Gian Piero de Bellis

I soldi degli altri

(Agosto 2015)

 


 

L’economia feudale, sulla base delle ricerche degli storici, appare come una economia chiusa al servizio del feudatario che possiede le risorse produttive (la terra) e fornisce ai contadini gli strumenti per la lavorazione dei prodotti (ad es. il mulino per macinare il grano). Gli attrezzi di produzione sono di tipo elementare e non richiedono grossi investimenti di tempo e di energie lavorative.

Nel periodo successivo che precede l’affermarsi del capitalismo, assistiamo alla crescita della divisione sociale del lavoro. Un numero crescente di contadini diventano commercianti o artigiani a tempo pieno e danno vita a nuovi agglomerati urbani. Anche in questo caso non vi è necessità di grossi capitali per dotarsi di strumenti di produzione o di una certa quantità di merci da commerciare, a meno che non si tratti di commercio per mare su grandi distanze.

È solo con la nascita della manifattura e della grande industria basata sull’uso sempre più esteso delle macchine che si ha bisogno di capitali sufficienti per avviare e sostenere il processo produttivo (edifici, materie grezze, congegni meccanici, salari, energia motrice, ecc.).
Il capitalista quindi, a differenza del feudatario, dell’artigiano e del commerciante, ha bisogno di risorse che provengono dall’esterno sotto forma di beni accumulati (capitali) che permettano di concentrare macchine, materie prime e forza-lavoro umana in un unico luogo (la grande impresa) sotto la guida del capitalista e la supervisione di altre figure tecniche.

Quello che quindi caratterizza in particolare il capitalismo sono due aspetti concatenati che portano ad un incremento della produzione e alla trasformazione del vecchio mondo feudale.

- La socializzazione del credito. Il capitalista utilizza risorse altrui per produrre beni che servono a tutti. In sostanza egli impiega i risparmi degli altri in modo più produttivo e intelligente di quanto essi sarebbero capaci o interessati a fare.
- L’estrazione del profitto. Le capacità imprenditoriali che portano ad un impiego produttivo delle risorse altrui sono compensate sotto forma di profitti d’impresa.

La critica che taluni hanno portato e portano nei confronti del capitalista non ha riguardato la sua funzione sociale (utilizzo del credito per la produzione di beni). La critica verte sul fatto che egli si è arricchito in maniera eccessiva utilizzando le risorse degli altri, i quali sono stati spremuti al massimo e non sono stati remunerati a sufficienza per il contributo da essi dato per il successo dell’impresa, sotto forma di risparmio e di lavoro. Nessuno però ha messo in dubbio la necessità di un compenso che premiasse le capacità imprenditoriali e le energie spese per la direzione dell’impresa.

Inoltre va detto che, in passato, l'imprenditore, oltre alle sue capacità ed energie, di solito metteva anche suoi capitali e rischiava di perdere tutto se il suo investimento non fosse andato a buon fine. Quindi un profitto, anche notevole, era spesso del tutto giustificato.

Nel corso del tempo è però avvenuto che le attività di speculazione capitalistica si sono trasformate radicalmente. La speculazione, come dice la parola, è una esplorazione-valutazione personale di cosa accadrà o potrebbe accadere in futuro. Da ciò possono derivare conseguenze economiche e sociali positive per l’individuo e per la collettività allorché, ad esempio, chi specula riesce ad individuare bisogni latenti o potenziali a cui cerca di dare soddisfazione attraverso la produzione di beni e servizi.
Chiamiamo questa « speculazione industriale ». Essa è il prodotto della creatività e dell’energia degli individui ed ha effetti benefici per tutti.

Purtroppo, attualmente, non è questo il tipo dominante di speculazione economica. Infatti, la speculazione industriale è stata ampiamente rimpiazzata, per peso ed estensione, dalla speculazione finanziaria. Questa speculazione, in linea generale,

- è opera di entità che sorgono su autorizzazione dello stato (banche, fondi di investimento, ecc.)
- esse si arricchiscono trattando strumenti monetari imposti e regolati dallo stato (legal tender)
- godono di privilegi legali concernenti il denaro a loro disposizione (riserva frazionaria)
- dispongono a loro vantaggio di asimmetrie informative profonde (inside trading)
- non producono alcun bene o servizio utile per i consumatori
- sono praticamente immuni dal fallimento (too big to fail) qualsiasi azzardo esse compiano.

A questo riguardo va detto che sotto la presidenza di George W Bush (2008) le istituzioni finanziarie americane hanno ottenuto un fondo di salvataggio di 700 miliardi di dollari. E le banche tedesche hanno potuto contare, sempre nel 2008, su 480 miliardi di euro di denaro pubblico per coprire i loro buchi di bilancio. Questi sono solo due esempi di un comportamento folle e criminale, indispensabile per fare sì che le banche e le istituzioni finanziarie possano continuare a operare all'infinito come foraggiatrici del debito statale e dei vizi e sprechi dei ceti parassitari.

