Gian Piero de Bellis

Capitalismo - Socialismo : l’assurdo gioco delle parti

(Febbraio 2012)

 


 

Il dibattito e la lotta politica nel corso del secolo XX si sono incentrati, in misura notevole, su due fazioni (destra e sinistra) e su due concezioni (socialismo e capitalismo).
È allora interessante e utile analizzare brevemente la realtà su cui si basa la contrapposizione capitalismo-socialismo e verificare se essa abbia avuto senso in passato e se ne abbia ancora nel XXI secolo.

Innanzitutto occorre tener presente che, nel corso del XX secolo, le idee di socialismo (libertà dallo sfruttamento, uguaglianza, fratellanza, ecc.) e le pratiche capitaliste (modo di produzione, libertà di commercio) sono state trasformate dagli intellettuali in ideologie e, sulla base di quelle ideologie, sono state costruite esperienze storiche reali di organizzazione politica e sociale che gli stessi intellettuali (non tutti) hanno definito, volta a volta, come espressioni del capitalismo o del socialismo.

Per questo, una analisi del capitalismo e del socialismo deve trattare i due aspetti (ideale e materiale) relativi a queste due ideologie e vedere se essi coincidono o differiscono. In altre parole occorre esaminare:

  • il capitalismo e il socialismo come idee (ideale)
  • il capitalismo e il socialismo come realtà (reale).

Passiamo allora sinteticamente in rassegna questi aspetti, uno alla volta.

 

Il capitalismo ideale

Il capitalismo come modello ideale si basa essenzialmente su tre fondamenta:

  • la libera impresa (in contrapposizione ai vincoli corporativi esistenti nelle botteghe artigiane e alle successive intromissioni statali nella gestione delle imprese);
  • il libero commercio (in contrapposizione ai dazi del mercantilismo e al protezionismo economico dello statismo);
  • lo sviluppo tecnologico (in contrapposizione ai controlli e alle paure relative all’introduzione delle macchine in epoche precedenti).

Una formula che riassume queste caratteristiche è l’espressione, nota e celebrata, del “laissez-faire laissez-passer”, attribuita da alcuni al mercante Legendre (vedi John Maynard Keynes, La fine del laissez-faire, 1926) e da altri al marchese Vincent de Gournay (« Ces deux mots, laisser faire et laisser passer, étant deux sources continuelles d’actions, seraient donc pour nous deux sources continuelles de richesses », 1753).
A questi aspetti alcuni aggiungono la figura dell’imprenditore, la nascita della classe operaia, la proprietà privata dei mezzi di produzione e la ricerca del profitto.

A tale riguardo va subito detto che alcune caratteristiche attribuite al capitalismo sono, in realtà, componenti essenziali dell’essere umano, presenti nel corso della storia. Il libero commercio, ad esempio, esisteva nel Mediterraneo già ai tempi dei Fenici e Adam Smith ha riconosciuto come intrinseca alla natura umana "la propensione a trafficare, barattare e scambiare una cosa per l'altra." (1776, La ricchezza delle nazioni, Libro I, capitolo 2). Per quanto concerne la ricerca del guadagno (profitto) Max Weber ha sottolineato che "la sete di lucro, l'aspirazione a guadagnare denaro più che sia possibile, non ha di per sé stessa nulla in comune col capitalismo. Questa aspirazione si ritrova preso camerieri, medici, cocchieri, artisti, cocottes, impiegati corruttibili, soldati, banditi, presso i crociati, i frequentatori di bische, i mendicanti; si può dire presso all sorts and conditions of men, in tutte le epoche di tutti i paesi della terra, dove c'era e c'è la possibilità obiettiva." (1904-1905, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo).

E, anche in riferimento agli altri aspetti (libera impresa, proprietà privata dei mezzi di produzione, lavoro dipendente) non vi è nulla di radicalmente nuovo se non l’introduzione, su larga scala, delle macchine e della divisione del lavoro. Per questo gli economisti classici parlano di modo di produzione capitalistico e non di capitalismo.
Infine, il “laissez-faire laissez-passer” è stata, con parole e accenti diversi, l’aspirazione e l’esigenza di tutte le persone produttive da che esiste il mondo e non è giusto qualificare tutto ciò come proprio solo del capitalismo.

