Gian Piero de Bellis

La morale della storia

(Agosto 2013)

 


 

Molti conoscono Elton John, il cantante inglese che ha composto e interpretato parecchie canzoni di successo a partire dagli anni '70. Ma tanti ignorano del tutto l'esistenza e l'attività di ricerca di un certo Elton Mayo.

Chi era costui?

Negli anni '20 del secolo scorso la società di ingegneria elettrica Western Electric decide di condurre una ricerca sull'organizzazione del lavoro all'interno di una sua unità produttiva. L'ipotesi di partenza che si vuole sottoporre a verifica, in vista di una sua conferma empirica, è che le condizioni di lavoro hanno un influsso diretto sulla produttività; e a migliori condizioni lavorative corrisponde un più elevato livello di produttività.

E qui entra in scena Elton Mayo. Nato in Australia, docente alla università americana di Harvard, Mayo è un esperto di lavoro nell'industria, sotto l'aspetto psicologico (individuo) e sociologico (gruppo). La ricerca che la Western Electric gli commissiona nel 1924 coinvolge un gruppo sperimentale di 6 lavoratrici addette alla produzione di componenti per la telefonia. Accanto ad esso vi è anche un gruppo di controllo, in modo da confermare che i cambiamenti introdotti siano davvero la causa dell'incremento o dell'abbassamento della produttività, e non qualche altro fattore.

I collaboratori di Elton Mayo, F. J. Roethlisberger e William Dickson, iniziano l'esperimento migliorando l'illuminazione nel gruppo sperimentale. Ne consegue un aumento della produttività in proporzione dell'intensità dell'illuminazione. Ipotesi quindi pienamente confermata. Ma un fatto strano emerge: anche nel gruppo di controllo la produttività aumenta anche se il livello di illuminazione è rimasto invariato.
A quel punto si decide di abbassare l'intensità dell'illuminazione nel gruppo sperimentale e di lasciarla costante nel gruppo di controllo. L'aspettativa è che la produttività diminuisca nel gruppo sperimentale (peggioramento dell'illuminazione) e rimanga stabile nel gruppo di controllo (illuminazione costante). Ma un fatto inatteso si verifica: la produttività aumenta in tutti e due i gruppi.
Allora i ricercatori, ed Elton Mayo in particolare, capiscono che sono in presenza di una variabile sconosciuta che sta facendo a pezzi la loro ipotesi di partenza.

Dopo una serie di altri esperimenti (durati in tutto cinque anni) che confermano che l'aumento della produttività non è legato, in maniera diretta e univoca, alle condizioni materiali di lavoro (illuminazione, temperatura, pause, ecc.), Elton Mayo ha una intuizione. L'elevata produttività che esprime un gruppo sotto osservazione, qualunque siano le condizioni materiali di lavoro, è conseguente al fatto che le persone si sentono oggetto di attenzione e rispondono positivamente a ciò.
Nelle parole di Elton Mayo:

"Al principio [le operaie sottoposte all'esperimento] erano timide e preoccupate, rimanevano in silenzio ed erano forse sospettose circa le intenzioni della Compagnia; in seguito il loro atteggiamento fu caratterizzato da fiducia e franchezza. Prima di qualsiasi cambiamento di programma si consultava il gruppo. Si ascoltavano e discutevano i loro commenti; talvolta le loro obiezioni erano accettate e si annullava una proposta che era stata avanzata. Nel gruppo si era sviluppato un sentimento di partecipazione alle decisioni cruciali ed esso veniva a formare una sorta di cellula sociale". (The Social Problems of an Industrial Civilization, 1945)

In sostanza, Elton Mayo e i suoi collaboratori individuano nel fattore umano, inteso come dignità della persona che veniva trattata come protagonista dell'attività produttiva e non come un ingranaggio di un processo di cui doveva essere solo un passivo esecutore, il fattore centrale per il funzionamento efficiente di qualsiasi attività economica e sociale.
In sostanza, si potrebbe paradossalmente affermare che, in economia, l'aspetto economico non è quello più importante.

Non per nulla, Luigi Einaudi ha scritto (Ma non occorrono decenni..., 1943) che

“la produzione … la quale consiste nel far funzionare e cooperare assieme ciò che per sé stesso è diviso, non è un fatto materiale, è invece soprattutto un fatto spirituale.” (Il Buongoverno, 1897-1954)

Ma oltre alla produzione, è tutta la vita personale e di relazioni che è intrisa di forti componenti morali che motivano e spingono ad agire in un senso o nell'altro. Questo è quello che, ad esempio, emerge anche nel noto esperimento del ripartire una somma di denaro tra due persone. Se la divisione è vista come totalmente iniqua essa viene rifiutata, anche se la persona che riceve di meno guadagnerebbe, in ogni caso, qualcosa. Qui entrano in gioco fattori morali che spingono, quasi naturalmente, l'essere umano a rigettare una decisione che appare profondamente sbilanciata e quindi inaccettabile.

La situazione di stallo e di decadenza in cui si trovano attualmente molte persone nei paesi avanzati dell'occidente è forse data dal fatto che decenni di statismo utilitarista, intriso del peggiore economicismo, sembrano avere atrofizzato la componente morale in moltissimi individui. Ci sono vuote dichiarazioni di principio e c'è la minestra indigesta del politicamente corretto, ma non c'è una spinta etica.

E questo anche in coloro che, a parole, si oppongono a questo sistema. Ciò è forse dovuto anche alla presenza di un mal inteso senso del concreto o al fatto che non si vuole passare per sognatori o, peggio ancora, per moralisti buonisti. Eppure non c'è nulla di più concretamente rivoluzionario e portatore di cambiamenti di un ideale.

E invece si continua con le vecchie parole d'ordine che servono solo a sostenere mestieranti della politica e della disinformazione.
Profitto, proprietà, mercato, sono infatti termini privi di carica morale perché posti al servizio di coloro che godono di rendite di posizione, hanno commesso i peggiori espropri, sfruttano privilegi commerciali.
Socialismo, uguaglianza, diritti, sono termini che hanno perso qualsiasi carica morale perché sono stati distorti ad uso e consumo di una cricca che si è accaparrata il potere dello stato e domina tutti, distribuendo pillole ideologiche che rincitrulliscono e briciole materiali altamente corruttrici.

In sostanza, la morale della storia è che, senza morale, non ci costruiamo la nostra storia, cioè la nostra esistenza come storia affascinante vissuta fino in fondo. Ed è un vero peccato.

 


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