Gian Piero de Bellis
Il mito della scarsità
(Luglio 2015)
Verso la fine degli anni sessanta, l’attivista e teorico dell’anarchia Murray Bookchin scrisse un saggio Post-Scarcity Anarchism che sarebbe poi apparso nel 1971 in una sua raccolta avente quello stesso titolo.
La tesi centrale sostenuta era che « per la prima volta nella storia, siamo sulla soglia di una società di post-scarsità ». Per Bookchin post scarsità e anarchia si coniugavano benissimo perché solo quando l’essere umano non è sottoposto a vincoli e fatiche lavorative estenuanti per procurarsi i mezzi per vivere, una esistenza umana libera e appagante può avere inizio.
Sono passati quasi 50 anni da quando quel testo fu redatto ma sembra che parecchie persone non si siano ancora rese conto che noi viviamo, da tempo, in un mondo in cui la scarsità è un fenomeno del passato. E, anche per quanto riguarda il passato, occorre precisare che la scarsità è stata quasi sempre il risultato di contingenze straordinarie prodotte dalla natura (terremoti, inondazioni, parassiti infestanti, ecc.) o dagli esseri umani (distruzioni, desertificazioni, guerre, persecuzioni, ecc.) e non una condizione socio-economica permanente.
A partire dalla Rivoluzione Scientifica e dalla Rivoluzione Industriale dei secoli XVII-XVIII e poi successivamente, con i miglioramenti continui nei processi produttivi che hanno innalzato la produttività (in agricoltura e nell'industria) e con la scoperta di nuove risorse (ad es. energetiche), la crescita della produzione è stata un processo secolare.
Il problema che è emerso a partire dall’epoca dell’industrialismo avanzato (metà del secolo XIX) è come riuscire a smerciare tutto quello che viene prodotto e non come far fronte alla scarsità. A tal fine, negli ultimi due secoli sono state escogitate tutta una serie di misure e di interventi di cui si offre qui una lista (non certo esaustiva) e alcuni sommari commenti.
Stratagemmi messi in atto (nel passato e nel presente) per cercare di risolvere
il problema dello smaltimento della produzione eccedente (surplus)
1. Nazionalismo. Creazione di un mercato interno controllato e monopolizzato dai produttori nazionali. Lo slogan (tuttora in voga): « comprate prodotti nazionali » mira a convincere i sudditi dello stato nazionale ad assorbire quello che l’economia nazionale è in grado di produrre.
2. Protezionismo. Il nazionalismo economico riceve poi un notevole impulso attraverso il protezionismo statale che impedisce l’accesso di prodotti esteri concorrenti attraverso dazi elevati e quote prestabilite. Ne risulta però che, se tutti gli stati attuano una politica protezionista, gli sbocchi possibili si restringono per tutti i produttori. E anche in un grande paese con un grande mercato, come gli USA, il protezionismo del primo dopoguerra è visto da alcuni storici come una delle cause all'origine della crisi del ’29.
3. Imperialismo. Una delle carte giocate dai capitalisti è stata quella dell’imperialismo. Esso è servito a poco perché, come rilevato da A. J. P. Taylor, l’imperialismo non ha portato alcun beneficio economico sostanziale. Per quanto riguarda in particolare gli sbocchi commerciali, il potere d’acquisto dei popoli delle economie sottosviluppate era bassissimo e quindi essi non costituivano un mercato rilevante per l’assorbimento delle merci. L’unico contributo in tal senso (incremento dei consumi) l’imperialismo l’ha dato indirettamente attraverso l’espansione del militarismo e del burocratismo.
4. Militarismo. Le spese militari hanno sempre costituito uno strumento rilevante per consumare risorse. Un famoso (e sarcastico) documento al riguardo è il Rapporto da Iron Mountain sulla possibilità e desiderabilità della pace. Anche nel loro testo Il Capitale Monopolistico, Paul Baran e Paul Sweezy pongono le spese militari come uno strumento indispensabile per l’assorbimento del surplus.
5. Burocratismo. In concomitanza con il militarismo e l’espansione del personale militare improduttivo, la crescita dell’apparato burocratico svolge anch’essa delle funzioni essenziali nei riguardi del problema del sovrappiù. I burocrati infatti (a) consumano senza produrre; (b) ostacolano e limitano la produzione.
6. Spese imposte per legge. Le lobbies padronali hanno sempre spinto gli organi dello stato a introdurre misure che si traducevano in esborsi per i consumatori, spesso con il pretesto della sicurezza. Per cui abbiamo il continuo aggiornamento di impianti imposto per legge (impianti a norma), le cinture di sicurezza sugli autobus per tutti i passeggeri (UK), norme che impongono la tenuta di registri o l’acquisto di apparecchiature di controllo, tutti capitoli di spese che contribuiscono allo smaltimento del surplus.
