Ignazio Silone

L'Italia nei primi decenni del '900

(1949)

 



Nota

Il ritratto che fa Silone dell'Italia nei primi decenni del '900 è quello di un paese in cui la rassegnazione permette l'espandersi della prepotenza e del malcostume. Estremamente illuminanti sono il caso della condanna della anziana signora da parte della cosiddetta "giustizia" di stato e le vicende connesse al terremoto del 1915. Dire che i costumi e l'agire dello stato siano oggi molto diversi rispetto al passato sarebbe coltivare una illusione. Per questo è importante meditare a lungo su questi fatti passati e chiedersi come mai poco o nulla sia cambiato in meglio nel corso di tutti questi anni.

 


 

Ero ancora ragazzo quando, una domenica, mentre attraversavo la piazza accompagnato da mia madre, assistei allo stupito e crudele spettacolo d'un signorotto locale che aizzò un suo cagnaccio contro una donnetta, una sarta, che usciva di chiesa. La misera fu gettata a terra, gravemente ferita, i suoi abiti ridotti a stracci. Nel paese l'indignazione fu generale, ma sommessa. Nessuno mai capì come la povera donna concepisse poi l'infelice idea di sporgere querela contro l'ignobile signorotto; poiché n'ebbe solo il prevedibile risultato di aggiungere ai danni le beffe della giustizia. Ella fu, devo ripetere, compianta da ognuno e privatamente soccorsa da molti, ma non trovò un solo testimonio disposta a deporre la verità davanti al pretore, né un avvocato per sostenere l'accusa. Furono invece puntuali i difensori del signorotto (un avvocato considerato uomo di sinistra) e alcuni testimoni prezzolati che, sotto falso giuramento, diedero una versione del tutto grottesca del fatto, incolpando la donna di aver provocato il cane. Il pretore, in privato una degna e onesta persona, assolse il signorotto e condannò la povera donna alle spese del processo.

'L'ho fatto con mio grande rammarico' - così il pretore, alcuni giorni dopo, si scusava in casa nostra. 'Parola d'onore, credetemi, mi è assai dispiaciuto. Ma se, come privato cittadino, avendo io stesso assistito al disgustoso fattaccio, non potevo non riprovarlo, come giudice dovevo attenermi alle risultanze processuali; ed esse, purtroppo, come sapete, sono state favorevoli al cane.' 'Un vero giudice - quell'onesto pretore amava sentenziare - deve saper far tacere i propri sentimenti egoistici, ed essere imparziale.'

'Certo - commentava mia madre - ma che orribile mestiere. Meglio badare ai fatti nostri in casa nostra.' 'Figlio mio - diceva a me - quando sarai grande, fa' tutto quello che ti pare, ma non il giudice'.

 


 

Simili episodi di violenza ... rafforzavano negli animi dei contadini, come è facile immaginare, la sfiducia la diffidenza la rassegnazione. Lo Stato acquistava i suoi connotati d'irrimediabile creazione del diavolo. Un buon cristiano, se vuol salvarsi l'anima, eviti pertanto il più che sia possibile ogni contatto con esso. Lo Stato è sempre ruberia, camorra, privilegio, e non può essere altro. Né la legge né la forza possono cambiarlo. Se il castigo talvolta lo colpisce, è per disposizione di Dio.

 


 

Nel 1915 un violento terremoto aveva distrutto buona parte del nostro circondario e in trenta secondi ucciso circa trentamila persone. Quel che più mi sorprese fu di osservare con quanta naturalezza i paesani accettassero la tremenda catastrofe. In una contrada come la nostra, in cui tante ingiustizie rimanevano impunite, la frequenza dei terremoti appariva un fatto talmente plausibile da non richiedere ulteriori spiegazioni. C'era anzi da stupirsi che i terremoti non capitassero più spesso. Nel terremoto morivano infatti ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l'uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie.

Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli frodi furti camorre truffe malversazioni d'ogni specie cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l'origine della convinzione popolare che, se l'umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in un dopo-terremoto o in un dopo-guerra.

Un mio conoscente, licenziato da uno di quegli uffici statali incaricati della ricostruzione, mi rivelò un giorno un certo numero di dati precisi che costituivano altrettanti reati degli ingegneri suoi ex colleghi. Assai impressionato, mi affrettai a parlarne con alcune persone autorevoli, che conoscevo come probe e oneste, perché denunziassero i crimini, Non solo quei galantuomini da me consultati non ne contestavano l'autenticità, ma essi stessi erano in grado di confermarla; tuttavia mi sconsigliarono di "impicciarmi di quei fatti" , e aggiungevano affettuosamente: «Devi terminare gli studi, devi crearti una posizione, non devi comprometterti in affari che non ti riguardano,» «Volentieri» rispondevo. «Certo è preferibile che la denunzia non parta da un ragazzo di diciassette anni, ma da persone adulte e autorevoli.» «Noi non siamo mica pazzi» mi rispondevano indignati. «Noi intendiamo occuparci unicamente dei fatti nostri e di nient'altro.»

Ne parlai allora con alcuni reverendi sacerdoti, e anche con qualche parente più coraggioso, e tutti, rivelandomi di essere più a meno al corrente di quelle turpitudini, mi scongiuravano di non intromettermi in quel vespaio, di pensare agli studi, alla carriera, all'avvenire. «Con piacere», rispondevo «ma qualcuno di voi è disposto a denunziare i ladri?» «Non siamo matti» essi mi rispondevano scandalizzati. «Sono affari che non ci riguardano.»

