Alessandro Rossi

In favore del protezionismo

(1885)

 



Nota

Questo discorso tenuto dinanzi al Parlamento dall'industriale tessile Alessandro Rossi è un capolavoro di manipolazione dei fatti, di demagogia populista, e di acrobazie concettuali. Esso presenta moltissimi punti di contatto con le tesi correnti degli anti-globalizzatori; ad esempio, quando si sostiene che la libertà d'impresa porta al monopolio e che il commercio impoverisce.
Da qui, il pieno appoggio dato dall'industriale Rossi alle politiche protezionistiche in agricoltura che giustificano poi il protezionismo nell'industria e favoriscono i gruppi monopolistici nazionali (tra cui il suo); e pieno appoggio alle tariffe doganali che arricchiscono i percettori di gabelle, in prima fila lo stato.
Questa logica anti-concorrenziale ma, soprattutto, liberticida, ha condotto direttamente al fenomeno della cartellizzazione e delle concentrazioni a livello nazionale, alle guerre commerciali tra nazioni, all'imperialismo e infine ai conflitti armati veri e propri.

 


 

Io spero che non mi crediate un empirico, tuttavia mi affretto a dirvi che fino al 1867, io fui libero-scambista, e talmente preso dagli ideali di quella dottrina che, nel febbraio 1866, composi, in versi, una trilogia nella quale inneggiavo al libero scambio, dove, lo credereste?, lodavo Riccardo Cobden. (Ilarità prolungata).

Quando l'onorevole Devincenzi era presidente della Commissione reale per la Esposizione di Parigi del 1867, io, allora deputato, venni aggregato, con altri, a lui, come commissario reale.

All'Esposizione di Parigi venni eletto vice-presidente nel Giurì internazionale. Fu là che mi prese una grande meraviglia nel vedere, dalla prima Esposizione, che fu nel 1855, a quella del 1867, in soli 12 anni, l'immenso sviluppo che aveva preso l'industria, sotto il regime napoleonico liberista, senza discernere (come feci poi dopo) quanta parte di quei progressi spettasse veramente alla politica liberale, e quanta ai progressi meravigliosi della rivoluzione meccanica, ai ritrovati ed innovazioni delle scienze sussidiarie delle industrie manifatturiere.

Dissi dal 1855 al 1867 perché il Governo austriaco, che allora imperava sulla Venezia, mi negò il passaporto per poter visitare l'Esposizione di Londra del 1862, che non ho potuto vedere.

Reduce da Parigi, nel 1867, ad espandere le mie impressioni feci una Relazione sulla Esposizione che, nella Gazzetta Ufficiale, fece il giro di tutti quanti i comuni del Regno d'Italia, una Relazione completamente liberista. O che non potevano, gl'Italiani, valere quanto i Francesi?

Io stesso infatti, quando dal 1859 al 1866 la pace di Villafranca venne a strappar via la mia fabbrica dal mercato, e fine suo naturale che aveva, e venne ridotta alla Venezia, aveva pagato bene un milione di lire, per dazio di entrata al Regno d'Italia, onde conservarmi il mio mercato. Anche questa era una ragione che doveva avvalorare la mia opinione liberista.

Ebbene, anche io fui colpito dalla grazia! e come S. Paolo ebbi il mio Damasco (ilarità), e sapete quando l'ho avuto? Quando, eletto dal Parlamento, membro della inchiesta parlamentare per il corso forzoso, della quale alcuni membri tuttora sono qui presenti, cioè l'onorevole Lampertico e l'onorevole Messedaglia (vi erano anche il Sella, il Seismit-Doda, il Cordova, il Lualdi), si fece il giro di tutta l'Italia, a conoscervi e rilevarne le condizioni economiche.

Fu proprio in quel giro che ho finito per convertirmi. Finita la rivista, io avevo mutato opinione; non arrossisco e non me ne dolgo; perché dovrei dolermene se uomini tanto superiori a me cangiano davanti ai fatti le loro opinioni? [...]

Ora poi, a legittimare le domande del dazio, oltre l'inchiesta agraria abbiamo il fatto che le nazioni europee vanno applicando una dopo dell'altra il dazio sui cereali.

Non sono più i risultati dell'inchiesta agraria, i cui provvedimenti passati e rivisti per via di esclusione, vi costringono ad appigliarvi a quello dei dazi. Non è più la manifestazione crescente dell'opinione pubblica frustrata di ogni altra speranza, dopo lo scoraggiamento successo alla speranza da prima nutrita; oggidì è tutta quanta la politica doganale che si capovolge nel continente europeo; è cieco colui che lo nega.

Saranno domani le crescenti istanze, e dico istanze, per non dire sedizioni, delle popolazioni rurali, - cieco colui che le affronta - le quali dovranno decidere bene il Governo ad abbandonare la sua resistenza ai dazi. [...]

Non solo lo Stato ha il diritto, ma ha il dovere di porre dazi compensatori tutte le volte che il lavoro nazionale lo esige, nel modo medesimo col quale sa, e deve difendere l'integrità del territorio.

