Gian Piero de Bellis
L’evoluzione della proprietà
(Settembre 2016)
Quando si parla di proprietà ci si avventura, in genere, in un campo minato dove realtà scomode potrebbero esplodere tra le mani di coloro che ne maneggiano il contenuto. Per questo spesso ci si limita a sorvolare la scena dall’alto, dando per scontato cose che scontate non sono.
Molte persone hanno della proprietà una visione del tutto statica e parziale. Esse difendono o attaccano la proprietà senza esplicitare bene a cosa si riferiscano o senza capire bene a cosa si riferiscano gli altri.
Ad esempio, e questo è un punto molto importante, coloro che difendono la proprietà, quasi sempre sono favorevoli solo alla manifestazione corrente della proprietà e sono completamente ignari delle forme precedenti o ostili ad altre che potrebbero emergere in futuro.
È utile allora esaminare assai brevemente la proprietà nella sua realtà storica e nel suo possibile futuro sviluppo per cercare di chiarire alcuni punti. Distinguiamo allora tre forme della proprietà, due reali e una potenziale:
- la proprietà signorile-feudale (passato/passato)
- la proprietà borghese-padronale (passato/presente)
- la proprietà personale-universale (presente/futuro).
La proprietà signorile-feudale
Con questa espressione si fa riferimento alla proprietà dei signori feudali. Essa riguardava innanzitutto vaste estensioni di terra, e poi edifici (castelli, palazzi, ecc.) oltre che strumenti di lavoro (mulini, forni, frantoi, ecc.). Tutte le terre erano ripartite tra i signori feudali (nulle terre sans seigneur) e tutti gli strumenti della produzione erano sotto il loro controllo, per cui i contadini dovevano recarsi a far macinare il grano nel mulino del signore e cuocere il pane nel forno del signore. Se i servi del feudatario, stanchi di questa sudditanza, non fossero fuggiti a fondare nuove città, districandosi dal giogo feudale e iniziando nuove attività, questo sarebbe, in teoria, il tipo di proprietà che avremmo ancora. Questo tipo di proprietà, con una sudditanza completa verso un signore che tutto controlla e tutto decide, è ancora dominante, anche se in modi un po’ diversi, in alcune parti del globo.
La proprietà borghese-padronale
I servi che si sono sbarazzati del fardello feudale si sono trasformati in artigiani e mercanti e sono divenuti padroni di sé stessi. Quelli che hanno avuto particolare successo, sono arrivati ad essere maestri di bottega e gestori di commerci, impiegando personale alle loro dipendenze (lavoranti, garzoni, ecc.). Con l’evoluzione della tecnologia e dell’organizzazione del lavoro, le botteghe artigiane sono state soppiantate o sono diventate unità produttive sempre più grandi e i mercanti sono divenuti imprenditori commerciali a scala nazionale (formazione degli stati nazionali) e internazionale. La ricchezza si è spostata progressivamente dai signori feudali ai nuovi padroni borghesi (industriali e commerciali). A questa evoluzione economica e sociale si è associata una codificazione giuridica (ad es. leggi anti-feudali e codici commerciali) che ha sancito il superamento della proprietà signorile dei secoli passati (fondiaria e statica) e il passaggio alla proprietà padronale (industriale e mobile).
A questo punto va sottolineato che, attualmente, i difensori a spada tratta della proprietà e dei proprietari contro qualsiasi possibile esproprio, non si rendono conto (o non vogliono rendersi conto) che essi stanno difendendo un tipo di proprietà che è sorto, in molti casi, dagli espropri di una forma precedente di proprietà. La borghesia, attraverso il suo braccio politico, lo stato nazionale, ha in effetti espropriato il ceto aristocratico, la Chiesa e le comunità locali di molte delle loro proprietà. Sempre utilizzando lo stato nazionale, la borghesia ha codificato, a proprio vantaggio, l’utilizzo di molte risorse, ad esempio il denaro, di cui controllava l’emissione e l’utilizzo attraverso l’istituzione di banche (centrali, locali).
Un aspetto va chiarito ancora una volta: molti che, in passato, si sono pronunciati contro la proprietà non sostenevano « l’abolizione della proprietà in generale bensì l’abolizione della proprietà borghese » (Karl Marx-Friedrich Engels, Manifesto dei comunisti, 1848). Essa era appunto vista come il risultato di un furto (« la propriété c’est le vol. » - Pierre-Joseph Proudhon, 1840) a scala gigantesca.
Scrivono Marx ed Engels: « È stato rinfacciato, a noi comunisti, di voler abolire la proprietà acquistata personalmente, frutto del lavoro diretto e personale; la proprietà che costituirebbe il fondamento di ogni libertà, attività e autonomia personale.
