Gian Piero de Bellis

Sulle ideologie

(Marzo 2012)

 


 

Nel 1960 comparve una raccolta di saggi del sociologo Daniel Bell. Il volume aveva come titolo The end of ideology (La fine dell'ideologia) e come sottotitolo On the exhaustion of Political Ideas in the Fifthties (Sull'esaurimento delle idee politiche negli anni '50). La tesi avanzata da Bell era che le idee politiche (cioè le ideologie) che avevano scatenato in passato lotte feroci tra opposti schieramenti (destra-sinistra, fascisti-comunisti) avevano perso la loro carica e si erano esaurite in una società, come quella americana, dove tutti puntavano a un benessere materiale crescente e la stragrande maggioranza delle persone aveva accettato l'esistenza dello stato assistenziale e della economia mista. In sostanza, secondo l'autore, l'American way of life univa pressoché tutti, al di là delle ideologie che perdevano sempre più di importanza fino quasi a scomparire.

Nel corso degli anni sessanta questa rappresentazione della realtà sociale sarebbe stata per buona parte smentita con la ripresa delle ideologie sia come contrapposizioni (il capitalismo americano e il comunismo sovietico) sia come concezioni mitiche (il maoismo, il castrismo, il terzomondismo, ecc.). Infatti, alla fine degli anni '60, il marxismo e l'anarchismo come ideologie avrebbero avuto una notevole diffusione, e la politica avrebbe invaso moltissimi spazi riservati precedentemente alle scelte personali, tanto da far sostenere a qualcuno che “il personale è politico.”
È quindi interessante e utile capire come mai l'ipotesi di Daniel Bell sulla scomparsa dell'ideologia non si sia avverata e, prima ancora, esaminare da dove viene il termine ideologia, che cosa tale termine ha inteso e intende rappresentare e quali sono stati gli sviluppi e i dibattiti che esso ha generato.

Origine del termine. La parola ideologia è stata inventata da uno studioso di nome Destutt de Tracy che, nel 1801, diede alle stampe un testo dal titolo Éléments d'idéologie. In esso de Tracy utilizzò il termine ideologia come “scienza delle idee.” Tale scienza si sarebbe dovuta occupare di esaminare e analizzare le idee sulla base dei contenuti, cioè di quello che una idea esprime. In definitiva, per de Tracy “ideologia” è un termine neutro che serve a designare un nuovo campo di indagine (come la sociologia o la psicologia).

Sviluppo del termine. La prima caratterizzazione negativa del termine la dobbiamo al sarcasmo di Napoleone. Per sminuire e sbeffeggiare gli oppositori (liberali, repubblicani) della sua politica imperiale, fortemente centralizzatrice e autoritaria, Napoleone li qualificò con il termine di idéologues intendendo con ciò dottrinari parolai buoni solo a produrre ideologie, cioè aria fritta, mentre lui, uomo d'azione, produceva fatti. A tale riguardo va allora detto che, mentre gli scritti dei cosiddetti idéologues intendevano smantellare miti e oscurantismi con l'obiettivo di fondare una vera scienza delle idee, le azioni di Napoleone erano volte a creare il mito dello stato e la realtà del suo potere imperiale su tutta l'Europa. Per cui gli idéologues erano, in questo caso, dalla parte della ragione e della liberazione, mentre Napoleone era dalla parte della manipolazione e dell'oppressione.

Marx riprende e approfondisce questa critica alla ideologia come evasione dalla realtà (discettare invece di agire) e come mascheramento della realtà (falsa coscienza invece di vera conoscenza). Per Marx l'ideologia è, in sostanza, ciò che viene confezionato dalla classe dominante per mascherare la realtà effettiva (sfruttamento), manipolare la classe produttiva (tecnici e operai) e far accettare come del tutto naturale una situazione caratterizzata dal dominio dei pochi e dalla subordinazione dei molti. Alla ideologia Marx oppone la scienza intesa come strumento e procedimento di liberazione degli oppressi. Per Marx non vi è bisogno di intellettuali e di ideologi ma di persone che vogliono rivoluzionare-migliorare concretamente la realtà esistente. Come da lui espresso nella undicesima Tesi su Feuerbach (1845) “I filosofi hanno soltanto interpretato in vario modo il mondo, ma si tratta d'ora in poi di trasformarlo.”

Un altro importante sviluppo del termine è avvenuto ad opera di Karl Mannheim che ha messo in contrasto l'ideologia con l'utopia, vedendo nella prima (ideologia) un insieme di idee che si adattano e giustificano la realtà corrente e nella seconda (utopia) altre idee che la trascendono e vi si oppongono.

