Gian Piero de Bellis

Sulla crisi reale e mentale
(ovvero sulle privatizzazioni camorristiche e le liberalizzazioni gangsteristiche)

(Agosto 2012)

 


 

La crisi

La parola crisi deriva dal greco e significava, in origine: scelta, giudizio, interpretazione, decisione, risoluzione, esito.
In sostanza, la crisi è un punto di svolta in cui talune decisioni andrebbero prese sulla base di interpretazioni e valutazioni appropriate della realtà, in vista di esiti voluti.

Successivamente, nel linguaggio giornalistico-popolare, la parola crisi è venuta a significare un periodo di difficoltà e si è tralasciato sia l'aspetto della interpretazione-comprensione che quello della decisione-risoluzione. O meglio, si è diffusa la convinzione che, mentre le persone comuni vivono/subiscono la crisi, l'interpretazione della stessa è compito di intellettuali e opinionisti, mentre la risoluzione deve essere affidata a politici, economisti e alti burocrati.

Stando così le cose, non c'è da sorprendersi del fatto che nella interpretazione e nella risoluzione della crisi da parte di questi personaggi l'obiettivo dominante sia la preservazione degli interessi che tali categorie hanno e dei privilegi di cui godono.
Più strano e difficile da comprendere e da accettare risulta invece il fatto che, anche taluni di coloro che sono opposti ai privilegi delle categorie dominanti, finiscano poi per dare una interpretazione del tutto economicistica della crisi (più spese, più soldi in circolazione, ecc.) che potrebbe risultare in decisioni che prolungano l'esistenza delle categorie dominanti, caso mai allargando soltanto l'area dei privilegiati e dei parassiti.

Purtroppo, non c'è molto di nuovo in tutto ciò. Già in passato, gli avversari del potere si sono associati al potere distruggendo gli aspetti rivoluzionari del loro pensare e agire. Ad esempio:

  • i socialisti hanno distrutto il socialismo comunitario e volontario e si sono associati allo stato pianificatore sorto dopo la prima guerra mondiale;
  • i capitalisti hanno distrutto il capitalismo del libero scambio e della libera impresa e si sono associati definitivamente allo stato protezionista dopo la crisi del '29.

Adesso potrebbe essere la volta degli esponenti di un'altra corrente di pensiero e di azione, decisamente contraria al potere dello stato (gli anarco-capitalisti), di svolgere la funzione di fornire allo stato una boccata di ossigeno che ne prolungherà, per un po', l'esistenza.

La crisi sociale ed economica che stiamo vivendo è, in effetti, la crisi dello stato nazional-territoriale sorto dalla prima guerra mondiale e che sta vivendo le sue ultime convulsioni.
A questa crisi reale dello stato si associa però, in molti casi, una crisi mentale di interpretazione e di risoluzione che potrebbe prolungare l'esistenza dello stato, contro le aspettative e contro i desideri di molti.
Vediamo allora di soffermarci brevemente sull'interpretazione e su una possibile risoluzione della crisi.

 

Interpretazione della crisi

Innanzitutto, va rapidamente sgomberato il campo sul fatto che questa sia una crisi del capitalismo industriale e del libero scambio di beni e servizi reali. Infatti, industrie altamente innovative (come la Apple, per citarne una) non sono affatto in crisi e alcune regioni a basso parassitismo statale (ad es. la Svizzera) sono in una florida situazione.

Un'altra idea diffusa, e molto più sensata, fa risalire l'origine della crisi alla bolla edilizia (o, in altre parole ai problemi sorti dal subprime mortgage). Questa, però, mi sembra una interpretazione che si limita a cogliere l'apparenza ma non scende nel profondo della realtà.
E questo profondo è rappresentato dalla finanziarizzazione estrema della vita economica ai nostri tempi. Il prevalere del cosiddetto capitalismo finanziario sul capitalismo industriale è un fenomeno vecchio di decenni (si veda: Rudolf Hilferding, Il capitale finanziario) ma è solo verso la fine del secolo XX che ha raggiunto il suo apogeo, grazie anche alle produzioni a basso costo dell'Estremo Oriente (loro producono) e all'indebitamento crescente degli stati occidentali (noi stampiamo denaro e consumiamo). Fare debiti e consumare sempre di più, sono le due facce della stessa medaglia, coniata dallo stato e diffusa largamente e legalmente nei paesi cosiddetti affluenti.