Proprietà frutto del proprio lavoro, acquistata, guadagnata con le proprie forze! Parlate della proprietà del minuto cittadino, del piccolo contadino che ha preceduto la proprietà borghese? Non c'è bisogno che l'aboliamo noi, l'ha abolita e la va abolendo di giorno in giorno lo sviluppo dell'industria.
O parlate della moderna proprietà privata borghese?
Ma il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea proprietà a questo proletario? Niente affatto. Il lavoro del proletario crea il capitale, cioè quella proprietà che sfrutta il lavoro salariato, che può moltiplicarsi solo a condizione di generare nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo di nuovo. » (Karl Marx - Friedrich Engels, Manifesto dei comunisti, 1848)
O, detto ancora più chiaramente: « Voi inorridite perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che presuppone come condizione necessaria la privazione della proprietà dell'enorme maggioranza della società. » (Karl Marx - Friedrich Engels, Manifesto dei comunisti, 1848)
Quindi, come il proprietario signorile-feudale escludeva dalla proprietà masse di servi che si sono poi sottratti al giogo feudale e sono diventati padroni di sé stessi e quindi nuovi proprietari, così il proprietario borghese-padronale ha escluso dalla proprietà masse di operai. E così come la proprietà dei primi era sancita e difesa dal re e dai cavalieri armati al servizio del feudatario, così la proprietà dei secondi è stata difesa dalla stato nazionale con la sua polizia e i suoi tribunali. È lo stesso Adam Smith a riconoscere questa realtà: “Il governo, nella misura in cui è istituito per la protezione della proprietà, è in realtà istituito per la difesa del ricco contro il povero, o di coloro che hanno qualche proprietà contro quelli che non ne hanno affatto.” (Adam Smith, The Wealth of Nations, Libro V, Capitolo I, Parte II).
Inoltre, come i feudatari si appropriavano del lavoro dei servi, così i padroni capitalisti si sono appropriati della forza-lavoro del proletariato operaio per far funzionare le loro imprese. Ritenere che quest’ultima appropriazione e la conseguente esclusione dalla proprietà di masse enormi di persone sia una condizione auspicabile e definitiva è cosa che non è contemplata da nessuna concezione filosofica e morale moderna.
I liberali classici infatti, ponendo con Locke, la fonte della proprietà nell’attività umana, universalizzano la proprietà alle persone in grado di agire produttivamente (cioè praticamente a tutti). Quindi, dal punto di vista di un liberale conseguente, l’operaio proletario che svolge attività produttiva ma non gode di alcuna proprietà personale è, non solo una realtà assurda ma anche una negazione totale dei principi teorici liberali.
Gli anarchici, fin dai tempi di Proudhon, e sulla scia dei primi liberali, hanno visto nella diffusione e partecipazione alla proprietà a tutti un baluardo per la difesa e diffusione della libertà (« la propriété c’est la liberté. » - Pierre-Joseph Proudhon, 1862). Scriveva Malatesta: "I nostri avversari difensori e beneficiari del presente sistema sociale dicono abitualmente, per giustificare il diritto alla proprietà privata che 'la proprietà è la condizione e la garanzia della libertà.' Noi siamo d'accordo con loro. Non ripetiamo continuamente che 'chi è povero è schiavo?'
Ma allora che cosa ci separa. Io credo che la differenza è molto chiara. In realtà, la proprietà che essi difendono è la proprietà capitalistica che permette di vivere del lavoro altrui; quella che suppone quindi l'esistenza di una classe di poveracci, di non-proprietari, costretti a vendere il proprio lavoro ai proprietari per un salario irrisorio." (Errico Malatesta, Il Risveglio, Genève, 1929)
Molti difensori della proprietà padronale capitalista hanno inoltre l’abitudine di vedere nelle disuguaglianze, anche profonde, nella dotazione di proprietà l’indice di un sistema capitalistico funzionante al meglio, in opposizione al presunto egalitarismo socialista. Se così fosse, Stalin che qualificò l’egalitarismo come deviazione piccolo-borghese, e il regime stalinista, in cui il differenziale salariale tra dirigenti di fabbrica e operai era di 1 a 300, dovrebbero essere visti come esempi mirabili di capitalismo.
Se a ciò si aggiunge l’obiettivo di molti anarco-capitalisti di una privatizzazione universale della proprietà, allora regrediamo totalmente nella proprietà signorile in cui i feudatari si spartivano tutte le terre e gli altri erano semplici servi privi di qualsiasi proprietà. E questo viene presentato come un futuro di liberazione (libertarismo anarco-capitalista).
