Pasquale Stanislao Mancini

Lo stato giustifica l'inizio delle avventure coloniali

(1885)

 



Nota

Notevoli sono gli spunti interessanti contenuti in questo discorso.
Innanzitutto l'asserita libertà di emigrazione, sacro diritto quando si tratta di andare ad assoggettare altri popoli e regioni, ma calpestato quando altri individui decidono di cercare lavoro in Italia. Inoltre, vi è il tentativo maldestro di dare una giustificazione economica (incremento del commercio) e civilizzatrice alle avventure coloniali che hanno, alla base, solo ragioni di potere, prestigio e la distribuzione di posti e prebende ai ceti parassitari.

 


 

Discorso alla Camera dei Deputati di Pasquale Stanislao Mancini,
Ministro degli Esteri nel Governo di Agostino Depretis (1881-1885)

 

"Le condizioni nel mondo moderno, o Signori, sono profondamente mutate. Nelle colonie, che oggi si vagheggiano, non si deve mantenere la schiavitù, né il suo infecondo lavoro; non introdurre il monopolio commerciale colla madre patria; si proscrivono anche diritti differenziali sopra merci e bandiere delle altre nazioni, e vi si proclamano la libertà di navigazione e di commercio, il libero accesso in queste colonie a tutte le bandiere, a tutte le nazioni civili.

In secondo luogo noi non possiamo dimenticare che l'Italia è una delle grandi potenze commerciali e marittime, e che il segreto del suo avvenire è riposto appunto nello sviluppo di questa fonte di dovizia e di potenza [...].

Una terza considerazione s'impone altresì al nostro esame. Si è molto parlato dagli onorevoli interroganti del fatto periodico, costante, progressivo della nostra emigrazione, e si è detto che bisognava raffrenarla, e perciò era necessario migliorare le condizioni interne dell'Italia e della nostra agricoltura.

Signori, il governo ha vivissimo desiderio di ricorrere a tutti quei provvedimenti, i quali possano esser veramente utili a conseguire un sì benefico scopo.

Ma credete voi, che simiglianti riforme sieno l'opera di un voto e di un giorno?

Sono lente e laboriose modificazioni, che richiedono anni ed anni per produrre un movimento progressivo nelle condizioni economiche di un paese, senza il quale sarebbe vano lusingarsi di raggiungere la sospirata meta.

Or bene, se l'emigrazione esiste, se questo fatto non si può impedire, dappoiché sacra è la libertà dell'uomo, e, prima fra tutte le libertà, quella di vivere dove meglio piace a ciascuno; ebbene, o Signori, sarà più vantaggioso che questa emigrazione si disperda sulla faccia del globo; che vada a caso in lontane ed ignote regioni, dove l'aspetta il disinganno, e talora la morte; che non vi sieno paesi le condizioni dei quali sieno già bene conosciute, dove il suo lavoro possa essere con certa e propizia utilità esercitato, e dove sventoli la bandiera nazionale, che tuteli e protegga le industrie degli emigranti italiani, anziché essi siano costretti a mendicare sicurezza e protezione da governi stranieri?

Si è osservato, non potersi fare assegnamento sopra guadagni economicamente rimuneratori nelle intraprese coloniali; che i loro risultati sono sterili; che specialmente nel continente nero deve sgomentarci la povertà dei commerci africani, non incontrandosi colà che popolazioni quasi selvagge, con pochissimi bisogni, e non abituate a consumare i nostri prodotti.

È vero ciò; ma lo scopo di questi tentativi coloniali è quello appunto di convertire questi vasti territorii in larghi mercati e centri novelli di consumazione. Quando in quelle ora deserte contrade il contatto di colonie italiane verrà mutando usanze e tenore di vita, e vi saranno introdotte le istituzioni e le abitudini dell'Europa, gl'indigeni, invece di cibarsi malamente di un po' di dura, e di coprirsi di pochi cenci, cominceranno a sentire novelli bisogni, e diverranno consumatori utili dei prodotti europei, per le esigenze create dal sole della civiltà. D'altronde, dovunque l'uomo incivilito porta con sé in mezzo a popoli di civiltà inferiore capacità intellettuali, cognizioni tecniche, capitali, e lavoro, è impossibile economicamente, che non produca e non accresca valori e ricchezze [...].