Le parole sfuggite all'onorevole ministro Magliani lasciano molto dubitare sull'efficacia economica dei concetti a cui si ispira la nostra politica finanziaria. Quanto non si è detto contro l'empirismo dei passati ministri di Finanza?

A quei tempi, almeno, poteva accamparsi per iscusa l'inesperienza, o giustificarsi colla consolidazione del nuovo Regno. Ma che dire oggi, quando si volesse reggere e regolare la finanza con un dottrinarismo volontario, quando tutta l'Europa si crede in diritto, e lo esercita, di chiedere alle dogane non solo i principali proventi fiscali, ma i mezzi più efficaci a difendere il lavoro nazionale dall'invasione incondizionata dei prodotti esteri? [...]

La libera concorrenza è il monopolio dei grandi; la libera concorrenza è la speculazione, non la produzione. Ed è bella in teoria, ma in pratica è la negazione della democrazia.

Ora l'agricoltura diventa più che mai un'industria. Un solo elevatore di Chicago vi fa il lavoro di 100 mila carri di campagna. Una Società di Minneapolis, ad esempio, può bastare per il consumo di farine di mezza Italia giacché, vi ha una sola Compagnia di molitura che produce 6 milioni di barili di farine all'anno. Un mattatoio di Chicago vale 10.000 macelli europei. Da più anni le pareti dei vagoni d'intieri treni in America fanno le veci di sacchi di grano. Gli elevatori giganteschi risparmiano la mano d'opera di carico e di scarico; tutto va automaticamente. La lettera di porto è proprietà, è consegna, è cambiale, è danaro. La fune sottomarina fra Chicago e Liverpool è la scacchiera mondiale dove si regolano i prezzi di tutto il mondo. Sono i legionari del mondo nuovo che intimano a quelli del mondo vecchio: « veteres migrate coloni ».

E infatti i poveri produttori dei piccoli paesi sono là stremati che aspettano, suppongasi, di cavare 20 lire dal loro frumento, un mese dopo ne cavano 16 o 15, e ancora non vendono 10 sacchi dove prima ne vendevano 100; non v'ha criterio direttivo, né criterio distributivo; entra a dominare per essi il caso e l'azzardo. [...]

La libera concorrenza dunque sui grani, avvilendo i prezzi senza dar tempo a prevenire quelle modificazioni che pur converrà adottare, ricadrà prima di tutto sopra i salari, e questi non saranno meno colpiti della proprietà, anzi, relativamente, lo saranno di più. Non havvi in difetto di meglio se non un dazio moderato da applicarsi ai cereali (con che pei salari si gioverà anche per l'effetto morale) per salvarci dalla funesta situazione della crisi, almeno temporaneamente. [...]

Lasciamo adunque le nuvole al loro posto, che già si addensano abbastanza di per se stesse; lasciamo al tempo ed alla provvidenza le leggi cosmiche; pensiamo invece ai salari che sono il nutrimento dei lavoratori, pensiamo ai lavoratori che sono la dinamica della produzione.

Io non saprei abbastanza insistere su questo punto, convinto come sono che gli aumenti nel salario sono d'ordine naturale, anzi, sono nel diritto naturale dei meno fortunati.

Non si può allargare in politica il voto popolare e l'istruzione, e decimare al tempo stesso con la scienza l'impiego delle braccia umane senza che al progresso morale si accompagnino condizioni materiali di esistenza intollerabili.

Non si possono essiccare con una sbagliata politica economica le fonti del lavoro nazionale per contentare i poveri lavoratori con alcuni centesimi sovra un chilogrammo di sale; non si può fondare una politica liberista, facendosi un merito delle povere mercedi lasciando vivere a polenta e ad acqua i nostri operai per favorire i filatori inglesi e gli agricoltori americani che vivono di bistecche mattina e sera.

Eccovi, o Signori, degli argomenti popolari, più adatti a propugnare il dazio di quelli che potreste trovarne e che si vanno cercando per respingerlo.

Assicuratevi che, se io avessi la vocazione, che non mi sento punto, di fare l'apostolo, e percorressi il paese con queste teorie così semplici e chiare che espongo al Senato, io credo che il popolo mi seguirebbe a grandi ondate.

La finanza fiscale vi esaurisce il salario, ed io ve lo salvo: direi al popolo: la finanza fiscale vi dona alcuni centesimi all'anno sul sale, come se foste altrettanti pària; io invece voglio che il lavoratore sia trattato come ogni altro uomo, come me stesso, non già come un semplice mangia-pane nato per far della prole. [...]

Dalla terra ricavate i più estesi contributi, ma non date alla terra i maggiori benefici; dalle campagne i migliori soldati, alle città i migliori impieghi; dalle campagne la proprietà, la potenza, l'estensione del territorio dello Stato; alle città il monopolio dei sodalizi, la plutocrazia, le assicurazioni, il credito, le banche, i luoghi pii, gli asili, e via via dicendo!