A questa caratterizzazione, molto sintetica, del capitalismo ideale, vediamo cosa ha corrisposto nella realtà dei fatti.

 

Il capitalismo reale

Il capitalismo reale che si è manifestato a partire dalla Rivoluzione Industriale (metà del XVIII secolo) presenta le seguenti caratteristiche:

  • La grande impresa ha un certo spazio di manovra ma l’imprenditore non è libero di produrre dove e come vuole. Lo stato interviene già nell’ottocento a limitare non solo lo strapotere padronale ma anche spazi legittimi di libertà d’impresa. Il controllo statale è concesso in cambio di aiuti statali, creando un connubio tra i due padronati (imprenditoriale e statale) che è il marchio distintivo del capitalismo reale.
  • Per quanto riguarda la libertà di commercio, essa è garantita soltanto a livello nazionale ed è proclamata e sostenuta a livello internazionale unicamente dal paese economicamente più avanzato (la Gran Bretagna) e solo fino a quando esso conserva la superiorità nella produzione industriale. Nel corso del XX secolo tutti i paesi “capitalisti” sono più o meno protezionisti (a partire dagli Stati Uniti). Per cui il cosiddetto libero scambio “capitalistico” è, in generale, meno libero di quello esistente ai tempi dei Fenici.
  • Infine, per quanto concerne lo sviluppo tecnologico, esso ha luogo in quanto le condizioni erano mature, preparate dai secoli precedenti con lo sviluppo e la diffusione del metodo scientifico; esso però risulta frenato, in una certa misura, dal padronato statale-imprenditoriale attraverso l’introduzione di brevetti (che non favoriscono la libera circolazione delle conoscenze) e dal controllo statale-burocratico di alcuni settori importanti (ad es. la telefonia) che si sviluppano solo più tardi a seguito della loro liberalizzazione.

A tutto questo dobbiamo poi aggiungere che gli imprenditori si comportavano talvolta da padroni assoluti, retaggio di un passato feudale, utilizzando il Parlamento per vietare le unioni operaie (in Inghilterra e Germania), assoldando scagnozzi (ad es. negli USA gli agenti della Pinkerton, una agenzia di investigazione creata nel 1850 da Alan Pinkerton, che ben presto si mise al servizio dei proprietari industriali) per intimidire i lavoratori in sciopero, sfruttando le maestranze con ritmi di lavoro estenuanti per ottenere profitti notevoli nel breve periodo, lanciandosi in avventure imperialistiche e in speculazioni finanziarie che nulla avevano a che vedere con il capitalismo industriale della libera impresa e del libero scambio.

Contro questa realtà, su cui non si può sorvolare a meno di non fare l'apologia del padronato capitalista, spesso in combutta con il padronato statale, si sono opposti i socialisti e gli anarchici con le loro idee e azioni.
Vediamo allora di esaminare, a sua volta, cosa ha proposto il socialismo ideale e cosa ha realizzato il socialismo reale.

 

Il socialismo ideale

I principi base del socialismo ideale possono essere fatti risalire alle aspirazioni ideali della Rivoluzione Francese espresse nella formula : liberté – égalité – fraternité. In sostanza:

  • libertà dai vincoli di oppressione padronale;
  • uguaglianza intesa come fine dei privilegi;
  • fratellanza come pratica del mutuo appoggio.

A questi tre principi cardine del socialismo, si possono aggiungere la figura del proletario e la classe lavoratrice-produttrice come agente di una rivoluzione avente come obiettivo la fine dell’indigenza, dello sfruttamento e dell’alienazione, con il passaggio dal regno della necessità al regno della libertà.
Anche in questo caso va subito fatto notare che, alla pari del capitalismo ideale, siamo qui in presenza di aspirazioni universali presenti in tutto il corso della storia dell’umanità. Tali aspirazioni hanno costituito materia di lotta per tutti gli oppressi e per tutti gli sfruttati, dai tempi antichi, passando per Spartaco e gli schiavi che sfidarono il potere di Roma, per arrivare ai giorni nostri con gli individui che, in Siria e altrove, sono pronti a morire pur di liberarsi dalla tirannide e dallo sfruttamento dei padroni.
Quindi, parlare di aspirazioni e obiettivi socialisti è un po’ improprio e riduttivo se non addirittura scorretto in quanto non è giusto vederli come esclusivo appannaggio del socialismo. Essi sono valori e obiettivi dell’essere umano maturo e sviluppato, come lo sono il laissez-faire e il laissez-passer a cui si è fatto cenno più sopra.

