Gian Piero de Bellis
Verso la distruzione o verso la liberazione?
(Giugno 2024)
Nel 1969 l’imprenditore Aurelio Peccei diede alle stampe un libro dal titolo inquietante The Chasm Ahead, tradotto l’anno seguente in italiano con l’altrettanto inquietante titolo Verso l’abisso.
In quel testo l’autore metteva in luce il fatto che l’umanità tutta era confrontata con una serie di realtà (inquinamento, energia, automazione, ecc.) caratterizzate dalla crescita rapida ed esponenziale dei loro effetti.
E per affrontare questa situazione, ci si basava su approcci e interventi settoriali, di breve termine, gestiti da istituzioni burocratiche anchilosate. Occorreva invece:
a) porre l’accento su una visione progettuale globale di lungo periodo.
b) rivedere radicalmente le forme organizzative della società perché, come affermato dall’autore, gli ostacoli “più temibili sono le nostre istituzioni obsolete, non sufficientemente reattive al cambiamento.”
In sostanza, il problema scaturiva dal fatto che esisteva un “enorme sfasamento tra il dinamismo della vita moderna e la sclerosi della nostre forme burocratiche di organizzazione.”
Nel 1970 l’ingegnere Roberto Vacca scrisse un saggio pubblicato l’anno seguente sotto il titolo Il Medioevo prossimo venturo (sottotitolo: La degradazione dei grandi sistemi). Anche in questo caso il problema sorgeva da una “crescita continua ed esponenziale” dei grandi sistemi in presenza di fattori limitanti. Il fattore limitante di maggior peso era costituito dalla inefficienza gestionale delle grandi organizzazioni industriali, commerciali e soprattutto politiche.
Negli anni seguenti qualcosa è stato fatto attraverso la diffusione della teoria dei sistemi e della consapevolezza ecologica. E, per fuoriuscire da una situazione economica caratterizzata al tempo stesso da stagnazione e inflazione (stagflation) i governanti statali, in varie parti del mondo industrializzato, hanno fatto ricorso a due strumenti:
1) privatizzazione delle imprese
2) liberalizzazione dei mercati.
Con le privatizzazioni delle imprese fino ad allora sotto il controllo statale, i governanti rastrellavano risorse finanziarie per coprire, in parte, i loro enormi buchi di bilancio; con le liberalizzazioni essi davano una nuova spinta al commercio e, attraverso la tassazione sui consumi, ottenevano, anche in questo modo, una crescita delle loro entrate.
Nella lingua francese esiste l’espressione reculer pour mieux sauter, vale a dire fare qualche passo indietro in modo da darsi uno slancio maggiore per superare l’ostacolo. E questo è ciò che hanno fatto gli stati verso la fine del secolo passato, a partire dagli anni ’80.
Quello che è stato definito come neoliberalismo non è stato altro che un tentativo di rinnovamento degli stati e della loro ideologia (statismo) per continuare a esistere, in stretto contatto e reciproco sostegno con i ceti padronali (le grandi imprese, le grandi strutture commerciali e finanziarie, i grandi mezzi di comunicazione).
Meglio sarebbe quindi qualificare il tutto come neo-statismo e neo-corporativismo.
Infatti, la “razionalizzazione” economica effettuata in quegli anni, se da una parte ha ridotto il potere dello stato e di alcuni colossi del passato che godevano di posizioni monopolistiche (tipico è il caso della American Telephone and Telegraph Company), dall’altra ha permesso loro di ristrutturarsi in modo da poter sopravvivere sotto altre forme, allontanando e ritardando il declino previsto da molti osservatori.
Infatti, per quanto riguarda gli stati nazionali, alcuni prospettavano, a quei tempi, una loro continua perdita di importanza, stretti come erano nella morsa tra la globalizzazione dall’alto e l’ascesa degli individui e delle comunità locali dal basso.
Purtroppo, non ci si era resi conto che l’enorme incremento delle risorse che affluivano agli stati attraverso la tassazione (soprattutto quella sui consumi) consentiva loro di assumere sempre più i tratti del Grande Fratello, che nulla produce (in termini di beni e servizi) ma tutto controlla.
Il drenaggio di risorse permetteva poi di rafforzare i controlli sugli individui, anche attraverso l’impiego della tecnologia (fotocamere installate dappertutto) e sulla base di disposizioni di legge che esigevano un permesso burocratico per qualsiasi iniziativa e attività (manifestare, pubblicare, produrre, circolare, ecc.).
In sostanza, agli inizi del ventunesimo secolo si è verificata la rinascita generalizzata del Grande Fratello, non più sotto il vessillo dello stato popolare (fascismo) o dello stato proletario (comunismo), ma sotto la facciata della democrazia rappresentativa maggioritaria.