7. Lavori non produttivi. Oltre alla dilatazione della burocrazia, è indispensabile per l’assorbimento della produzione eccedente, la creazione di occupazioni del tutto improduttive, spesso attraverso misure legislative che impongono registrazioni e controlli burocratici. Nelle società avanzate contemporanee un numero crescente di persone è destinato a svolgere a tempo pieno lavori del tutto inutili (passacarte) che sono solo un pretesto per tenerle occupate.
8. Assistenzialismo. Coloro che sono del tutto inaffidabili e porterebbero scompiglio anche nello svolgimento di un lavoro inutile, sono assistiti (welfare) e ricevono a casa un assegno. Il loro ruolo esclusivo nella società è quello di consumare. Tutte le proposte di un "reddito di cittadinanza" rappresentano solo ulteriori strumenti per permettere al sistema attuale di continuare a funzionare.
9. Pubblicità. Risorse ingenti (umane e fisiche) sono impiegate per invogliare le persone a consumare. La pubblicità, martellante e onnipresente, ha il compito di spingere le persone al consumo con tutti i mezzi forniti dagli studi psicologici e dagli strumenti di comunicazione. Gli scritti di Vance Packard, in particolare The Hidden Persuaders, 1957 (I persuasori occulti) e The Waste Makers, 1960 (I produttori dello spreco) documentano tutto ciò in maniera estremamente chiara.
10. Vendita a credito. Uno strumento importante per permettere alle persone di consumare anche in mancanza di disponibilità monetarie immediate e sufficienti è la vendita a rate o a credito. In Inghilterra le persone che si rovinano finanziariamente acquistando a credito sono una legione ma esse vengono assai di rado penalizzate (ritiro della carta di credito) in quanto, con il loro consumo irrefrenabile, assolvono una funzione essenziale per il funzionamento attuale dell’economia.
11. Consumismo. Il consumo incessante anche di beni di cui la persona non ha realmente bisogno è una caratteristica della nostra epoca, di cui non si discute più di tanto. Per molti la soddisfazione è data più dall’atto stesso di acquistare che dall’uso dell’oggetto acquistato, che talvolta è subito accantonato o addirittura rimane nell’imballaggio di origine. Una indicazione evidente dell’iperconsumismo è il numero crescente di persone obese o sovrappeso (il 50% della popolazione inglese secondo alcune fonti).
12. Indebitamento e stampa di moneta. Una spinta al consumo del sovrappiù è data dai governanti statali attraverso l’indebitamento e l'emissione di enormi quantità di denaro (il cosiddetto quantitative easing) che ha di mira la ripresa dei consumi nel mercato interno (maggiore disponibilità di denaro) e in quello estero (attraverso la svalutazione della moneta e un cambio più conveniente per le esportazioni).
13. Spreco. In presenza di forze produttive da occupare, lo spreco sotto forma di edifici (case, ospedali, ecc.) costruiti e non utilizzati o strade che non portano da nessuna parte o sono usate da pochissimi utenti, rappresenta l’alternativa meno scioccante allo scavo e al riempimento di buche. Lo spreco avviene anche a livello familiare e nei luoghi di produzione. Si stima ad esempio che nelle famiglie inglesi ogni anno si getti nella spazzatura cibo per un valore che oscilla tra le 250 e le 400 sterline. E che ogni anno, secondo l’Institution of Mechanical Engineers, tra 1,2 e 2 miliardi di tonnellate di cibo vada persa a causa di cattive pratiche nel raccolto, nella conservazione e nel trasporto delle derrate alimentari.
14. Obsolescenza programmata. Nel 1932 Bernard London in un famoso articolo ha invocato l’obsolescenza programma, fissata dal produttore o stabilita per legge, quale metodo necessario per uscire dalla depressione. In tal modo « nuovi prodotti sarebbero stati costantemente riversati dalle fabbriche sul mercato per rimpiazzare i prodotti obsoleti, e gli ingranaggi dell’industria avrebbero funzionato al meglio e gli impieghi sarebbero stati regolarizzati e assicurati per le masse.” (Bernard London, 1932)
15. Stoccaggio di beni. In molti casi (ad esempio prodotti agricoli) i beni prodotti sono stoccati in celle frigorifere come avviene nell’Unione Europea per il latte e la carne. In questo modo si cerca di limitare la presenza sul mercato di prodotti in sovrabbondanza, il che avrebbe effetti deprimenti sui prezzi.