A questo punto una constatazione ed una domanda sorgono spontanee. La constatazione è che, sulla base di una analisi spassionata del tema, sia il capitalismo che il socialismo ideale risultano esprimere valori e aspirazioni universali che, pur con accenti e sottolineature differenti, li rendono notevolmente simili. Allora, una persona dovrebbe chiedersi: se esistono, nel socialismo e nel capitalismo ideale, una serie di somiglianze e comunanze in termini di idee e di obiettivi, come possiamo spiegare lo scontro accanito tra i fautori delle due concezioni a partire dal XIX e nel corso del XX secolo?
Per capire ciò dobbiamo completare il quadro e parlare del socialismo reale.

 

Il socialismo reale

Uno dei punti fermi del socialismo è il fatto che l’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi. Inoltre, un dato fondamentale della concezione socialista è che la rivoluzione avrà luogo là dove più avanzata è l’evoluzione del capitalismo in quanto si tratta solo di raccogliere e diffondere, in maniera umana e razionale, i frutti generati dal capitalismo. Quello che è avvenuto invece è che, già nel corso dell’ottocento, sono emersi individui, provenienti per lo più dalle classi dominanti (avvocati, insegnanti, intellettuali, ecc.) che hanno iniziato a rappresentare politicamente gli operai attraverso la costituzione di partiti socialisti. È poi accaduto che la rivoluzione (cosiddetta socialista) sia scoppiata in uno dei paesi più arretrati e feudali d’Europa, la Russia degli zar. Questi due fatti hanno influito pesantemente, in maniera negativa, su tutta la successiva evoluzione del socialismo. Se esaminiamo come sono state trattate le tre aspirazioni sopra delineate vediamo che:

  • La libertà è stata subito accantonata e nuovi vincoli di soggezione sono stati introdotti una volta che un partito è diventato padrone dello stato. Questi vincoli erano tanto più forti e più odiosi quanto più arretrato era lo stato.
  • L’uguaglianza è stata bollata come deviazione piccolo-borghese (Stalin) e addirittura le disuguaglianze salariali nel socialismo reale russo erano maggiori di quelle esistenti nel capitalismo reale americano.
  • La fratellanza è stata usata come arma di manipolazione per sottomettere i lavoratori alla casta statale. La classe operaia era teoricamente al potere ma alcuni passavano la vita a spazzare le strade mentre altri sedevano comodamente dietro una scrivania e andavano a fare acquisti in negozi ad essi riservati. Nella brillante formulazione di George Orwell (un socialista delle idee), nel socialismo reale tutti sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. (George Orwell, Animal Farm, 1945).

In sostanza il proletariato è stato utilizzato nei paesi arretrati in cui è scoppiata la rivoluzione “socialista” come manovalanza da sfruttare per avviare l'industrializzazione. Lenin era un entusiasta del taylorismo e di tutte le pratiche in cui il lavoratore veniva spremuto fino all'osso per la grandezza e la potenza dello stato operaio. Per Lenin il socialismo era soviet + elettrificazione, il che, tradotto in termini reali, voleva dire: dominio della setta bolscevica + industrializzazione forzata tramite sfruttamento dei lavoratori.

Una analisi un po’ approfondita del socialismo reale individuerebbe molti altri punti di somiglianza con il capitalismo reale, padronale e corporativo. E quando le somiglianze non appaiono così evidenti è solo perché si ha a che fare con livelli diversi di sviluppo economico. Tanto è vero che, quando, con Hitler, abbiamo un paese avanzato che imbocca la strada del socialismo nazionale, le differenze tra i due schieramenti scompaiono. Ecco quanto afferma un acceso comunista nella Germania degli anni ‘30 : “Hitler? Non deve fare altro che applicare il suo programma, adesso che ha vinto. Era quasi lo stesso programma di noi comunisti! Ma lui è stato più furbo, ha rassicurato la borghesia evitando di attaccare subito la religione ...” (Denis de Rougemont, Journal d’Allemagne, 1938)

 

Conclusione

Tutta questa introduzione, peraltro molto sommaria, al socialismo e al capitalismo (ideale e reale) è stata necessaria per formulare l’ipotesi seguente, e cioè che la contrapposizione tra socialismo e capitalismo è stata inventata dagli ideologi delle due fazioni per ritagliarsi una ragione di esistenza e per dare ai ceti padronali dominanti una ideologia che ne giustificasse l'esistenza. Questa contrapposizione fasulla non è altro che un gioco delle parti che funziona in questo modo:

I fautori del capitalismo attaccano i fautori del socialismo rimproverando loro (correttamente) tutti i crimini e i misfatti commessi dal socialismo reale e ignorando o stravolgendo (scorrettamente) le idee (peraltro di valore universale) contenute nel socialismo ideale.

