Gian Piero de Bellis

Scudo fiscale, imbroglio colossale

(Febbraio 2010)

 


 

Il dato costante della gestione economica statale è l’incessante bisogno di denaro. Money, money, money è l’eterno chiodo fisso che occupa le menti dei baroni di stato.

Uno dei marchingegni escogitati negli ultimi anni è quello del cosiddetto scudo fiscale.

Lo scudo fiscale è un meccanismo per cui si incoraggia il rientro di capitali “illegalmente” depositati in banche straniere sotto condizioni di anonimato, dietro il pagamento allo stato di una percentuale della somma depositata (ad es. il 5%).

Innanzitutto è da far notare che, qualificando il deposito non dichiarato di capitali in una banca fuori del territorio nazionale come illegale, si dà per scontato che le persone non sono libere di disporre dei loro guadagni a loro piacimento.

Una volta il servo della gleba non poteva abbandonare le terre del padrone senza autorizzazione in quanto il signore non voleva perdere forza-lavoro, quindi ricchezza. Adesso il servo dello stato non può trasferire altrove i suoi guadagni senza l’autorizzazione e la registrazione da parte dei baroni di stato altrimenti questi ultimi vedrebbero sfuggire “il pizzo” cioè la loro fetta di guadagno.

In sostanza, nulla è cambiato dai tempi del feudalesimo se non le dimensioni del feudo (lo stato macro-territoriale) e la natura ed entità del pizzo (ricchezze colossali sotto forma di denaro).

A parte questo, è legittimo porsi una domanda.

È il denaro una forma di ricchezza per la società?

Certo, quando una persona vince alla lotteria una somma di denaro, possiamo ben dire che è diventata ricca in quanto con quel denaro può comperare beni che prima non poteva permettersi.

Ma il problema è un altro. Possiamo parlare di denaro come ricchezza anche quando facciamo riferimento alla società nel suo complesso?

Ecco, io credo che questo non sia possibile e da qui nasce l’imbroglio colossale a cui si accenna nel titolo.

Esaminiamo la questione.

Quasi tutti pensano che la Svizzera sia ricca perché molto denaro affluisce nelle sue banche da tutto il mondo. Ma questo era vero anche per la Spagna dei secoli passati verso cui affluiva l’oro dell’America Latina, eppure, quell’oro diede l’avvio ad una decadenza secolare dell’economia e della società spagnola che poteva vivere di rendita (l’oro) senza effettuare alcun investimento produttivo.

Quindi, non basta l’afflusso di denaro. Bisogna anche saperlo utilizzare e soprattutto che giunga, a costi estremamente vantaggiosi, nelle mani di chi lo potrebbe utilizzare produttivamente.

Quindi, la società svizzera nel suo complesso avrebbe un beneficio da questo afflusso di denaro se:

- esso venisse utilizzato all’interno della Svizzera per una serie di progetti che altrimenti non potrebbero essere finanziati dai risparmi delle persone del luogo;

- esso fosse prestato agli imprenditori ad un tasso di interesse estremamente basso per iniziative socio-economiche estremamente benefiche.

Nessuna di queste due condizioni sembra essere presente. La Svizzera non è un cantiere tipo Dubai o un paese in via di industrializzazione, avendo oramai una infrastruttura ed una industria già consolidate, con investimenti anche notevoli (tipo l’AlpTransit) ma senza bisogno, fino a prova contraria, di risorse eccezionali provenienti dall’esterno.

Allora, se l’afflusso di denaro dall’estero non costituisce la base su cui si fonda la ricchezza degli Svizzeri, chi ci guadagna in Svizzera da questo ingresso di fondi monetari?

È presto detto: lo Stato federale attraverso la tassazione sui depositi, e le banche svizzere attraverso l’impiego di questi depositi in operazioni speculative in tutto il mondo. La popolazione nel suo complesso non ne trae alcun guadagno fatta eccezione per alcuni impieghi nel settore finanziario che tornano utili solo alle persone impiegate. Anzi, se le speculazioni bancarie non vanno a buon fine, la collettività si trova costretta a intervenire attraverso lo stato federale immettendo fondi pubblici (come ha fatto di recente - fine 2008) per tappare i buchi derivanti dal gioco d’azzardo dei banchieri.

Quindi per tutti gli svizzeri che operano nell’economia reale produttiva, molte banche rappresentano una sanguisuga parassitaria di proporzioni incalcolabili. Va detto poi, per curiosità di cronaca, che le grosse banche presenti in Svizzera non sono di proprietà esclusiva di cittadini svizzeri; ad esempio, il maggior azionista dell’UBS è attualmente (2010) il governo di Singapore.

Per questo, quando i soldi lasciano le banche e si spostano in altri paesi, l’economia svizzera non ha alcuna battuta d’arresto. È come se un cumulo di carta straccia si muovesse da Lugano a Milano. Piange lo stato e piangono le banche che facevano i giochetti speculativi ma l’essere umano produttivo in Svizzera non ha che da rallegrarsi di questa pulizia.

E i paesi verso cui affluiscono o ri-affluiscono questi denari, sono per questo, d’improvviso, più ricchi?

Ma neanche per sogno. Infatti, è molto probabile che il denaro depositato altrove per mancanza di sicurezza e di impieghi produttivi, una volta tornato a seguito dello scudo fiscale rimarrà inoperoso non essendo la situazione cambiata di molto (se lo fosse e ci fossero occasioni allettanti di impiego i soldi sarebbero tornati spontaneamente). In sostanza, quando la situazione è caratterizzata dal parassitismo e dall’immobilismo, il denaro non è altro che carta straccia che serve solo a rilanciare l’inflazione, a deprezzare la moneta e a moltiplicare il malaffare e la corruzione dello stato. Se “rientra” è perché molti hanno bisogno di soldi per tappare le falle di una situazione disastrosa.

Quindi, ponendo di nuovo la domanda: possiamo, a livello sociale, parlare di denaro come ricchezza? La risposta è un NO scritto a caratteri cubitali.

Infatti, se il denaro fosse ricchezza basterebbe stamparlo in quantità colossali e distribuirlo liberamente a tutti. Tutti sarebbero allora ricchi ... di illusioni e poveri in canna di beni. Allora scoprirebbero che non possono mangiare il denaro.

Se questo fosse chiaro alla maggioranza delle persone, Tremonti sarebbe a lavare piatti in una trattoria di Bollate, invece è Ministro dell’Economia a Roma.

Rob de’ matt!

 

 


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