Questo modo di essere si è diffuso ed ha raggiunto livelli incredibili attraverso due fasi recenti:

  • la fase dei nuovi “conservatori” (Thatcher, Reagan). Negli anni della Thatcher e di Reagan si è assistito allo sviluppo di quella che è stata chiamata la finanziarizzazione (financialization) della vita economica. Le attività di produzione di beni e i loro produttori ristagnano rispetto alla crescita delle attività e dei profitti nel settore finanziario (Banche, Borsa).
  • la fase dei nuovi “progressisti” (Blair, Clinton). Tony Blair e Bill Clinton proseguono le politiche di “liberalizzazione” del settore finanziario iniziate negli anni precedenti con il risultato di produrre una effervescenza economica apparentemente solida nel breve periodo ma foriera di profondi squilibri nell’immediato futuro.

Se facciamo riferimento all'Inghilterra di Tony Blair e Gordon Brown, le Building Societies che prestavano denaro per l'acquisto di una casa sono potute diventare banche a tutti gli effetti e questa semplice liberalizzazione, attraverso il meccanismo della riserva frazionaria, ha permesso di moltiplicare notevolmente la massa monetaria. Inoltre, sotto il governo laburista, 1 milione di persone sono state inserite nei ranghi dello stato, alcune con salari del tutto considerevoli. Immaginatevi quindi il livello di indebitamento statale crescente e di circolante esistenti, il tutto volto ad alimentare una macchina consumistica colossale che permetteva allo stato, attraverso l'incameramento dei proventi della VAT (value added tax, la tassa sul valore aggiunto), di continuare a fare debiti e di pagare interessi sul debito alle rendite finanziarie. Questa montagna di soldi affluiva poi anche alle banche ed era logico che esse lo prestassero a coloro che ne facevano richiesta, e soprattutto a quanti volevano comprare casa. A fronte di una notevole massa di acquirenti, i prezzi delle case non potevano che salire e quindi prestare 80 per l'acquisto di una casa che ne costava 100 aveva senso perché quella casa, l'anno successivo, avrebbe raggiunto il prezzo 110 e nel giro di alcuni anni il prezzo 140. Quindi talvolta la banca prestava l'intero ammontare del prezzo attuale di una casa nella prospettiva, estremamente fondata, che, il prezzo a cui la si poteva rivendere in caso di mancato pagamento delle rate, sarebbe stato maggiore.
In sostanza, tutti o quasi stavano costruendo un mondo di carta basato sulla carta straccia delle banconote a corso legale di cui l'ispiratore massimo e il regista supremo era lo stato centrale.

Per questo, quando si parla di bolle speculative, l'unica bolla che vedo è quella dello stato. Tutto il resto sono le bollicine, più o meno grandi, conseguenti all'esistenza dello stato parassita e scialacquatore. Se si esamina la gestione di Gordon Brown (ministro dell'economia) fino al 2008, le spese o gli sprechi di denaro pubblico (a seconda dei punti di vista) sono ammontati, secondo un analista, ad oltre un trilione di sterline (£1,229,100,000,000) (David Craig, Squandering, 2008)
La colpa della crisi, almeno per quanto riguarda l'Inghilterra è quindi da attribuirsi, a mio avviso, unicamente allo stato criminal-finanziario. Per questo, qualsiasi proposta che, consapevolmente o inconsapevolmente, finisca per convogliare verso lo stato ulteriori risorse è un assurdo soprattutto se proviene da persone che vogliono, o quantomeno proclamano di volere, la fine dello stato parassita. Ma questo è quanto potrebbe accadere. Vediamo come.

 

Risoluzione della crisi

Spiegare in dettaglio, caso per caso, perché è arrivata la crisi è come voler spiegare perché un palloncino gonfiato in continuazione poi alla fine scoppia o perché un castello di carta, quindi senza solide fondamenta, a un certo punto, crolla. Molto più utile invece è concentrarsi su come risolvere la crisi in modo che essa sia una opportunità per prendere decisioni benefiche per molti e non una occasione persa per continuare a salvaguardare gli interessi mafiosi di pochi.

Per fare ciò è importante smetterla di farsi manovrare come burattini dai fili costituiti da talune parole magiche e dai burattinai che le utilizzano per sviare le persone. In particolare, occorre non farsi né ammaliare né respingere da queste due coppie di parole:

a) socializzazioni – privatizzazioni
b) regolamentazioni – liberalizzazioni

Una delle caratteristiche di funzionamento dell'essere umano, per evitare un impiego continuo e logorante di energie preziose, è di rispondere in maniera automatica a determinati stimoli. Talvolta però, questa risposta automatica porta un individuo del tutto fuori strada. Il dramma sorge quando alcuni non si rendono conto di essere andati fuori strada e diventano facile preda di coloro che li porteranno, quasi a loro insaputa, per la loro strada.

Abbiamo già visto in passato che socializzazioni e regolamentazioni volute da socialisti altro non erano che statalizzazioni e imposizioni del gruppo dominante. Adesso, in tempi recenti, abbiamo visto che le privatizzazioni hanno portato sovente all’appropriazione di risorse da parte di mafie legate allo stato (il modello post-Unione Sovietica è in tal senso esemplare) e le liberalizzazioni hanno dato la possibilità ai banksters e a tutto l'apparato finanziario (Goldman Sachs in testa) di fare soldi dal nulla.

