Gian Piero de Bellis

Pubblico/Privato : la grande IMPOSTURA

(Gennaio 2011)

 


 

Impostura: Consuetudine o abitudine alla menzogna e all'inganno (Vocabolario Zingarelli, undicesima edizione) – Finzione, ipocrisia, bugia, menzogna (Dizionario Palazzi, seconda edizione)

Anni fa, quando vivevo stabilmente a Oxford, sono stato invitato da una amica ad una lettura di poesie e mi è capitato di avviare una conversazione con un ex-docente dell'università. A quei tempi Tony Blair era appena stato eletto e il discorso si è focalizzato sul “new labour”, sul socialismo e sul tema della proprietà. Quel docente, con mia grande sorpresa, era ancora fermamente attaccato all'idea che socialismo equivalesse, puramente e semplicemente, a proprietà “pubblica”. Quindi, chi era per lui la massima stella del socialismo di tutti i tempi? Ma non c'era dubbio alcuno: l'esimio compagno Giuseppe Stalin, lo stesso che, oltre ad avere statalizzato tutto (questa era per il docente la proprietà “pubblica”) aveva (ma questo era un dettaglio trascurabile) perfezionato il Gulag e fatto uccidere alcuni milioni di persone (da 20 a 50 milioni secondo le stime). Quello stesso Peppino, chiamato anche “padre della patria”, sotto la cui “illuminata” guida economica masse sterminate di persone avevano patito o erano addirittura morte di fame e il divario tra lo stipendio degli amministratori e quello degli operai di fabbrica era di 1 a 300 (vedi Arthur Koestler, The Yogi and the Commissar, 1945).

La conclusione che mi viene spontaneo e che ritengo giusto trarre da questo episodio è che, da premesse totalmente errate (proprietà “pubblica”= socialismo) si arriva a conclusioni totalmente abnormi: Giuseppe Stalin come faro del socialismo. Abnormi anche perché contraddittorie rispetto ad una serie di punti fermi del socialismo quali ad esempio l'internazionalismo e l'egualitarismo che il compagnuzzo Stalin bollò come una deviazione piccolo-borghese.

Purtroppo la stessa dinamica si può vedere in opera nel caso di coloro che fanno equivalere il capitalismo con la proprietà “privata” la qual cosa non è né corretta dal punto di vista delle vicende storiche (storia dei fatti) né esatta dal punto di vista delle elaborazioni teoriche (storia delle idee).

Storia dei fatti. La proprietà “privata”è sempre esistita lungo tutto il corso della storia quindi non è nata con il capitalismo e non è la caratteristica precipua del capitalismo. Anzi si può benissimo affermare che in alcuni periodi storici la proprietà “privata” ha avuto una estensione e una forza maggiori che sotto il capitalismo. Nell'antica Roma, ad esempio, anche talune persone (gli schiavi) erano di proprietà “privata” del padrone. Nel periodo feudale, il feudatario era un padrone “privato” di larghe porzioni di territorio di cui i servi erano una appendice. Nel XVI secolo lungo il corso del Reno vi erano circa 60 posti di riscossione di pedaggi il che vuol dire che vi erano circa 60 padroni “privati” che accampavano un diritto di proprietà su quelle porzioni di territorio/corsi d'acqua e per questo si sentivano autorizzati ad estrarre un guadagno (o, detto più prosaicamente, un pizzo). In Francia nel 1789 esistevano ancora almeno 1500 pedaggi per l'attraversamento dei fiumi e quindi 1500 padroncini “privati”. È chiaro allora come mai lo stato nazionale, smantellando questi diritti di proprietà “privata” che ostacolavano la circolazione delle persone e dei beni è apparso, agli occhi di molti, come rivoluzionario e progressista. Va allora precisato che queste espressioni proprietarie “private” se nulla hanno di certo a che fare con il socialismo, non hanno però, a mio avviso, neanche nulla a che vedere con il capitalismo.

Se, dalla storia dei fatti passiamo poi alla storia delle idee, vediamo che il capitalismo inteso puramente e semplicemente come proprietà “privata” è una cosa che non sta né in cielo né in terra.

