Gian Piero de Bellis
I logoclasti
(Ottobre 2013)
Con il termine iconoclasti si faceva riferimento in passato a coloro che
si opponevano alla venerazione di immagini considerando ciò una degenerazione
della religione (idolatria o iconolatria). In effetti, il commercio di
reliquie ed immagini considerate sacre raggiunse talvolta dimensioni così
aberranti che una reazione a questa pratica aveva aspetti positivi (fatta
eccezione per la distruzione di quelle che erano diventate espressioni
di arte e cultura).
Con lo stesso termine sono stati poi definiti genericamente coloro che vanno
contro idee e pratiche convenzionali, ritenute oscurantiste, e promuovono nuovi
modi di pensare ed agire. In altre parole, gli anticonformisti e i dissidenti.
Al giorno d’oggi la venerazione non è più tanto di natura religiosa quanto
politica e passa non più solo attraverso le immagine ma soprattutto attraverso
le parole. La politica in effetti è tutta basata sull’utilizzo di parole
e formule magiche a cui gli strizzacervelli del politicamente corretto
attribuiscono valenza positiva o negativa a seconda di cosa convenga loro.
A questo riguardo, un problema sorge quando le parole magiche entrano nella
vita di tutti i giorni e determinano in misura notevole gli atteggiamenti
e i comportamenti di tanti.
Vediamo allora cosa succede.
In passato (secolo diciottesimo) quando un numero crescente di persone hanno pensato di applicare le scoperte tecnologiche alla produzione di manufatti e hanno impiantato opifici, dapprima in Inghilterra e poi in tutta Europa, esse non erano certo consapevoli che stavano praticando il capitalismo. Innanzitutto (a) il vocabolo non esisteva affatto (è stato introdotto e utilizzato su larga scala solo all'inizio del XX secolo) e (b) non stavano attuando nessun capitalismo ma semplicemente seguendo i dettami della natura umana che, come hanno scritto Adam Smith e Max Weber, portano le persone, lasciate libere da imposizioni e qualora ve ne sia l’opportunità, a produrre e commerciare per il proprio e, indirettamente, per l'altrui interesse.
E, sempre in passato, tutte le volte che le persone si preoccupavano del prossimo e assistevano gli indigenti, e ridistribuivano risorse in eccesso, o, come fece l'imprenditore Robert Owen, riducevano l'orario di lavoro e chiedevano migliori condizioni lavorative e retributive per i lavoratori, esse non stavano lottando per il socialismo (altra parola inventata in epoca posteriore) ma stavano, ancora una volta, rispondendo ai dettami della natura umana che porta ogni essere, non affetto da manie di dominio, a cercare di migliorare le proprie condizioni di vita e, a volere, per umana simpatia, che ciò avvenga anche per altri intorno a lui o di cui conosce la situazione di disagio (si veda ad esempio l’invio di aiuti da ogni parte del mondo dopo una catastrofe naturale).
Infine, quando Erasmo da Rotterdam e altri hanno scritto contro il settarismo e l'intolleranza, sostenuta e praticata dal potere (il connubio Stato-Chiesa) a difesa dell'ordine costituito che non ammetteva l'autonomia della coscienza e la pluralità delle credenze, essi non stavano praticando il laicismo e neppure quella che è stata poi chiamata la "tolleranza religiosa". Detto in maniera estremamente chiara essi si stavano comportando semplicemente da esseri umani non affetti da patologie mentali e morali.
In sostanza, solo successivamente comportamenti umani (il libero scambio, la libera impresa, la libertà di coscienza) sono stati posti sotto una etichetta che è diventata l’esclusiva riserva di una setta politica e sono stati trasformati in posizioni politico-ideologiche per cui lottare e su cui scontrarsi (capitalisti contro socialisti, laici contro religiosi).
Ne Le Bourgeois Gentilhomme, Monsieur Jourdain scopre finalmente,
con l'aiuto del Maître de Philosophie, che ha sempre parlato in prosa.
E se ne viene fuori esclamando: "Par ma foi! Il y a plus de quarante
ans que je dis de la prose sans que j'en susse rien."
Forse è arrivato il momento che le persone facciano due altre scoperte
riguardanti il modo in cui parlano e cioè:
- che stanno comunicando, da decenni, in gergo politichese;
- che attraverso l’utilizzo di questo linguaggio del tutto settario, i loro discorsi e i loro atteggiamenti, cioè il loro modo di pensare e di agire, risulta del tutto sconclusionato e inconcludente.
Nel corso del secolo XX, la casta degli intellettuali che non si è mai sporcata con alcun lavoro manuale, e la casta dei politici, che non si è mai sporcata con alcun genere di lavoro, hanno generato un linguaggio mostruoso fatto di parole esoteriche, che hanno assunto vita propria e che essi utilizzano come entità operanti indipendentemente dagli esseri umani (il capitalismo ha prodotto questo, il socialismo ha reso possibile quest'altro, ecc. ecc.).
Per chiarire, in piccola parte, gli imbrogli che si possono confezionare
attraverso il linguaggio, faccio riferimento a due episodi molto concreti
e banali presi dai miei ricordi. Una volta un conoscente disse a mia madre
che il medico gli aveva diagnosticato con precisione la causa dei suoi
mal di testa: lui aveva la cefalea. Al che mia madre aveva fatto presente
che mal di testa e cefalea erano solo due modi per dire la stessa cosa.
Un’altra volta ho sentito una persona raccontare ad una mia cara amica
di aver visto per strada due che avevano una “confrontazione fisica”;
al che la mia amica aveva chiesto: si stavano menando? Sì, era stata la
risposta.
Ecco, noi utilizziamo ogni giorno un linguaggio simile, talmente manipolato e staccato dalla realtà da far sì che la realtà stessa ne esca stravolta, del tutto oscurata e falsificata. In un mondo simile così acutamente descritto da Orwell nel suo 1984, l'assenza di libertà (dominio dall'alto) viene presentata come ultraliberalismo e l'assenza di uguaglianza (privilegi per l’alto) come ultrasocialismo. E questo da persone che ritengono di parlare in aderenza alla realtà e al buon senso. Invece essi sono affetti dal virus, prodotto e diffuso dal potere, che genera, sempre nelle parole di George Orwell, una condizione di "controlled insanity" (pazzia controllata).
Per questo oggi più che mai noi abbiamo bisogno di una molteplicità di persone che io chiamo i logoclasti e che, al pari degli iconoclasti di una volta, operino se non per la distruzione almeno per l'accantonamento definitivo, nei loro discorsi, delle parole-feticcio.
Occorre in sostanza ripulire da cima a fondo la lingua da scorie e detriti, perché solo così facendo ripuliremo il nostro modo di pensare e renderemo efficace il nostro modo di agire. Altrimenti, come moderni stregoni di una tribù fallimentare, continueremo a pensare e ad agire come se bastasse pronunciare alcune paroline magiche per far arrivare la pioggia e produrre i raccolti. Il che non è solo una illusione ma una assoluta gigantesca idiozia.