Uso del termine. Se passiamo dai discorsi sull'origine e lo sviluppo del termine all'uso concreto che si fa tuttora della parola ideologia andiamo incontro a parecchie sorprese quali, ad esempio, il fatto che:

  • L'ideologia non è mai diventata una “scienza delle idee” intendendo con ciò uno strumento per analizzare criticamente le idee, distruggendo miti e sconfiggendo oscurantismi come era nelle intenzioni di de Tracy. Anzi, invece della scienza pratica delle idee (ideologia, al singolare) abbiamo avuto la proliferazione e mitizzazione di concezioni astratte (ideologie, al plurale).
  • L'ideologia non è stata soppiantata dalla scienza, come auspicava Marx ma si è creata una differenziazione in cui la parola scienza ha fatto sempre più riferimento a studi e ricerche concernenti la materia (fisica, chimica, ingegneria, ecc.) e ideologia ha iniziato ad applicarsi a concezioni generali presenti in politica e nelle scienze sociali.

Sfera d'uso del termine. In sostanza il termine ideologia è utilizzato solo nell'ambito delle cosiddette scienze sociali, e in particolare della politica, e niente affatto nel campo delle scienze delle fisiche. Non solo non c'è nessuna ideologia alla base dei calcoli dell'ingegnere (o di qualsiasi formula del chimico) ma a nessuno interessa minimamente sapere quale sia l'ideologia dell'ingegnere incaricato di progettare un ponte. Gli unici aspetti che davvero contano sono la staticità del ponte, la sua funzionalità e, se possibile, la sua bellezza (eleganza). In sostanza, in questo caso, come nella maggior parte dei casi che hanno a che fare con la produzione di beni e servizi e con il soddisfacimento di bisogni concreti, non vi è alcun ruolo o spazio per qualcosa definibile come ideologia.

Rimane comunque il fatto che anche la scienza, come l’ideologia, utilizza idee, modelli e concezioni astratte. Allora vediamo cosa distingue la scienza dall'ideologia, con riferimento all'uso delle idee.

Scienza: idee come congetture (ipotesi) soggette a verifica sperimentale, che competono tra di loro, e di cui alcune si affermano, in maniera non coercitiva, per via della loro corrispondenza alla realtà e per il loro valore di utilità funzionale;
Ideologia: idee come cristallizzazioni (dogmi) che non sono soggette a verifica sperimentale ma si accettano quasi a scatola chiusa, ad es. in base a emozioni e sensazioni che non occorre giustificare; l'insieme di queste cristallizzazioni forma una ideologia che si contrappone ad un'altra ideologia con l'obiettivo, esplicito o implicito, di prevalere e imporsi a tutti sulla base esclusiva di rapporti di potere (chi impone che cosa) e non attraverso una accettazione libera e volontaria.

Se questa raffigurazione del contrasto scienza-ideologia sotto l'ottica delle idee è veritiera allora occorre riprendere la questione iniziale e chiedersi come mai, pur in presenza di una diffusione enorme della scienza e delle scoperte scientifiche negli ultimi cinquanta anni, le ideologie non solo non sono scomparse ma hanno ampliato la loro sfera di dominio. Per capire questo dobbiamo individuare:
a) chi sono i promotori delle ideologie;
b) quali sono le funzioni delle ideologie

a) I promotori delle ideologie. In ogni società c'è quasi sempre stato un gruppo (più o meno ristretto) di persone non impiegate nella produzione di beni e che hanno occupato ruoli di comando, di amministrazione e di elaborazione delle idee. Il progresso scientifico, che è alla base dell'innovazione tecnologica, permettendo un innalzamento notevole della produttività, ha consentito a una quota crescente di persone di svolgere attività non legate alla produzione materiale di beni. Per cui, durante il secolo XX, il numero di coloro che vivono ai margini della produzione, svolgendo ruoli di elaborazione e manipolazione di idee, informazioni, opinioni, mode culturali, è aumentato enormemente.
Le persone appartenenti a queste categorie in vasta espansione (il potere culturale) sono in stretto contatto con coloro che si trovano in posizioni di controllo e di regolazione sociale (il potere politico). Queste due categorie (intellettuali e politici) hanno come loro ragione di esistenza la creazione e la diffusione di pacchetti di idee (ideologie) che semplificano (come in un viaggio organizzato) la conoscenza e l'interpretazione della realtà. Il prezzo da pagare per questa semplificazione, equivalente alla partecipazione ad una gita culturale organizzata, consiste per i partecipanti, nel vedere e accettare solo quello che fa comodo agli organizzatori.