Cominciai allora a riflettere seriamente sull'opportunità di promuovere, con qualche ragazzo, una nuova "rivoluzione" che si concludesse in un bell'incendio degli uffici; ma il conoscente che mi aveva fornito la documentazione sulle malefatte degli ingegneri mi dissuase dal farlo, per non distruggere la prova stessa dei reati. Egli aveva più anni e più esperienza di me; e mi suggerì di formulare la denuncia su qualche giornale. Ma quale giornale? «Ve n'è uno» il mio conoscente mi spiego «che può avere interesse a ospitare una simile denuncia, è il giornale dei socialisti.» Fu così che io scrissi tre articoli (i primi articoli della mia vita) per esporre e documentare minuziosamente i loschi affari degli ingegneri statali nella mia contrada, e li spedii all'«Avanti!». I primi due articoli furono subito stampati e suscitarono grande scalpore presso il pubblico dei lettori, ma nessuno presso le autorità. Il terzo articolo non apparve, come seppi più tardi, per l'intervento presso la redazione di un autorevole avvocato socialista. In tal guisa appresi che il sistema d'inganno e di frode che ci opprimeva era assai più vasto di quello che appariva, e aveva invisibili ramificazioni anche tra i notabili del socialismo. La parziale denuncia, avvenuta di sorpresa, conteneva però materia per vari processi, o almeno per un'inchiesta ministeriale; invece non accadde nulla. Da parte degli ingegneri, da me denunziati come ladri e accusati di fatti esplicitamente indicati, non vi fu neppure il tentativo di una rettifica o di una generica smentita. Dopo una breve attesa, ognuno tornò a pensare ai fatti propri.

Lo studente che aveva osato lanciare la sfida fu considerato, dai più benevoli, ragazzo impulsivo e strambo. Bisogna tener conto che la povertà economica delle province meridionali offriva scarse possibilità di sviluppo ai giovani che ogni anno a migliaia uscivano dalle scuole. La sola nostra grande industria era allora l'impiego di Stato.  Ciò non richiedeva eccezionali qualità d'intelligenza, ma docilità di carattere e conformismo politico. I giovani meridionali, cresciuti in un ambiente come quello, se avevano un minimo di fierezza e una qualche umana sensibilità, tendevano naturalmente all'anarchia e alla rivolta. L 'accesso all'impiego di Stato comportava dunque per essi, ancora sulla soglia della gioventù, una rinunzia, una capitolazione, e la mortificazione dell'anima. Perciò si usava dire, ed era il vero fondamento della società meridionale: anarchici a vent'anni, conservatori a trenta.

 


 

L'educazione che si riceveva nelle scuole, sia pubbliche che private, non era concepita d'altronde per irrobustire il carattere. Dalla mia adolescenza ad oggi la situazione è in parte mutata, ma non so se migliorata. Una buona parte delle classi ginnasiali e liceali io le ho frequentate presso istituti privati cattolici. L'istruzione umanistica che vi veniva impartita era discreta; l'educazione del costume privato o intimo, ingenua e pulita; ma l'educazione civile addirittura pessima, in parte per il conflitto ancora aperto tra Stato e Chiesa. Così, ad esempio, l'insegnamento della storia era allora esplicitamente ostile a quello ufficiale; la mitologia risorgimentale e i suoi eroi (Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour) erano oggetti di dileggio e denigrazione; la letteratura allora prevalente (Carducci, Pascoli, D'Annunzio) disprezzata. E in un certo senso, sviluppando lo spirito critico degli allievi, quell'insegnamento comportava anche alcuni vantaggi. Ma gli stessi professori ecclesiastici, poiché dovevano prepararci agli esami delle scuole pubbliche, e dai nostri risultati dipendevano la fama e la prosperità del loro istituto, ci insegnavano anche, e ci raccomandavano per gli esami, le tesi contrarie al proprio convincimento. D'altra parte, gli esaminatori delle scuole di Stato, conoscendo la nostra provenienza da scuole confessionali, si dilettavano a interrogarci sui temi più polemici, e ironicamente poi ci lodavano per la liberale spregiudicatezza dell'insegnamento ricevuto. La falsità, l'ipocrisia, la doppiezza dell'espediente erano troppo sfacciate per non suscitare un comprensibile turbamento in chiunque portasse in sé un po' d'amore per la cultura. Ma era anche inevitabile che la media dei malcapitati allievi finissero col concepire i diplomi, e il futuro impiego, come le realtà supreme della vita. Tutte le mie preghiere di collegiale concludevano allora in una sola domanda di grazia: «Mio Dio, aiutami a vivere senza tradire».
«Quelli che nascono in quella contrada sono veramente disgraziati» mi ripeteva il Dr. F. J., un medico di un villaggio vicino. «Qui non c'è via di mezzo: o ribellarsi o essere complici.» Egli si ribellò. Si dichiarò anarchico. Tenne discorsi tolstoiani alla povera gente. Divenne lo scandalo dell'intera contrada. Odiato dai ricchi, deriso dai poveri, compatito in segreto solo da pochi, gli fu infine tolto il posto di medico condotto e morì letteralmente di fame. Il suo destino serviva di esempio nelle buone famiglie. «Se non mettete giudizio», dicevano le madri ai figli «finirete come quel pazzo.»

 

(da: Ignazio Silone, Uscita di Sicurezza, 1949)

 

 


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