Gian Piero de Bellis

La fascistocrazia, il totalitarismo dal volto nostrano

(Maggio 2011)

 


 

L'epoca in cui ci troviamo tuttora è l'epoca dello statismo di cui stiamo vivendo la crisi terminale (morale, culturale, sociale, economica) che può avere come sbocco o lo sprofondamento in una decadenza continua (imbarbarimento) o un rinnovamento radicale (rinascimento) attraverso il passaggio ad un altro modello, profondamente diverso, di organizzazione sociale .

Per quanto riguarda lo statismo italiano esso ha talune caratteristiche particolari che vanno messe in luce perché, comprendendone la natura, possiamo essere in grado di capire una parte di noi stessi, le persone con cui interagiamo e i possibili antidoti al generale imbarbarimento.

Il punto di partenza essenziale in questa analisi conoscitiva dello statismo nostrano è un aspetto che è comune a tutte le società basate sullo stato-nazione e cioè il fatto che, nonostante le apparenti contrapposizioni ideologiche interne, esse sono tutte caratterizzate da un percorso ideologico rettilineo omogeneo. Lo stato democratico nazionale, unitario e centralizzato, nasce dal superamento del regime aristocratico (suffragio ristretto) e dall'entrata in scena delle classi popolari che diventano elettorato di massa (suffragio universale).

L'ideologia che caratterizza l'emergere delle masse a nuovo soggetto politico è il socialismo statalizzato animato dalla piccola borghesia impiegatizia e dalla burocrazia dei nascenti partiti operai e socialisti.

Già nel 1873 Engels afferma che "tutte le sezioni Italiane che si autoproclamano facenti parte dell'Internazionale sono gestite da avvocati senza cause, medici senza pazienti, studenti di biliardo, venditori di commercio e piazzisti vari, e, in special modo, giornalisti della stampa minore di fama più o meno dubbia." (Friedrich Engels, L'Alleanza della Democrazia Socialista e l'Associazione Internazionale dei Lavoratori. Rapporti e Documenti del Congresso Internazionale dell'Aia, 1873).

Antonio Gramsci rafforza questa critica al socialismo burocratico quando scrive che in Italia "i partiti non furono una frazione organica delle classi popolari (un'avanguardia, un'élite), ma un insieme di galoppini e maneggioni elettorali, un'accolta di piccoli intellettuali di provincia, che rappresentavano una selezione alla rovescia." (Passato e Presente, 1929-1935)

Quando questo socialismo burocratizzato scopre il nazionalismo il risultato è, in Italia e in Europa, il fascismo. La contrapposizione socialismo-fascismo che ci viene presentata a scuola o sui giornali è una contrapposizione inventata. Il fascismo nasce dal socialismo, vale a dire da quel socialismo partitico, burocratico, nazionalista e accesamente statalista che si era imposto dopo che il socialismo anarchico, individualista, internazionalista, basato sul mutuo appoggio e sul libero pensiero era stato sconfitto e i suoi rappresentanti messi in carcere, mandati in esilio o semplicemente uccisi (come avvenne nel maggio del 1919 per Gustav Landauer a cui le milizie “socialdemocratiche” di Gustav Noske sfondarono il cranio con il calcio del fucile).

Il socialista Mussolini diventa il fascista Mussolini ma si tratta solo di un cambio di etichetta e nient'altro. Questo passaggio continuo dal socialismo al fascismo è tipico di un periodo dell'intera storia europea. Ne La scuola dei Dittatori Ignazio Silone documenta questo fatto quando scrive che "fu una vera sorpresa per i berlinesi di vedere un giorno le caratteristiche 'Schalmeienkapellen' dei comunisti sfilare per la strada in uniforme bruna." In sostanza, comunisti il giorno prima e nazisti il giorno dopo. Questo cambiamento sorprende solo coloro che sono stati indottrinati a credere nell'antitesi tra comunismo e fascismo e non a percepirne la profonda comunanza ideologica (non per nulla “nazismo” è la contrazione di nazional-socialismo).