In sostanza, è doveroso riconoscere, senza nascondere la testa nella sabbia, che talune privatizzazioni industriali e liberalizzazioni finanziarie degli ultimi decenni, oltre a non liberarci dalla presenza asfissiante dello stato, hanno anche contribuito a porre le premesse per la crisi attuale. Ed è molto probabile che, per salvare nuovamente lo stato, nei prossimi mesi assisteremo, sotto la regia dello stato e di organismi internazionali, a una ripresa delle privatizzazioni camorristiche e delle liberalizzazioni gangsteristiche.
Esaminiamo allora uno scenario possibile e plausibile:

  • Lo stato (in Europa, negli USA) crea una massa monetaria gigantesca (quantitative easing) che finisce nelle tasche delle mafie di stato (fase in corso)
  • Questo denaro permette loro di comprarsi ogni sorta di beni tangibili (terreni, palazzi, isole, ecc) quando ripartirà una nuova fase di privatizzazioni.
  • Questi acquisti avverranno prima che l'inflazione riprenda a galoppare per cui questi beni saranno acquistati a prezzi stracciati.
  • A tutti gli altri toccheranno invece, nel breve-medio periodo, le conseguenze nefaste dell'inflazione e della perdita di potere d'acquisto delle remunerazioni (salari e profitti) derivanti dalla loro attività produttiva.
  • Obiettivo finale del potere: salvataggio dello stato e delle cosche mafiose ad esso associate che usciranno quasi indenni, e forse anche più ricchi, da questa crisi, almeno fino alla prossima crisi.

In altre parole, uno scenario probabile è che, per salvarsi, lo stato si venderà tutto quello che non gli appartiene (le spiagge, gli spazi pubblici, i monumenti, ecc.) e liberalizzerà ancor di più le attività finanziarie (ad esempio, allargherà il numero di coloro che possono emettere moneta a corso legale) e questo con il plauso osannante di tutti i “liberali” guidati dal loro pilota automatico che si accende d'entusiasmo al solo sentire le magiche parole “privatizzazioni” e “liberalizzazioni”, senza porsi alcuna domanda al riguardo. E, per tenere a bada la piazza di sinistra, guidata anch'essa dal pilota automatico che evita loro di porsi domande scomode quando i propri esponenti sono al potere, probabilmente queste misure, in Italia, le attueranno i “socialisti” di stato (alla Giuliano Amato, per intenderci), come le precedenti privatizzazioni e liberalizzazioni le hanno fatte i “socialisti” di stato (alla Massimo d'Alema e Pier Luigi Bersani).

Esistono alternative a questo scenario obbrobrioso di marca liberal-socialista-statalista?
Eccome!
Una alternativa, ad esempio, consiste nel capovolgere lo scenario privatizzazioni industriali e liberalizzazioni finanziarie e battersi per:

  • liberalizzazioni industriali : chiunque può produrre qualsiasi bene e fornire qualsiasi servizio in qualsiasi parte del mondo, distribuendolo dove vuole e al prezzo che vuole;
  • privatizzazioni finanziarie : chiunque può emettere una sua moneta o mezzi di pagamento elettronici e le persone decideranno quale vogliono usare e a quali condizioni, cioè a chi vogliono dare credito.

Chiaramente questo farebbe saltare il sistema delle mafie di stato e delle loro consorterie (crony capitalismo e crony socialismo) e condurrebbe alla fine dello stato territoriale monopolistico. E, al tempo stesso, anche il teatrino delle parti, la sceneggiata fasulla tra liberali e socialisti, entrambi operanti, di fatto, sotto il mantello dello stato, non attirerebbe più spettatori o sostenitori gabbati.

Quindi il problema è sempre lo stesso: smetterla di farsi abbindolare dalle parole e dai parolai (i politicanti e gli affaristi imbonitori), analizzare i fatti e prendere decisioni sulla base della dinamica del reale. Forse a quel punto capiremo che molte delle contrapposizioni che ci sembrano insormontabili non sono altro che invenzioni del potere che applica da secoli la strategia che ha sempre funzionato per dominare tutti: divide et impera. E forse, dalle contrapposizioni fasulle (destra-sinistra, pubblico-privato, socializzazioni-privatizzazioni) così care agli intellettuali da strapazzo, saremo capaci di passare alle armonie ritrovate (care a Bastiat) e a quell'ordine spontaneo che, una volta estromesso il potere monopolistico, è nella natura delle cose.

 


[Home] [Top] [Sussurri & Grida]