Purtroppo, tutti coloro che si pongono come difensori ad oltranza del capitalismo:

- non fanno alcuna distinzione tra speculazione industriale e speculazione finanziaria;
- non sembrano minimamente interessati a distinguere se il capitalista rischia (anche e soprattutto) del suo o gioca (solo e soltanto) con i soldi degli altri.

Per essi la speculazione è un fatto positivo sempre e comunque. In ciò essi si pongono pedissequamente sulla scia di un gentile e amabile signore austriaco dell'ottocento che, scrivendo 50 anni fa, non sembra avesse la più pallida idea di quello che il genio criminal-finanziario degli speculatori avrebbe escogitato in futuro.
Così facendo però i procapitalisti vedono solo metà della realtà e si comportano come colui che giustifica sempre i comportamenti della sua parte anche quando si tratta di azioni idiote o di assolute nefandezze. In altre parole « My country, right or wrong. » Al che si potrebbe loro rispondere con la frase di Gilbert K. Chesterton, l’inventore di Padre Brown, che “‘My country, right or wrong,’ is a thing that no patriot would think of saying. It is like saying, ‘My mother, drunk or sober.’”

In sostanza, i procapitalisti, orbi di un occhio e inforcando per quello rimasto lenti speciali di colore rosa, ribadiscono in continuazione che tutto è bene (quello che fanno i capitalisti) nel migliore dei mondi possibile (quello capitalistico). E se c’è qualcosa di male, ciò, a priori, nulla ha a che vedere con il capitalismo e con i capitalisti.
In questo essi ricordano i fascisti duri e puri, per i quali Mussolini aveva sempre ragione.

I procapitalisti mostrano punti di somiglianza anche con gli anticapitalisti. Nella società contemporanea entrambi vogliono vivere utilizzando i soldi degli altri o attraverso il circuito bancario-borsistico (regolato dallo stato) o direttamente attraverso lo stato (banca centrale). Per fare ciò moltiplicano continuamente la quantità di denaro a loro disposizione attraverso la riserva frazionaria, il gonfiamento dei valori borsistici, l’emissione pura e semplice di moneta, l’invenzione e la vendita di prodotti finanziari tossici. Per questo potremmo dire che il capitalismo finanziario è il vero socialismo moderno (il cosiddetto lemon socialism), basato com’è su una doppia socializzazione, quella del credito (gli altri mettono i soldi) e quella delle perdite (gli altri perdono i soldi). In mezzo ci sono i maghi della finanza che i soldi li fanno sparire. In sostanza, come recita un adagio: « Socialism for the rich and capitalism for the rest of us. »

Fortunatamente, le dinamiche attuali ci fanno intravedere un mondo che va al di là della sterile e fasulla contrapposizione tra procapitalisti e anticapitalisti. Sempre più si sta delineando un futuro in cui è possibile e praticabile su larga scala:

- la personalizzazione del credito. Ciò vuol dire finanziare direttamente le persone e le iniziative che si ritiene degne di essere finanziate e trarne direttamente una soddisfazione morale e/o un utile materiale;
- la de-statizzazione dei mezzi di pagamento-investimento (monete alternative). Ciò vuol dire riappropriarsi del denaro invece di utilizzare i soldi dello stato e delle banche che sono solo nominalmente e in maniera fittizia soldi della gente.

In sostanza, fine delle intermediazioni parassitarie, delle asimmetrie informative, delle speculazioni finanziarie con i soldi degli altri e del parassitismo statale pagato coi soldi di tutti.
Più di 150 anni fa già era manifesto a chi voleva vedere che « Tutta la finanza, tutto il sistema affaristico delle banche, è intrecciato nella maniera più stretta con i prestiti statali. » (1852, Karl Marx, Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte).
Si tratta allora di passare dalle illusioni contrapposte (capitalismo-anticapitalismo) alle azioni creative. Solo così arriveremo a vivere in un mondo post-capitalista e post-statalista che sarà come ognuno di noi sarà capace di costruirlo e di organizzarlo, per sé e per le persone con cui vorrà associarsi.

 


 

P.s. : Chi volesse iniziare a documentarsi sul tema potrebbe dare una scorsa ai seguenti testi:

Frank Partnoy, Infectious Greed, 2004

Charles Ferguson, Predator Nation, 2012

Greg Smith, Why I left Goldman Sachs, 2012
(Disponibile su Internet: Why I am leaving Goldman Sachs, New York Times, Marzo 2012)

 


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