti i casi di economia dirigista dal centro.
Detto questo, va però evidenziato il fatto che la critica e la pratica liberale al dirigismo statale è stata molto spesso:
a) non del tutto cristallina e coerente, perché tutte le volte che il sistema economico, basato su una presunta universale libertà di impresa e di scambio, si è trovato in difficoltà, gli esponenti nazionali di quel sistema hanno fatto ricorso o addirittura sollecitato e preteso un intervento statale dall’alto che raddrizzasse le cose e rimettesse il sistema in carreggiata. Quindi il dirigismo aborrito e condannato a parole era poi invocato e desiderato nei fatti.
b) del tutto parziale e contraddittoria, perché l’invocata necessità di una pluralità di soggetti nell’ambito del processo produttivo e quindi il rifiuto di un Ministro della Produzione che tutto regolasse economicamente non è stato esteso a tutti gli altri aspetti della vita sociale dove il monopolio statale è stato, dai liberali, accettato se non imposto come dato di fatto naturale.
E arriviamo allora agli altri due Ministri.
Il Ministro della Repressione
Nella seduta del 10 Ottobre 1849, la Società di Economia Politica di Parigi, composta dal fior fiore degli intellettuali liberali, ha dibattuto la questione sollevata da Gustave de Molinari in un suo scritto (Sulla produzione della sicurezza - vedi: Panarchia, Atto I, pp. 34-54) e cioè se il governo potesse sottostare al principio della libera concorrenza.
La risposta generale è stata un chiaro e netto: NO.
Per i liberali vi deve essere nella società una forza superiore investita del potere monopolistico di reprimere i crimini, amministrare la giustizia, fornire la sicurezza, proteggere la proprietà. Questa forza è lo STATO a sovranità territoriale unica. Quindi, tranne pochissime eccezioni (de Molinari, de Puydt) per la stragrande maggioranza dei liberali, in molti ambiti della vita sociale non si applica il principio della libera concorrenza ma il principio del monopolio statale. Anzi, dal dibattito tenutosi in quella sede, è emerso che alcuni liberali erano addirittura favorevoli a un continuo ingrandimento degli stati attraverso successive annessioni delle entità statuali più piccole. In questo modo, secondo loro, il Ministro della Repressione avrebbe potuto operare in maniera più efficace e meno vincolante.
Nel resoconto di quella seduta si legge che « Monsieur Dunoyer, come Monsieur Coquelin e Monsieur Bastiat, pensa che Monsieur de Molinari si sia lasciato fuorviare da illusioni della logica; e che la concorrenza tra governi [sullo stesso territorio] sia una chimera perché condurrebbe a lotte violente. » (vedi: Panarchia, Atto I, pp. 56-59). Non è dato però di capire:
a) come sia possibile che un monopolio della forza non risulti in abusi nei confronti della libertà e sicurezza personale dei cittadini;
b) come sia possibile che un monopolio della forza non conduca ad un allargamento continuo della sfera di attività dello stato in settori che nulla hanno a che vedere con quelli cari ai liberali (giustizia e sicurezza).
E difatti questo è quello che è avvenuto attraverso lo sforzo congiunto di conservatori e liberali. Vediamo molto brevemente come.
Il Ministro dell’Integrazione
Verso la fine del secolo diciannovesimo, Otto von Bismarck, uomo di stato conservatore, cancelliere dell’Impero Tedesco, per integrare i lavoratori sotto lo stato e allontanarli dall’influsso dei socialisti, diede vita a un programma di assistenza sociale (per la malattia, per gli incidenti sul lavoro, per la vecchiaia) che avrà largo seguito e sviluppo da parte di altri stati europei nel corso del ventesimo secolo.
Una spinta decisiva all’integrazione dei cittadini negli stati vecchi e nuovi che stavano sempre più diventando gli attori principali della vita sociale era stata data, già a metà del settecento, dal germogliare, in Francia, delle prime proposte di una educazione a base statale (Louis-René Caradeuc de la Chalotais, Saggio sull'educazione nazionale, 1763). In Prussia, a partire dal 1794, tutti gli istituti educativi furono posti sotto la supervisione dello stato.
In Italia, a seguito dell’unificazione politica, occorreva « fare gli italiani » (Massimo d’Azeglio), e questo poteva avvenire solo attraverso l'istituzione e il continuo rafforzamento di un sistema scolastico statale finalizzato all'allevamento di una popolazione "devota alla Patria e al Re" (secondo le parole di una circolare del 1886 del ministro dell'istruzione Michele Coppino). In questa ottica si inquadrava l’estensione a tutto il Regno Italico della Legge sulla Scuola (regio decreto legislativo del novembre 1859) che prende il nome dall’aristocratico Gabrio Casati, Ministro dell’Istruzione del Regno di Sardegna.
Tutte queste iniziative possono ben essere catalogate come frutto di un piano ben preciso volto a formare una identità nazionale, accettata e condivisa da sudditi fatti in serie, devoti e obbedienti allo stato.
L’esistenza (manifesta o celata) di questi tre Ministri costituisce un tutt’uno, una entità compatta che va sotto il nome di Stato Nazionale Centrale a sovranità territoriale. Pensare di accettare l’uno, ad esempio il Ministro della Repressione, e rifiutare l'altro, ad esempio il Ministro della Produzione, come hanno ritenuto di poter fare i liberali, costituisce solo una illusione per sé e una presa in giro per gli altri.
Ora l’illusione e la presa in giro hanno cambiato un po' d'aspetto. Nell’ambito della ideologia dei cosiddetti anarco-capitalisti (i successori dei liberali) essa consiste nel ritenere che tutti i compiti necessari alla vita sociale e culturale di una comunità possano essere intrapresi e svolti sulla base di una ricerca del profitto economico. Questo costituisce non solo un abbaglio ma anche uno svilimento della persona umana e delle associazioni tra persone, riducendo tutte le motivazioni e tutte le azioni al puro calcolo mercantile.
Detto questo, ugualmente sbagliato sarebbe pensare che ciò che non avviene sulla base di un meccanismo economico (il mercato) possa avvenire invece attraverso l’azione di una entità politica super partes (lo stato). Limitare i propri orizzonti a queste due alternative fasulle rappresenta una mutilazione morale e culturale.
Infatti, compiti ed esigenze di civiltà (igiene, cultura, estetica, aiuto reciproco, cura della natura, ecc.) hanno sempre trovato persone che si sono impegnate sulla base di motivazioni che trascendono sia l’aspetto economico (profitto materiale) che quello politico (potere sugli altri).
L’importante è il non essere impediti nelle proprie azioni né da interessi economici soffocanti né da vincoli burocratici assurdi.
Solo così sarà possibile che mille fiori sboccino e che appassiscano in soffitta ministri dirigisti di qualsiasi colore e denominazione.
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