Molti che escono dalla scuola di stato sono convinti che il fascismo sia a vantaggio della proprietà privata e della libera impresa e che il comunismo sia per la proprietà pubblica e l'impresa statale. Queste sono idiozie assolute. Il fascismo, forse ancor più del comunismo, si basa sul culto dello stato che trova espressione nella ideologia fascista per la quale: "tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato." (Articolo Fascismo - Enciclopedia Italiana, 1935). Lo stesso Mussolini afferma nel 1934, forse esagerando un po': "I tre quarti dell'economia italiana, industriale ed agricola, sono nelle mani dello Stato." (24 maggio 1934). E uno storico moderno ha definito Mussolini "il grande sacerdote del collettivismo di stato." (Denis Mack Smith, Storia d’Italia, 2000)

Chiariti questi punti fondamentali che sono tipici di tutto lo statismo europeo al di là delle contrapposizioni fasulle tra destra e sinistra, è interessante vedere quali sono gli aspetti tipici dell'esperienza italiana. Io li riassumo in tre caratteristiche estremamente diffuse:

- Opportunismo. L'ideologia che contraddistingue soprattutto il comportamento del ceto politico dirigente è sempre stato l'opportunismo. Famosi sono i giri di valzer precedenti la prima guerra mondiale per cui si passa dall'alleanza con la Triplice Intesa (Austria-Ungheria e Germania) a quella con Francia e Inghilterra sperando di ottenere un più lauto bottino di guerra. Il capovolgimento di fronte è una costante della politica italiana. In sostanza, “Francia o Spagna purché se magna.”

- Servilismo. Chiaramente l'opportunismo è indice di un animo estremamente gretto, privo di principi morali, più tipico di un servo che di un essere responsabile e autonomo. Non per nulla, anche nei secoli precedenti l'Italia è stata terra di conquista per le potenze europee sicure che poi molti si sarebbero messi subito al servizio del vincitore. Servilismo fa rima con trasformismo che è anch'esso un atteggiamento assai presente tra le italiche genti.

- Vanverismo. Opportunismo e servilismo trovano espressione verbale in quello che io chiamo il vanverismo e cioè il parlare a vanvera, il dire cose senza costrutto che solleticano l'orecchio ma non hanno alcun significato reale. Fare affermazioni reboanti, sparare dati inventati, esprimere dichiarazioni perentorie che risultano poi in comportamenti difformi o in smentite nel giro di poche ore o di pochi giorni, questo è il pane quotidiano del giornalettismo nostrano e del politichese italico, l'uno a supporto dell'altro nel produrre aria fritta e vuoto assoluto.

Queste tre caratteristiche accomunano tutto il mondo politico fatto di ideologie di cartapesta di pura facciata (finti progressisti, finti liberali, finti socialisti). Infatti gli unici “ismi” davvero esistenti e che accomunano tutti sono, come detto più sopra, l'opportunismo, il servilismo e il vanverismo. Per caratterizzare appropriatamente lo statismo italico sarebbe utile raggruppare queste tre caratteristiche sotto un unico termine.

Il termine di cui abbiamo bisogno deve essere critico ma non pregiudizialmente dispregiativo e deve indicare un pensiero e una pratica in cui l’individuo è visto (quasi esclusivamente) come facente parte di un insieme di soggetti nazionali che hanno bisogno di essere guidati da un governante statale. Insomma, un popolo di esseri visti come deboli fili d’erba esposti al vento e alle intemperie, che il provvido fattore (governante) riunisce in un fascio e pone al riparo nella fattoria (stato). Il termine che qui si propone è quello di Fascistocrazia.

La Fascistocrazia attrae e unisce coloro che hanno orrore della varietà, del nuovo, del diverso, e per questo vogliono che tutti quelli che vivono su un certo territorio (più o meno chiuso verso l’esterno) siano strettamente uniti (il fascio d’erba) sotto il controllo del fattore. Per convincere tutti della bontà di tale pratica essi utilizzano concetti “suadenti” come democrazia, uguaglianza, integrazione, identità culturale, sovranità nazionale, assistenza sociale, ecc.

La Fascistocrazia risulta invece indigesta a tutti coloro che, ragionando con la loro testa, sviluppano una loro personalità libera e indipendente (intraprendente) e quindi una singolarità che non ha nulla a che fare con l'identità e l'apparato identitario dello stato nazionale. Essi desiderano società o comunità libere e volontarie in cui le persone si associano appunto liberamente e volontariamente. Per costoro lo stato nazionale territoriale che domina tutti è una mostruosità inventata da dementi, ipocriti e profittatori, e accettata, a seguito di una propaganda secolare, da masse di persone a cui il gusto della sperimentazione e della intraprendenza è stato ucciso sul nascere.

Se gli oppositori della Fascistocrazia sapranno utilizzare un linguaggio convincente e soprattutto far nascere realtà entusiasmanti (nuovi modi di produrre e di interagire) allora i giorni della Fascistocrazia sono contati.

 

 


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