Come rispondono a questo i fautori del socialismo? Lo avete già capito.

I fautori del socialismo attaccano i fautori del capitalismo rimproverando loro (correttamente) tutti i crimini e misfatti commessi dal capitalismo reale e ignorando o stravolgendo (scorrettamente) le idee (peraltro di valore universale) contenute nel capitalismo ideale.

In questo scontro tra sordi che non vogliono sentire, in cui domina, a seconda dei casi, l’ingenuità, l’ignoranza o l’assoluta disonestà intellettuale, ognuno dipinge l’altro nel peggiore modo possibile e raffigura sé stesso come l’angelo protettore, risolutore di tutti i problemi e di tutte le ingiustizie, apportatore di libertà e di giustizia, come pure di benessere per tutti. In sostanza, formulando una serie di fandonie espresse nella maniera propria del più disgustoso marketing politico.

Dal momento che tutto ciò non è altro che una costruzione senza senso, buona solo per gli illusi di professione, il risultato è che, in entrambi i casi, una volta giunti al potere, i fautori del socialismo e quelli del capitalismo hanno promosso e continuano a promuovere entrambi lo statismo, cioè il dominio dello stato e dei ceti parassiti ad esso associati. Per questo alcuni parlano di capitalismo di stato e di socialismo di stato come se il capitalismo e il socialismo, nella loro concezione originaria, avessero davvero qualcosa a che fare con lo stato.
Da tutto ciò ne deriva una semplice conclusione e cioè che l’opposizione vera non è tra socialismo e capitalismo ma tra statismo monopolistico parassitario da una parte e antistatismo libertario produttivo dall’altra. E libertario vuol dire liberatorio da tutti i padroni, sotto qualsiasi sigla (socialismo, capitalismo) essi cerchino di mascherarsi. 

L’economista Joseph Schumpeter aveva a suo tempo ben capito questo gioco delle parti. A metà del secolo scorso, riferendosi alla guerra fredda egli affermò: "si tratta di una guerra tra un paese cosiddetto socialista ed un paese cosiddetto capitalista". ("it is a war between a supposedly socialist and a supposedly capitalist country.") (Capitalism, Socialism, Democracy, 1947)
Purtroppo questa contrapposizione inventata, che si scioglierebbe come neve al sole se solo si parlasse di realtà concrete e non di costruzioni fasulle, fa comodo a troppe persone. Innanzitutto a quel magma pseudo-intellettuale che su questa contrapposizione ci marcia e ci campa da decenni, e poi alla mafia politica che ha costruito le sue fortune (statali) proprio su di essa (da Mussolini, alla Democrazia Cristiana, a Berlusconi, per finire ai giorni nostri).

Questa contrapposizione si sta adesso disgregando perché lo stato si sta disgregando e la casta ha bisogno di ricompattarsi riducendo i contrasti fittizi al suo interno. Purtroppo questo non vuol dire la fine delle contrapposizioni fasulle in quanto esse fanno troppo comodo al potere; perciò altre ne stanno sorgendo, ad esempio di tipo nazionalistico o pseudo-religioso.
Infatti per il potere è indispensabile instillare paure, creare ad arte nemici spaventosi e al tempo stesso porsi a difesa del gregge. In tal modo i padroni continueranno a farla da padroni e a tosare il loro gregge.

Allora, smascherare le contrapposizioni create ad arte, smetterla di avere paura del nulla e abbandonare il gregge perché non si è pecore (con tutto il rispetto per le pecore prese qui solo in senso figurato) e non c’è quindi alcun motivo per restare nel gregge, è il primo passo non solo per la fine di questo gioco assurdo delle parti ma anche di questa farsa assurda fatta di idioti burattini e di ignobili burattinai.

 


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