Alle campagne oltre l'istruzione misurate anche il suffragio elettorale. Alle città largheggiate dell'una e dell'altro per spirito liberale, non lo nego, ma anche perché sono meno lontane dal Parlamento, mentre l'eco delle campagne si perde negli spazi e si rompe coll'Appennino.

Si lamenta il così detto assenteismo dei signori che affittano, e che non si muovono dalle città, perché non li attrae la vita dei campi. Abbiamo bene delle lodevoli eccezioni in Senato, ma l'assenteismo è un fatto che nota anche la Commissione d'inchiesta. Si lamenta che i fattori di campagna mandino i loro figli alle Università. Si lamenta che i contadini affluiscono alla città per farsi operai e diminuire il pane agli operai delle città.

Ma, domando io, quali sono, non già le attrattive, ma i criteri di giustizia distributiva che la patria legislazione assegnò all'agricoltura in Italia?

Ce lo ha detto l'on. Jacini. Chi non ci ha posto mente, ha potuto verificarlo dalle discussioni della Camera elettiva.

Effettivamente il trattamento delle industrie agricole non è lo stesso che il trattamento delle industrie della città. Ora io vi domando, perché difendete col 10 al 15 % di dazio i tessitori e i filatori di cotone, e i lavoratori della terra non li volete affatto difendere?  È diverso cittadino, quello che lavora il cotone, da quello che coltiva il campo, per questo solo che uno fa la veste e l'altro il pane?

L'estero non ci vende per niente né grano né tela; perché colpite la tela sì e il grano no?

Nel prezzo a cui l'estero ci vende il grano e la tela sono compresi i salari esteri e le imposte pagate allo Stato estero dai produttori esteri. Perché difendete la tela dal dazio, da questo quoziente compensatore, e non volete compensare il prezzo del grano?

Si capisce l'Inghilterra che non dazia né grano né tela; si capisce l'America che dazia tela, grano, bestiame, marmo, belle arti e tutto quanto. Ma noi in Italia perché trattiamo i medesimi cittadini con due pesi e due misure?

È presto detto. A noi piace la politica del sentimento; onde poter figurarsi dei contadini eternamente abusati, occorreva mettere dall'altro dei feudatari, dei parvenus, un certo tipo che in Italia mi pare oramai vada facendosi molto raro, sempre più raro. [...]

Signori Senatori. Senza appagare gl'interessi materiali, quelli almeno necessari per la vita e per l'indipendenza del pensiero, non è possibile che il popolo si adagi all'ordine, alla quiete e pratichi la virtù, e nemmeno ami la patria sua.

Fra il grido febbrile di Cobden, che è la lotta per la vita e l'onesta sicurezza del lavoro, non è dubbia la scelta. Dice un proverbio tedesco « Quando l'agricoltura è contenta, tutte le classi ne godono ».

Quanto a maggior ragione ne deve godere l'Italia coi suoi 18 milioni che vivono dell'agricoltura!

Osservatela nei suoi numerosi contadini! L'esercito si disse ed è scuola di unità, di moralità e di istruzione, e nessuno può dire e dirà altrimenti Ma se questi soldati, tornati contadini alle loro case, non vi trovano lavoro, meglio era che soldati non fossero stati mai. O avranno in fastidio la vita dei campi e correranno alle città a rincarirvi il pane degli operai col volerne dividere il lavoro e quindi ribassare il salario; o si assoceranno tra contadini inesperti, e saranno condotti dalle omelie sentimentali dei neo-sociologi a consolarsi colle storie inglesi, coi prodigi narrati dei probiviri, più probabilmente emigreranno, privando la nazione delle sue migliori forze vive, appunto quando erano per dare il loro frutto.

Questo tema dei dazi a difesa della produzione nazionale, del lavoro nazionale, preso sotto l'aspetto sociale è così complesso e poderoso argomento, che mi impaurisce la leggerezza con cui si è trattato finora. Le crisi agrarie sono le più gravi di tutte. Anzi, se bene osservate, in tutte le crisi vi è sempre in fondo la crisi della terra, perché dalla terra viene la ricchezza. E quando le crisi agrarie si trascurano e non si risolvono, possono farsi cancerose, e diventare crisi sociali.

Non sono io certamente che non abbia costantemente posto sull'avviso il Governo; unico e solo fino a pochi anni fa, seguito ora da tanti che saranno presto falangi, sorretto da voti che saranno presto imponenti, io, con perseveranza e fede, proclamai, e proclamo tuttora da questo banco:

difendete la produzione nazionale.

In aprile e maggio del 1875, in occasione che si discusse il nuovo codice per le associazioni commerciali; nel 1876 quando si discussero i porti franchi; quando poi si abolì il macinato; quando si abolì il corso forzoso; due volte all'occasione del Trattato italo-franco, una volta respinto dalla Francia, l'altra volta accettato; un'altra volta all'occasione del Trattato italo-austriaco; un anno or fa discutendosi il bilancio dell'Agricoltura, Industria e Commercio, in tutte coteste tornate del Senato non feci che ripetere questo caeterum censeo catoniano:

difendete la produzione nazionale!

[...]

 

 


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