Storia delle idee. Il capitalismo è visto dai classici come un modo di produzione basato sulle macchine (Karl Marx), sulla divisione del lavoro (Adam Smith e Karl Marx), sulla libera impresa (laissez-faire) e sul libero scambio (laissez-passer) a livello internazionale (David Ricardo e la teoria dei vantaggi comparati). Questo è il capitalismo o meglio il modo di produzione capitalistico in quanto Smith, Marx e Ricardo non hanno quasi mai impiegato il termine capitalismo. Ridurre il capitalismo alla proprietà “privata” vuol dire svuotarlo della sua essenza e delle sue caratteristiche distintive e confonderlo con altri fenomeni pre-capitalistici. Questo è, ad esempio, quello che ha fatto Keynes il quale ha spacciato il suo neo-mercantilismo come capitalismo solo perché, nel suo schema di interventismo statale, la proprietà privata era salvaguardata.

Detto questo, la critica che io rivolgo all'uso dei concetti di proprietà “pubblica” e di proprietà “privata” e alla loro equiparazione rispettivamente al socialismo e al capitalismo è una critica molto più radicale che si rivolge all'utilizzo stesso di questi due termini. “Pubblico” e “privato” non solo non vogliono dire assolutamente nulla, ma quello che comunemente si intende quando questi termini sono utilizzati è un coacervo assurdo di equivoci, di manipolazioni e di prese in giro. Come esempio di un equivoco, basterebbe sottolineare il fatto che le cosiddette “public schools” inglesi sono, in realtà, scuole non statali e quindi, nella terminologia italiana, “scuole private”.

Per offrire un esempio di presa in giro può essere utile raccontare un episodio che mi è capitato molto tempo fa quando ho abitato per un periodo in Italia ed ero ancora un po' ingenuo. Avendo comperato al supermercato della frutta che mi risultava immangiabile (e che quindi ritenevo avariata) ho telefonato all'ufficio d'igiene del mio comune segnalando la cosa, pensando che mi avrebbero invitato a passare nel loro laboratorio per esaminare il prodotto. Invece, la prima cosa che mi ha chiesto la persona che ha risposto al telefono non è stato di che merce si trattava, dove l'avevo comprata o cose simili, ma se ero “pubblico” o “privato”. Rimasto allibito da questa domanda che non mi aspettavo in quanto l'unica cosa che so è che sono un individuo in carne ed ossa, un essere umano abitante il pianeta terra e che quindi non sono né “pubblico” né “privato”, ho fatto l'unica cosa che ho ritenuto giusto per non essere preso per un idiota: ho messo giù la cornetta del telefono.

Questo fatto molto banale, su cui non varrebbe neanche la pena soffermarsi, è però il segnale di una situazione assurda tipica del pensiero truffaldino che divide il mondo in categorie fasulle, le contrappone l'una all'altra e assegna valenze positive o negative a seconda di quale gruppo sia al potere.

È chiaro quindi perché tutte le volte che sento usare i termini “pubblico” e “privato”, a meno che non si tratta di “giardini pubblici” o di una “private view” (cioè l'anteprima ad inviti di una mostra di un artista), sento puzza di imbroglio ideologico da parte del potere e dei suoi intellettuali prezzolati. Anche perché ci sono decine di termini più appropriati e pertinenti (personale, individuale, di gruppo, comune, collettivo, statale, ecc.) che potrebbero benissimo sostituire due termini che, per quanto mi riguarda personalmente, ritengo più astrusi, incomprensibili e assurdi che se uno usasse, al posto di pubblico/privato le parole bingo/bongo.

Allora il mio invito, per l'anno nuovo, è di cercare di gettare a mare tutti i termini astratti privi di senso pratico e di utilizzare parole semplici che hanno un aggancio diretto con la realtà. In questo modo avremo un quadro interpretativo più chiaro e più sensato del mondo circostante, in vista della nostra liberazione da tutti i padroni e dalle loro idiote imposture.

 

 


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