Gian Piero de Bellis
I portatori di handicap
(Gennaio 2017)
Quando sentiamo la parola handicap, come nella frase « portatore di handicap », pensiamo ad una persona gravemente menomata nel corpo (ad es. con impedimenti motori che la costringono su una sedia a rotelle) o nella mente (con arresto dello sviluppo intellettuale o psichico che la rendono, ad esempio, incapace di concettualizzare e comunicare in maniera soddisfacente).
Esistono però, tra di noi, anche persone che, ritenute del tutto normali e cioè non affette da alcun handicap, dovrebbero tuttavia essere, in un certo qual modo, incluse nella categorie dei portatori di handicap. E questa inclusione avrebbe forse, per costoro, un effetto benefico.
Vediamo perché.
In linea generale, la messa in luce che una persona è portatrice di un handicap permette alla comunità circostante di porsi in una posizione di aiuto e di servizio. Ad esempio, la presenza, in un condominio, di un individuo con un handicap motorio, dovrebbe spingere l’amministratore e tutti i condomini a mettere in atto misure che permettano, a quella persona, di poter entrare e uscire dal palazzo nella maniera più semplice e agevole possibile. Lo stesso dovrebbe avvenire in un agglomerato urbano dove le cosiddette barriere architettoniche andrebbero evitate e superate per permettere la libera e autonoma circolazione anche alle persone con ridotte capacità motorie.
Lo stesso può dirsi per coloro che sono portatori di un disagio psichico o intellettuale, che troverebbero nelle persone circostanti, consapevoli dell’esistenza di questo disagio, assistenza, sostegno e comprensione.
Per quanto riguarda invece le persone, considerate in genere del tutto normali e che qui sono ritenute anch’esse portatrici di handicap, l’individuazione dell’handicap dovrebbe avvenire da parte della persona stessa, cioè una auto-individuazione che le porti ad esserne consapevoli. E questo perché, nel loro caso, l’aiuto ad attenuare-superare l’handicap non può provenire, di massima, dall’esterno ma è, in primo luogo, un processo interno di consapevolezza e soluzione personale.
Questo è facilmente comprensibile una volta che chiariamo di quali handicap stiamo parlando.
Gli handicap fisiologici
La fisiologia è la scienza che studia « a) le funzioni organiche degli esseri viventi; b) le funzioni e il modo di funzionamento degli organi vitali » (Treccani)
Un handicap fisiologico è il prodotto di una cattiva gestione degli organi del corpo sotto forma di affaticamento, maltrattamento, fino ad arrivare ad un vero e proprio danneggiamento.
Le forme in cui tutto ciò si manifesta sono molteplici e del tutto ricorrenti nella vita quotidiana.
Ad esempio, per molti una assunzione eccessiva di cibo è considerata cosa del tutto normale al punto che costoro non si pongono nemmeno più il problema dell’essere obesi. Il mangiare di tutto e di più è definito « avere un buon appetito » e spesso considerato un indice di buona salute. Che poi uno aumenti incredibilmente di peso, sviluppando a dismisura certe parti del corpo (pancia, sedere), è visto più come un problema estetico che non come un handicap fisiologico. E invece è una vera e propria disabilità perché affatica tutto il corpo e rende impossibile o quasi una vita sana fatta di passeggiate e di attività fisica regolare. Inoltre, la sedentarietà, che accompagna di sovente una marcata obesità, complica ancora di più il corretto funzionamento degli organi vitali.
Il maltrattamento-danneggiamento è poi del tutto evidente qualora si sia assuefatti all’uso di talune droghe, tra cui il tabacco è la più comune. In Italia lo stato ne controlla lo spaccio, con un incasso annuale intorno ai 15 miliardi (2015). Il tabacco provoca malattie respiratorie che compromettono il funzionamento dei polmoni e di altri organi, e possono provocare-anticipare la morte del fumatore (terza causa più frequente di morte).
Ancora al giorno d’oggi nessuno se la sente di definire un mangiatore vorace e un fumatore accanito come facenti parte dei portatori di handicap; tuttavia questa qualificazione sarebbe del tutto appropriata in quanto risponderebbe in pieno alla caratterizzazione corrente dell’handicap, come ridotta funzionalità della persona e dei suoi organi vitali.
Lo stesso avviene per un altro tipo di handicap, ancora più subdolo e più misconosciuto.
Gli handicap ideologici
Le ideologie sono incrostazioni di idee (per lo più superate) che si trasmettono come schemi semplici di interpretazione della realtà e sopravvivono, in quanto facili da afferrare, anche quando hanno fatto il loro tempo. Spesso rimangono in vita per il fatto che sono funzionali al ceto dominante di una società o a quello che vorrebbe prenderne il posto in futuro. Per cui, nonostante all'apparenza differenti, nella pratica si assomigliano tutte perché tendono tutte al dominio esclusivo sulla mente degli altri.
I portatori di handicap ideologici vivono quindi in una condizione di asfissia mentale, nella quale il cervello non riceve più, in quanto non cerca o non accoglie, nuovi input di informazione. In sostanza, le ideologie, in quanto idee cristallizzate, esprimono una realtà pietrificata derivante da una creatività bloccata.
In questa situazione l’handicap è rappresentato dal fatto che, il ricorso a idee strafatte dei secoli passati, rende estremamente difficile se non impossibile la ricerca di soluzioni per i problemi correnti. E fare passare queste ideologie come valori eterni è una presa in giro che permette la perpetuazione dell’inganno e dell’auto-inganno ma non avvicina di un passo verso una soluzione.
Siamo qui in presenza del classico caso dell’indovinello dei nove punti in cui si chiede al lettore di unire tutti i punti tracciando quattro linee rette senza mai alzare la matita da foglio. Se ci si impone la limitazione (non richiesta) di non uscire dal perimetro segnato dai nove punti, la soluzione non verrà mai trovata.
Eppure questo è quello che avviene da parte dei portatori degli handicap ideologici. Essi eliminano informazioni che potrebbero essere utili e lo fanno solo perché sono estranee alla loro ideologia, e si auto-impongono limiti non necessari che finiscono per impedire l’emergere di possibili soluzioni, fuori degli schemi convenzionali e dei sentieri battuti.
Uno scenario auspicabile
Come se ne esce allora da una situazione in cui le persone diventano, consapevolmente o inconsapevolmente, portatrici di handicap che potrebbero benissimo superare se solo lo sapessero e lo volessero?
Le possibili soluzioni potrebbero emergere attraverso:
- una esplorazione che non ponga limiti alla immaginazione creativa;
- una sperimentazione che non ponga limiti alla pratica intelligente;
- una attuazione che non ponga limiti alla critica perspicace.
Questa strategia risolutoria è possibile se le persone ricercano e mettono a frutto:
- la varietà delle esperienze (ad es. alternanza di attività manuali e intellettuali, cura del corpo e cura della mente)
- la diversità delle culture (ad es. padroneggiamento di più lingue straniere, apertura a usi e costumi differenti)
- la pluralità dei mezzi (ad es. pluralità di approcci, pluralità delle fonti di informazione e di comunicazione)
In assenza di ciò, il corpo e la mente si deteriorano e appassiscono e l’handicap (fisiologico o ideologico) diventa una condizione cronica di malessere e di scontento personali.
Gli antichi ci hanno lasciato due classici aforismi: Mens sana in Corpore sano e Faber est suae quisque fortunae (Ognuno è artefice della propria fortuna).
Vediamo di tenerne conto ogni giorno della nostra vita.