Gian Piero de Bellis

Oltre l'anarco-capitalismo

(Settembre 2010)

 


 

Negli ultimi decenni (a partire grosso modo dalla metà del '900) è sorto negli Stati Uniti, un movimento di idee che associa le posizioni della scuola Austriaca in economia (capitalismo del libero mercato) con il pensiero anarchico individualista. Da questo connubio molto interessante, di cui l'economista libertario Murray Rothbard è stato il principale artefice, è nata quella corrente che è stata da lui stesso definita anarco-capitalismo.

L'anarco-capitalismo ha rappresentato una ventata di nuovo che ha cercato di liberare sia il capitalismo che l'anarchia di tanta zavorra introdotta da persone con interessi totalmente opposti sia alla libertà di impresa e di scambio (che caratterizzavano il capitalismo, almeno come modello teorico) che all'individuo come principale attore sociale (che è uno dei pilastri del pensiero e dell'azione degli anarchici).

A più di 50 anni di distanza dalla formulazione dell'espressione anarco-capitalismo è necessario analizzare quanto di valido vi era e quanto di utile rimane nell'utilizzo di questa sigla. Esaminiamo quindi i due termini separatamente (anarco – capitalismo) e vediamo se essi sono ancora praticamente significativi, densamente innovativi, e ricchi di un promettente futuro, soprattutto nel loro essere associati.

Anarco. L'anarchico (o libertario) si caratterizza per la sua aspirazione a scelte libere e volontarie. Questa aspirazione lo porta in conflitto con tutti coloro (organismi, istituzioni, gruppi o altri individui) che vogliono imporsi a lui con la forza e, accampando pretese monopolistiche, dettargli come vivere (in altre parole, come produrre e scambiare beni, cosa apprendere, ecc.).

Una volta eliminata questa assurda forza costrittiva, l'anarchico vuole poi essere libero di organizzare la sua vita come meglio crede. Potrebbe isolarsi come un eremita senza nessun impiegato delle tasse a disturbarlo (anarchico individualista), potrebbe unirsi ad altri e dare vita ad una comunità in cui tutto è di proprietà comune (anarchico comunista), e via dicendo. In sostanza l'anarchia postula la libertà per gli individui di concepire e realizzare vari modelli di società, nessuno dominante sull'altro e tutti compatibili al tempo stesso. Questo è stato sottolineato, ad esempio, da J. A. Maryson in Quelques idées fausses sur l'Anarchisme (1905) e da Voltairine de Cleyre in Anarchism (1910). In tempi a noi più recenti Karl Hess (Anarchia senza additivi ideologici, 1980) ha ribadito il concetto che esiste un solo tipo di anarchico, quello caratterizzato dalla volontarietà delle sue libere scelte, e che non c'è alcun bisogno di aggiungere alla parola anarchico ulteriori termini qualificativi.

Capitalismo. Capitalismo è un termine divulgato, in tempi moderni, dallo storico tedesco di tendenze socialiste Werner Sombart in un poderoso testo dal titolo Der Moderne Kapitalismus (1902). Adam Smith e Karl Marx non hanno quasi mai usato il termine capitalismo. Marx ha sempre preferito l'espressione modo di produzione capitalistico, basato sulla divisione del lavoro e sull'impiego delle macchine.

Per Ricardo il capitale è “quella parte di ricchezza impiegata nella produzione” e consiste soprattutto in strumenti e macchine per la produzione. (David Ricardo, Principles of Political Economy and Taxation, 1817).

In sostanza, se prendiamo come punti di riferimento gli economisti classici, il capitalismo può essere definito come quel modo di produzione basato sull'ampia introduzione di strumenti meccanici, sull'impiego di lavoratori dipendenti (lavoro salariato) e su una certa libertà di impresa e di commercio (soprattutto in Inghilterra) che abolisce in gran parte le ingerenze e i vincoli posti dallo stato nella cosiddetta età del mercantilismo.

Questa è la realtà che caratterizza, all'origine, i due termini.

Nel corso del secolo XX sia la concezione che la pratica dell'anarchia e del capitalismo hanno subito notevoli trasformazioni che hanno determinato gravi ripercussioni di natura teorica e pratica. Esaminiamo allora di nuovo i due termini nella loro realtà più recente.

Anarchia. Nel corso del tempo, sotto le bandiere dell'anarchia sono confluiti arrabbiati e scontenti di mezzo mondo che hanno trovato comodo qualificare i loro gesti di violenza o le loro imprese criminali con il termine anarchia. Abbiamo allora “l'anarchico” Lucheni che non trova di meglio che pugnalare a morte la sposa di Francesco Giuseppe imperatore d'Austria, Elisabetta (Sissi) di Baviera, che era a quei tempi una anziana signora indifesa, per di più con spiccate simpatie verso idee di progresso e di libertà; abbiamo la banda Bonnot, i cui componenti “anarchici” rapinano e uccidono come se fosse tutto un gioco di guardie e ladri; abbiamo “l'anarchico” Emile Henry, che preso dalla rabbia verso il mondo lancia una marmitta esplosiva al caffè Terminus della Gare Saint Lazare (Parigi) e provoca un morto e una ventina di feriti. E questi sono solo alcuni dei gesti e delle attività sconclusionate e controproducenti di persone che si definivano “anarchici”. Non c'è quindi da stupirsi che, a seguito di queste ed altre azioni efferate, sono bastati, da una parte la propaganda dello stato tesa a qualificare tutti gli anarchici come violenti bombaroli, e dall'altra le speranze suscitate dalla rivoluzione russa che hanno creato il mito del primo stato “socialista”, per distruggere del tutto il movimento anarchico. Attualmente la parola anarchia è talmente associata all'idea di disordine che è utilizzata in tal senso quasi da tutti, anche da persone culturalmente preparate. In sostanza è diventata una parola del tutto inservibile, deformata dell'originario significato di liberazione dall'oppressione del potere e quindi priva di un uso pratico pertinente.

