Gian Piero de Bellis
L’insostenibile insensatezza del « capitalismo »
(Ottobre 2016)
Nell’ambito delle scienze sociali esistono vocaboli che vengono utilizzati in continuazione alla maniera di Humpty Dumpty: “Quando uso una parola – aveva detto Humpty Dumpty – quella parola prende il significato che io ho deciso di attribuire ad essa.” (Lewis Carrol, Through the Looking Glass, 1872)
Uno di questi vocaboli, usati e abusati, è: capitalismo. Quando una persona impiega il termine capitalismo, accade assai spesso che la sua visione sia ideologicamente orientata e che l’analisi esaustiva e la critica razionale del tema scompaiano all’istante. Questo avviene perché al termine capitalismo sono assegnati significati diversi a seconda dell’ideologia di colui che lo utilizza. Per cui, se davvero vogliamo impiegare nei nostri discorsi questo termine, dovremmo prima chiarire che cosa intendiamo con esso. Se non lo facciamo è assai probabile che facciamo parte dell’allegra brigata degli imbroglioni culturali e dei propagandisti politici.
Dal momento che qui si intende parlare appunto di capitalismo, diciamo apertamente a cosa si fa ora riferimento. Innanzitutto va detto che, con tale termine, si qualifica un periodo storico (l'età del capitalismo) e non una entità operativa (come nel parlare ricorrente: il capitalismo ha fatto questo, il capitalismo ha fatto quest’altro, è colpa del capitalismo, o altre simili espressioni).
In quanto periodo storico esso può essere, grosso modo, circoscritto dal sorgere della Rivoluzione Industriale in Inghilterra (1750) fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale in Europa (1914).
Questo periodo storico è stato caratterizzato da una serie di fattori che hanno permesso l’emergere di quello che è stato chiamato « il modo di produzione capitalistico. »
Questi fattori sono:
- L’ampliamento degli spazi di libertà (di movimento, di intrapresa, di scoperta, ecc.) con il superamento di vari vincoli mentali e materiali (di ordine religioso, feudale, mercantile) propri di epoche passate. L’affermazione della tolleranza religiosa, i viaggi e le scoperte geografiche, la mobilità sociale dei servi diventati artigiani e commercianti, avevano preparato, nel corso dei secoli, questo nuovo clima di maggiore libertà.
- Lo sviluppo della scienza e la diffusione di nuovi strumenti tecnici. L’apprezzamento della ricerca scientifica è chiaramente indicato dalla fondazione della Royal Society in Inghilterra (1660), dell’Accademia delle Scienze in Francia (1666), dell'Accademia Tedesca delle Scienze (1687). Per valutare la trasformazione del clima culturale va detto che, a Danzica, alla fine del XVI secolo, l’inventore di un macchinario che faceva risparmiare lavoro venne segretamente fatto affogare e l’invenzione messa al bando dal magistrato della città.
- L’introduzione di nuovi metodi produttivi basati sulla divisione tecnica del lavoro (parcellizzazione delle mansioni) e sull’introduzione a sempre più vasta scala di macchine e congegni meccanici. È questo appunto il modo di produzione capitalistico di cui parlano Adam Smith e Karl Marx (a cui il termine capitalismo è quasi del tutto estraneo). Il capitale, per Marx, sono le macchine in quanto strumenti di produzione e il modo di produzione capitalistico è la produzione con l'impiego di macchinari di cui i lavoratori sono semplici appendici.
- La formazione di un mercato più ampio attraverso l’istituzione e il consolidamento di stati centrali a sovranità macro-territoriale (dopo la Pace di Westfalia, 1648). I vincoli feudali che avevano impedito la formazione di questo mercato furono quasi tutti soppressi con la Rivoluzione Francese (1789-1799) e con lo Zollverein Tedesco (unione doganale) del 1834. In assenza di questi cambiamenti « politici » è improbabile che il modo di produzione capitalistico si sarebbe potuto sviluppare. Infatti, non sarebbe stata possibile una divisione sociale del lavoro su grande scala e quindi una specializzazione atta a innalzare la produttività del lavoro attraverso la nascita della grande industria.
Non si attribuisce qui molta importanza allo sviluppo delle banche e della borsa che sono fenomeni di gran lunga antecedenti la Rivoluzione Industriale. Se fossero bastate le banche e la borsa ad avviare un processo produttivo su grande scala, allora si potrebbe parlare di età del capitalismo anche in riferimento ai tempi di Gesù Cristo quando i cambiavalute del Tempio (gli antecedenti dei banchieri) facevano, già allora, buoni affari. E lo stesso può dirsi dei grandi banchieri fiorentini che, nel corso dei secoli precedenti, hanno dominato la finanza europea prestando grosse somme di denaro a re e potentati vari.