La data di inizio del regno del Grande Fratello in epoca contemporanea può essere fissata all’11 Settembre 2001, con il crollo delle Torri Gemelle a New York. Da quel momento in poi, tre aspetti hanno assunto un ruolo di crescente importanza nella vita delle società:
- nazionalismo (patriottismo e sciovinismo)
- militarismo (esercito e armamenti)
- autoritarismo (repressione e censura)
Si tratta, in sostanza, di una sorta di ritorno alla situazione dei primi decenni del ‘900, quando gli stati erano in competizione tra di loro e preparavano il grande massacro della Prima Guerra Mondiale che avrebbe condotto al sorgere delle ideologie assassine (fascismo, nazional-socialismo, comunismo come bolscevismo e stalinismo).
Osservando la realtà da una prospettiva critica, si può quindi affermare che, dall’inizio del nuovo millennio, una marcia a ritroso verso l’abisso e verso il degrado morale e culturale dei grandi sistemi caratterizza di nuovo la società-mondo nel suo complesso.
La prospettiva di una diminuzione del peso dello stato nella vita degli individui, prospettata da alcuni autori a seguito del crollo dell’Impero Sovietico (si veda in particolare Martin van Creveld, The Rise and Decline of the State, Cambridge, 1999), veniva quindi completamente smentita.
I governanti statali, infatti, non potevano certo rimanere inattivi e accettare supinamente di diventare irrilevanti e di essere messi da parte. Con il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, gli stati perdevano una delle ragioni principali del loro esistere, e cioè la presunta garanzia della sicurezza interna nei confronti di un nemico esterno più o meno inventato. Per cui c’era bisogno di creare nuovi nemici, nuove tensioni, nuove insicurezze. Per preservare il suo potere, Il Grande Fratello necessita di una situazione di guerra permanente e di insicurezza diffusa, come delineato con estrema chiarezza da Emmanuel Goldstein nel terzo capitolo della Teoria e Pratica del Collettivismo Oligarchico (George Orwell, 1984).
La guerra, va detto e ridetto, è la salute e salvezza degli stati perché
“essa mette automaticamente in movimento, attraverso tutta la società, quelle forze irresistibili che giocano a favore dell’uniformità, dell’azione infervorata delle masse a sostegno del governo, al fine di costringere all’obbedienza anche quei gruppi minoritari e quegli individui che non condividono il sentimento di appartenere ad un grande branco.” (Randolph Bourne, The State, 1918)
Per questo ci troviamo attualmente (Maggio 2024) in una situazione di conflitti atroci in alcune parti del mondo, in cui varie potenze intervengono inviando armi ai combattenti statali e alimentando la propaganda per l’uno o per l’altro dei contendenti.
In sostanza, i prodromi di una nuova possibile Guerra Mondiale.
Tuttavia, quello che è stato possibile e facilmente praticabile nei primi decenni del secolo scorso con l’affermazione e il sostegno da parte delle masse al Grande Fratello (comunista, fascista, nazional-socialista, assistenzialista), potrebbe rivelarsi assai più problematico in questo nuovo millennio.
Infatti, mentre la dinamica politica statuale sta mostrando una crescente involuzione, la dinamica tecnologica mette a disposizione degli individui strumenti (di comunicazione, produzione, scambi) che hanno un grande potenziale di liberazione morale e culturale. Per cui assistiamo ad una sfasatura enorme tra le attuali forme organizzative del potere e le potenziali forme organizzative degli individui, tale da generare una situazione altamente esplosiva.
Ciò non vuol dire che, a breve, assisteremo a cambiamenti di regime nei paesi avanzati di questo nostro mondo. Le rivoluzioni sociali sono trasformazioni radicali di paradigmi (modelli culturali) che richiedono parecchi decenni e avvengono sulla base di una serie concatenata di cause, morali e materiali. E, ad ogni modo, la distruzione sociale provocata dagli stati al posto della liberazione personale promossa dagli individui rimane un esito sempre possibile.
Le guerre cosiddette di religione che scoppiarono in passato si protrassero per parecchi decenni nel corso del 16° e 17° secolo fino all’emergere del paradigma dello stato nazionale (Pace di Westfalia, 1648). Le attuali guerre politiche potrebbero durare ancora a lungo, prima dell’emergere di un paradigma post-statale basato sulla fine della sovranità degli stati (territorialismo) e sulla nascita di società parallele che non monopolizzano alcun territorio (comunità volontarie).
Infatti, nel caso emergesse un nuovo paradigma post-statale, esso non consisterà in una ideologia politica a cui tutti saranno vincolati, ma in una metodologia di organizzazione personale e sociale che permetterà a ciascuno di esprimere le sue esigenze senza imposizioni o sopraffazioni, sulla base di principi universali di valore, come il principio di non aggressione. In sostanza, un paradigma congegnale per la promozione di individui liberi e di comunità volontarie.
Questo già avviene, in molte parti del mondo, per quanto riguarda le scelte spirituali e religiose. Per cui non si tratta di inventare qualcosa di nuovo ma di rendere possibile il praticare in tutti i campi ciò che fa parte delle aspirazioni, più o meno coscienti, di ogni essere umano, vale a dire la libertà. E, come affermato da John Stuart Mill:
"La sola libertà che merita tale nome è il perseguire il proprio bene a modo proprio."
(On Liberty, 1859)