Capitalismo. Per quanto riguarda il capitalismo, verso la fine dell'ottocento, prima ancora che la parola fosse utilizzata ampiamente, il modo di produzione capitalistico stava subendo trasformazioni che ne avrebbero, di lì a poco, modificato del tutto la natura. In primo luogo, la politica imperialista degli stati, dividendo il mondo in sfere d'influenza controllate politicamente ed economicamente dalle grandi potenze (Gran Bretagna, Francia, Germania e successivamente Stati Uniti) poneva fine a qualsiasi idea di creare un'area mondiale di libero scambio che, nella sua versione compiuta, non è peraltro mai esistita neanche quando il capitalismo si trovava al suo apogeo. In secondo luogo, lo sviluppo delle attività finanziarie sotto l'egida dello stato e delle banche da esso promosse ha ridotto il peso e l'importanza dell'industria e dato preminenza alle speculazioni finanziarie appoggiate e favorite dallo stato (si veda Rudolf Hilferding, Il capitale finanziario, 1910). Infine, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e l'intervento massiccio degli stati nell'economia nazionale, si poneva fine a qualsiasi idea di libera impresa e si preparava il rilancio di quella che, con l'elaborazione di Keynes, sarebbe stata chiamata l'ideologia e la pratica del neo-mercantilismo, o, più chiaramente, puro e semplice statismo.

Contro lo statismo (neo-mercantilismo) e per un rilancio del capitalismo del laissez-faire laissez-passer si sono levate le voci, tra gli altri, di von Mises e Hayek, ma l'avanzata del neo-mercantilismo è stata talmente potente che a nulla sono valsi i loro scritti che mettevano in guardia dall'imboccare la strada verso l'asservimento dell'individuo al potere centrale dello stato. Quel che più conta in tutto ciò è che, purtroppo, nella pratica corrente del linguaggio comune questo neo-mercantilismo fatto di dirigismo, corporativismo, protezionismo è visto e definito da quasi tutti come “il capitalismo”.

E come gli anarchici o pseudo-anarchici sono stati responsabili dell'imbarbarimento del termine anarchia diventato oramai sinonimo di violenza e caos, così i capitalisti o pseudo-capitalisti sono stati responsabili dell'imbarbarimento del termine capitalismo diventato oramai sinonimo di affarismo, sfruttamento, imbrogli e privilegi.

Se questa è la realtà attuale, allora l'idea di associare due termini corrotti nell'uso e quindi totalmente ambigui e fuorvianti, sperando che qualcosa di buono ne venga fuori mi sembra una idea e una pratica piuttosto fallimentari. Inoltre, va detto che, mentre la libertà e il libero scambio sono concetti pratici di valore e di uso eterni, l'anarchia e il capitalismo sono esperienze storiche del passato che noi possiamo studiare e analizzare ma non riproporre in una fase storica completamente diversa.

L'anarchia ad esempio poteva essere concepita e sperata in una fase in cui lo stato non aveva ancora controllato/soffocato tutte le realtà sociali; adesso la strategia è quella di porsi come libertari che hanno come obiettivo la fuoriuscita dallo stato e cioè l'autonomia dell'individuo da una banda criminale che pretende di controllare monopolisticamente un certo territorio. Per cui lo stato rimane ma è una entità organizzativa non-territoriale (fine della sovranità territoriale) scelta volontariamente (comunità volontarie) e ogni individuo promuove e finanzia i servizi e le attività che ritiene utili e necessari. Punto e basta.

Per quanto riguarda il cosiddetto capitalismo dei nostri giorni, è bene chiarire che Google, Apple, Facebook e molte altre non sono imprese capitalistiche perché in esse sono assenti i tratti che caratterizzavano il capitalismo. Infatti

1. il dominio delle macchine è stato sostituito dal ruolo preponderante del sapere e dell'innovazione di cui sono portatori gli individui;
2. al posto di masse di lavoratori dipendenti salariati abbiamo o congegni automatici o professionisti, spesso azionisti dell'impresa, che si occupano dello sviluppo di progetti specifici e di innovazione.

In sostanza, nel XXI secolo utilizzare il termine capitalismo per qualificare queste attività è come chiamare un computer una macchina da scrivere e non fare nessuna distinzione tra i due.

Per questo ritengo quanto mai necessario andare oltre l'uso dell'espressione anarco-capitalismo recuperando tutto ciò che vi è di prezioso e permanente nel bagaglio concettuale e comportamentale originario e gettando i due termini tra i ferri vecchi della storia.

Così facendo daremo un forte impulso alla strategia di liberazione dallo stato il quale si perpetua e prospera proprio sulla base di ambiguità e mancanza di chiarezza di cui noi stessi, ancorati ai vecchi concetti e termini dei secoli passati, siamo talvolta gli ignari portatori.

 

 


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