16. Distruzione vera e propria di merci. La distruzione del bene prodotto è un’altra strada percorsa. Questo è avvenuto ad esempio durante gli anni della depressione negli USA quando il governo ha voluto sostenere il prezzo dei prodotti agricoli. Questo è un indice che una crisi economica può derivare dalla impossibilità di smerciare beni a prezzi convenienti per il produttore, e ciò è l'esatto opposto della scarsità.
17. Disastri naturali visti come toccasana. Quando le misure precedenti prese dall’uomo non portano a risultati immediati, allora i disastri naturali sono visti come un toccasana. Sulla base di questa visione (assurda) delle cose un quotidiano della Florida (USA) ha potuto pubblicare un articolo con il titolo: « Hurricane Andrew Good News for South Florida Economy. » E l’economista liberale J. M. Keynes ha potuto scrivere : « La costruzione di piramidi, i terremoti, persino le guerre possono servire ad accrescere la ricchezza … » (Teoria generale dell’occupazione, capitolo 10)
18. La guerra. Alla fine, se tutto quanto elencato fin qui non ha funzionato per il riassorbimento del sovrappiù, allora la guerra (locale o generale) è il mezzo essenziale per ridurre gli stock e introdurre quelle scarsità di cui l’economia contemporanea, per come è strutturata e opera, ha assolutamente bisogno per ritardare le sue crisi ricorrenti. Infatti, solo nel secolo XIX ci sono state in Inghilterra 9 crisi economiche che hanno avuto come dato comune il mancato assorbimento della produzione (vedi H. M. Hyndman, Commercial Crises of the Nineteenth Century, 1892)
Se questa è la realtà corrente, allora c’è un disperato bisogno di un nuovo paradigma (della produzione, degli scambi e dei consumi) che vada oltre il capitalstatismo o socialstatismo o come lo si voglia chiamare il sistema attuale.
Coloro che vogliono rimanere all’interno del paradigma fondato sulla (presunta) scarsità presentano una versione del tutto distorta e parziale delle cose. Innanzitutto, raffigurano i fautori dei due campi (capitalismo, socialismo) come irriducibilmente opposti, cosa che non è affatto vera. Inoltre, mentre gli uni intendono per capitalismo la libera attività economica delle persone, gli altri intendono il socialismo come presenza pervasiva dello stato in quanto entità indispensabile per garantire la sicurezza (fisica, economica) delle persone. Dal momento che entrambi questi fini sono altamente desiderabili e da preservare (libertà e sicurezza), ne risulta che, a sentir loro, con il capitalismo (leggi capitalstatismo) o con il socialismo (leggi socialstatismo) siamo giunti alla fine della storia, salvo alcuni miglioramenti e accentuazioni particolari a seconda dei punti di vista (meno stato - più mercato o meno mercato - più stato). Ma questo significherebbe, in sostanza, che il menu sarà sempre lo stesso e sarà composto (ora e in futuro) o di zuppa o di pan bagnato.
Questo modo di presentare le cose può essere qualificato con un vocabolo preciso in tutte le lingue europee: tricher (in francese), Betrug (in tedesco), cheating (in inglese), fulleria (in spagnolo) e in italiano possiamo renderlo con il verbo BARARE.
I capitalstatisti e i socialstatisti, in combutta tra di loro, sono dei bari che vogliono farci credere che il loro sistema è il migliore e che durerà in eterno perché è nella natura delle cose.
E in questo essi avranno successo fino a quando le persone crederanno ad una serie di miti (l’essere umano è per natura pigro, egoista, imprevidente, ecc. ecc.) e soprattutto si faranno abbindolare dal mito della scarsità. Accettando questi miti si finisce per accettare l’esistenza di Grandi Fratelli Padronali che dirigono la produzione e del Grande Fratello Stato che agisce come benevolo redistributore dei beni prodotti e amorevole protettore di tutti.
È ora di finirla definitivamente con questa farsa.
Ps. Scrivere tre paginette su questo tema quando ce ne sarebbe bisogno di almeno 50 corredate da centinaia di riferimenti e dati è indice di temerarietà e incoscienza. Per cui questo scritto va visto solo come stimolo a documentarsi su un tema centrale della nostra epoca anche per individuare le vie d'uscita dallo statismo. Le alternative (culturali, relazionali, tecnologiche) stanno emergendo e sono sempre più visibili davanti ai nostri occhi se solo li teniamo ben aperti e li colleghiamo strettamente al cervello.