In sostanza l’età del capitalismo è caratterizzata dall’introduzione del modo di produzione capitalistico (divisione tecnica e sociale del lavoro + macchinari e congegni meccanici) agevolato e sostenuto da un certo clima culturale e da cambiamenti nella sfera del potere politico.
Va detto che la libertà e le scoperte scientifiche e tecnologiche non sono fenomeni capitalistici, come alcuni vorrebbero far credere, ma sono solo pre-requisiti che hanno permesso di porre la produzione e il commercio su nuove basi dando vita appunto all’età del capitalismo. Tali pre-requisiti, sviluppandosi ulteriormente (maggiore e più diffusa libertà, nuove e più perfezionate scoperte scientifiche) permettono di andare oltre le forme di organizzazione sociale ed economica del passato, in un processo ininterrotto di sviluppo delle società e dei loro modi di produzione.
I risultati economici e sociali più evidenti che sono emersi e continuano ad emergere dalla concomitante presenza dei fattori sopra elencati sono una produzione e un consumo in crescita costante. La scarsità si è ridotta progressivamente e l’abbondanza si è manifestata in tutti i settori della produzione.
Infatti, ciò che caratterizza in particolare il modo di produzione capitalistico e la cultura dei protagonisti principali dell’età del capitalismo (imprenditori, commercianti, inventori, lavoratori, operatori culturali, ecc.) è la spinta crescente ad una sempre maggiore produzione e ad un sempre maggiore consumo.
In effetti, la dinamica interna al modo di produzione capitalistico (e al metodo scientifico sperimentale che gli fa da supporto) poggia sulla ricerca di sempre più efficaci metodi di produzione e di sempre nuovi mercati.
La produzione e il consumo illimitati sono la ragione del suo esistere e sopravvivere. Per arrivare a ciò si utilizzano tutti i metodi possibili e immaginabili tra cui l’obsolescenza programmata di un prodotto, gli stimoli ai consumi di massa attraverso una diffusa e massiccia pubblicità, gli sprechi e la distruzione vera e propria di beni, le guerre e le calamità naturali salutate come eventi augurabili, ecc.
Di fronte ad una crescente capacità produttiva (portata ora all’estremo dallo sviluppo dell’automazione e della robotica) il problema che si è posto per la sopravvivenza del modo di produzione capitalistico è dunque consistito nello stimolo verso una crescente capacità di consumo (e di spreco) da parte delle masse.
Come si è cercato di risolvere questo problema? Attraverso una sempre più stretta alleanza tra potere politico e potere economico. Abbiamo assistito allora al seguente sviluppo storico:
- età del tardo-capitalismo : lo stato come comitato protettore della borghesia imprenditoriale e affaristica;
- età dell’imperialismo : lo stato come colonizzatore e iniziatore di guerre che utilizzano-distruggono risorse;
- età dello statismo : lo stato burocratico-assistenziale come promotore del parassitismo e del consumismo di massa.
In sostanza, per perpetuare sé stessi, i ceti dominanti nella sfera economica e politica hanno trasformato tutto il vivere sociale in una marcia verso la crescita illimitata della produzione e dei consumi. In questo consiste l'insensatezza del « capitalismo » (cioè di un modo di produzione diventato ideologia). Insensatezza in quanto riduce il pianeta terra a una semplice risorsa produttiva (e di rifiuti) e l’essere umano a una semplice macchina consumistica (e di spreco).
In tutto ciò non vi è più nulla di umano. Nella scala dei bisogni di Maslow, il soddisfacimento dei bisogni primari (di sostentamento, di rifugio) dovrebbe condurre allo sviluppo di bisogni più elevati fino a quello complesso e variegato dell'auto-realizzazione. O, per usare l'approccio di Erich Fromm, porre l'accento sul modo dell'essere invece che rimanere ancorati al modo dell'avere. In tempi precedenti Marx aveva prefigurato il passaggio dal regno della necessità al regno della libertà, costruito sulla base del benessere materiale generato attraverso il modo di produzione capitalistico.
In effetti, la libertà, che ha costituito uno dei fattori del periodo del capitalismo, può svilupparsi ulteriormente solo se si va oltre l’età attuale (definibile come età del tardo-statismo o del tardo-capitalstatismo). Qualsiasi sistema, dopo aver assolto ai suoi compiti, è destinato ad essere superato e sostituito da un sistema più adatto alle necessità e alle condizioni (morali, culturali, tecnologiche) dei tempi. Pensare che ci sia ancora bisogno di una crescita massiccia della produzione e dei consumi appare cosa del tutto insensata.
È tempo quindi di inventarsi e costruire un nuovo sistema sociale ed economico, facendo affidamento su ciò che già circola come idee e possibilità tecnologiche, e che vive negli animi e nei desideri di tante persone.
Superare mentalmente il passato e il presente è il primo passo per costruire il futuro.