b) Le funzioni delle ideologie. L'attività di creazione-promozione-diffusione delle ideologie serve ad offrire al potere esistente una giustificazione plausibile e accettabile per l'esercizio di quel potere.
Per questo gli intellettuali confezionano ideologie che mascherano con nobili propositi e suadenti parole (ad es. l'interesse generale o la difesa dei più deboli) il dominio dei ceti parassitari (politico, burocratico, finanziario) sui ceti produttivi.
Attraverso la manipolazione dei cittadini promossa dagli ideologi, e il conseguente controllo su di essi da parte delle sette politiche, il potere riesce a mettere in atto (come servitù volontaria) un drenaggio continuo di risorse che poi spartisce, in una certa misura, con gli intellettuali, come pagamento del servizio da loro reso.
Le ideologie, tutte le ideologie, sono quindi anche uno strumento escogitato dagli intellettuali a servizio del potere per ottenere in cambio favori, impieghi e prebende (sussidi ai giornali, aiuti al cinema, trasferimenti per la cosiddetta cultura, cattedre universitarie, finanziamenti alla ricerca anche la più cervellotica, e via discorrendo).

La natura attuale delle ideologie
In definitiva, l'ideologia, invece di diventare una scienza delle idee, è stata trasformata in una serie di “fedi” contrapposte, in cui le idee non hanno nulla di scientifico in quanto non sono soggette ai criteri della scienza (testabilità, corrispondenza alla realtà). In altre parole le ideologie sono diventate:

  • idiosincrasie: mescolanza di fissazioni a cui una persona rimane attaccata e soggetta, in maniera irrazionale, nel corso della sua vita;
  • idolatrie: credenze sostenute in maniera fanatica e che si vogliono imporre a tutti;
  • idiozie: miti stupidi e assurdi che bloccano le facoltà razionali dell'individuo.

Non per nulla, Ortega y Gasset affermò, in riferimento alle ideologie e ai suoi sostenitori di destra e di sinistra: "Essere di destra o essere di sinistra vuol dire scegliere uno dei molti modi che si presentano ad una persona per essere un imbecille; entrambi sono, in realtà, forme di paralisi morale" (La ribellione delle masse, 1937)
C'è un parallelismo evidente tra le religioni come erano imposte prima della accettazione della tolleranza religiosa e le ideologie nell'epoca dello stato territoriale monopolista. Le ideologie sono in sostanza le religioni dei laici. Ogni gruppo laico dominante vuole imporre la sua ideologia a tutti attraverso lo strumento dello stato nazionale territoriale, unico e indivisibile. Ed è qui che sorge il problema; ed è qui, che va trovata la soluzione.

Il futuro desiderabile delle ideologie
L'esistenza delle ideologie, anche in un lontano futuro, è un qualche cosa che va accettato perché esse sono parte della esperienza umana e inclinazioni insite negli esseri umani. Ognuno di noi ha la tendenza a semplificare la realtà (destra-sinistra) e a sviluppare, in maniera più o meno pronunciata dei miti, cioè delle invenzioni e fissazioni, a cui si è attaccati emotivamente più che razionalmente. Nessuno è pura e semplice razionalità. Non sarebbe umano.

Una volta che siamo pienamente consapevoli di ciò le conseguenze sono, o dovrebbero essere:
a) l'accettazione tollerante delle reciproche fissazioni nella misura in cui nessuno le impone a un altro;
b) la fine di qualsiasi istituzione che utilizza le fissazioni di un gruppo per dominare gli altri.
Attualmente noi abbiamo una istituzione, che è lo stato nazionale territoriale, i cui governanti, sul solco e nella tradizione della perfetta intolleranza religiosa, vogliono imporre a tutti coloro che vivono su un certo territorio, un certo modo di vita. In sostanza vogliono governare, cioè dare ordini a tutti sulla base della loro ideologia, manipolando e sfruttando a loro piacimento.

Per cui, il futuro desiderabile delle ideologie, una volta superato ed estinto il monopolio territoriale dello stato nazionale, è che esse da dogma politico che tutti debbono accettare, diventino concezioni opinabili che ognuno, se lo vuole, può sostenere e praticare liberamente e volontariamente per sé, assieme a coloro che la pensano allo stesso modo. A quel punto avremmo introdotto anche nella sfera politica quello che i nostri antenati hanno saputo introdurre nella sfera religiosa, e cioè la tolleranza.

Nelle parole di Voltaire: “Che cosa è la tolleranza? È il risultato dell’essere umani. Noi siamo tutti individui fragili e portati all’errore; facciamo in modo di perdonarci reciprocamente le nostre follie - questa è la prima legge di natura.” (Il dizionario filosofico, Tolleranza, 1765)

 


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