Come sottolineato da Roderick Long « An all-private system can be oppressive, just as an all-public one can be; but a system that allows networks of private spaces and public spaces to compete against each other offers the greatest scope for individual freedom. » (A Plea for Public Property, 1998)
In sostanza, se la proprietà è un fatto positivo per liberali, anarchici e socialisti classici, allora l’esclusione di masse enormi di persone dalla proprietà (come ai tempi della Rivoluzione Industriale e la nascita del proletariato operaio) è stato ed è un fatto negativo e ci si può augurare, storicamente transitorio.
Allora vediamo cosa ci potrebbe offrire un futuro che non sia fatto né di un ritorno alla proprietà signorile degli anarco-capitalisti né di un permanere nella proprietà padronale dei capitalisti corporatisti.
La proprietà personale-universale
1. Superamento della proprietà padronale
Il superamento della proprietà padronale corrisponde alla fine del controllo esclusivo da parte di una minoranza dei mezzi di produzione e degli strumenti dello scambio. Significa, ad esempio, la fine del monopolio statal-padronale sulla emissione della moneta (fine della banca centrale) e la possibilità di introdurre una pluralità di strumenti di pagamento che si diffondono e sopravvivono sulla base dell’accettazione volontaria da parte delle persone interessate.
Consiste nel superamento della proprietà padronale dei mezzi della produzione da parte di una ristretta cerchia di persone, cosa che è d’altronde già attuale in molti casi e soprattutto quando si ha a che fare con il cosiddetto capitale umano.
Significa la fine del monopolio, garantito dallo stato, della proprietà intellettuale in quanto nocivo al progresso e ingiusto nei confronti di tutti quelli che hanno partecipato alla formazione di una invenzione, premiando solo l’ultimo anello interessato della catena.
2. Diffusione della proprietà personale
Il superamento della proprietà padronale porta alla realizzazione delle idee dei liberali e dei comunisti classici per i quali la proprietà si basa sull’attività produttiva degli individui. Se questo dovrebbe essere abbastanza chiaro per uno studioso di Locke non sembra sia altrettanto chiaro a molti che si dichiarano marxisti. Eppure Marx ed Engels affermano esplicitamente che « Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi prodotti della società, toglie soltanto il potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione. » (Manifesto)
La proprietà personale a cui si fa qui riferimento sono, non solo oggetti e beni di uso diretto individuale, ma anche quote di partecipazione in attività e progetti in comune.
Le forme più recenti di finanziamento di nuove produzioni (ad es. kickstarter) danno già una indicazione di un mondo a venire in cui non esistono più accaparratori e affaristi finanziari (banche e borse). Al posto delle attuali concentrazioni si intravede già una possibile diffusione della proprietà su scala mai vista.
3. Protezione e cura della proprietà comunitaria o comunale (quella goduta e curata in comune)
I sostenitori della proprietà padronale, oltre a sostenere la tesi che con la fine della loro proprietà si instaurerebbe il regno del vizio, dell’ozio e della povertà generalizzata, hanno anche diffuso la favola della cosiddetta « tragedy of the commons » per cui, ad esempio, un pascolo senza un padrone esclusivo sarebbe sfruttato e rovinato da tutti. La storia dei commons non fornisce alcun sostegno a tali tesi, anzi, le regole comunitarie che vincolavano le persone nell’uso dei commons erano quanto mai stringenti in materia di conservazione e utilizzo del bene, nel lungo periodo.
Nella società attuale il ruolo e l’ambito dei commons sta crescendo a dismisura. Infatti, non sono commons solo le risorse ambientali, paesaggistiche, monumentali, di artifatti culturali, ecc. ma lo è tutto il regno della conoscenza e dell’informazione. La rete mondiale è un commons mirabile e tale deve rimanere, al di fuori delle ingerenze di interessati padroni, istituzionali e corporativi.
Ciò a cui stiamo inoltre assistendo è la messa a disposizione delle persone (uso) di beni che sono di proprietà individuale (abitazione, auto) o di gruppo (laboratorio di attrezzi). La società del futuro potrebbe essere basata sul possesso occasionale di beni ogni volta che una persona ne abbia bisogno piuttosto che sulla loro proprietà esclusiva e permanente. La sharing economy che sta emergendo e si sta diffondendo è una economia che, per molti aspetti e in molti casi, va al di là non solo della proprietà padronale ma anche della proprietà personale.
L’essere aperti al nuovo, cogliere quello che vi è di valido e utile: questo è il modo di essere delle persone mature. Restare ancorati alle convinzioni e convenzioni del passato e avere paura dei cambiamenti è invece la caratteristica degli esseri paurosi, sfiduciati e diffidenti.
Per costoro, il futuro è la ripetizione all’infinito del passato-presente, in sostanza uno stato di rigidità che equivale alla morte.
Lasciamo allora che i morti viventi vengano sepolti dalle loro morte idee e avviamoci pieni di entusiasmo e di energia verso il futuro.