Ma la spesa da sostenersi? si osserva. Non sarò io colui che non accordi a quest'obiezione la massima importanza, quando veramente si trattasse di gravi ed esorbitanti spese, non rimborsabili mai alla madre patria, e che dovrebbero gravitare sul bilancio dello stato. Ma anzi tutto rispondo, che prima condizione dev'essere quella di non impegnarsi in tentativi folli, ed in sacrifizi pecuniari che non sieno corrispondenti ai mezzi di cui si può disporre [...].

Un'ultima considerazione, o signori. E come potremmo noi chiudere gli occhi a questa gara generosa, che ormai si manifesta fra tutte le grandi nazioni di Europa, per associarsi in una specie d'impresa comune e solidale di mondiale incivilimento, in un'alta missione educatrice di tanta parte del genere umano che abita il vasto continente africano? [...].

Riassumerò le condizioni, che nella mente del governo sono reputate essenziali per una saggia politica coloniale. La prima è che sia anzitutto dimostrata l'utilità economica, ovvero politica, attuale, o almeno certamente futura, di qualunque intrapresa di questo genere, di ogni determinata iniziativa coloniale che potesse da noi venir tentata. Occupare un territorio, e piantarvi la nostra bandiera soltanto per apparenza, per pompa, per il piacere di far parlare di una occupazione italiana, è un sistema che non sarà mai adottato e seguito dal ministero; potete esser certi che se ne asterrà anzi scrupolosamente. (Movimento.)

Seconda condizione è il rispetto dei diritti degli altri stati, e che questa politica coloniale non abbia mai ad esporre il paese a pericoli di complicazioni e di conflitti. (Mormorio.)

Sarebbe altamente colpevole quel governo il quale, non per i bisogni essenziali del paese, non per tutelare la sua indipendenza, o per difendere la sua esistenza, il suo onore o i suoi vitali interessi, ma solamente per ambizione di occupare un qualche territorio oltre i confini, esponesse il paese a disastrose avventure.

Una terza condizione è poi, agli occhi del governo, di una importanza massima. (Movimenti d'attenzione.) Si richiede, o Signori, che in queste intraprese concorra l'attività privata e commerciale del popolo italiano. La creazione di stabilimenti e d'intraprese commerciali non può, non deve essere l'opera del governo. Il governo non si fa speculatore, non può divenire commerciante e industriale. Non bisogna dimenticare quali sono le funzioni proprie dello stato, né debbono confondersi e scambiarsi col compito esclusivamente riservato all'iniziativa e all'industria dei privati. Funzione dello stato in questa materia è anzitutto preparare e facilitare; creare i mezzi, promuovere le esplorazioni, i viaggi, le scoperte; raccogliere tutte quelle notizie che possono servire di utile guida ed incitamento al nostro commercio e ai privati capitalisti: in secondo luogo, moltiplicare gli scali, i depositi, gli sbocchi, i mercati, i centri di consumo, e rimuovere poi gli ostacoli, con opportune stipulazioni internazionali, alla libertà della navigazione e dei commerci, d'accordo colle altre nazioni civili.

Finalmente, è funzione e debito del governo coprire della propria efficace protezione e tutela gli interessi nazionali, quando sieno stati creati dalla libera attività del popolo italiano, in paesi o territori stranieri [...].

Rimane, o Signori, ancora da aggiungersi un'ultima condizione non meno essenziale, ed è che questi tentativi, quando possono farsi col concorso degli accennati criteri, debbano tuttavia per noi cominciare sempre modesti; debbano essere, per ora almeno, contenuti in tali limiti, che sieno proporzionati ai nostri mezzi finanziari, sì che non possa mai in avvenire farsi rimprovero al governo di aver cagionato, per somiglianti iniziative, lo squilibrio delle nostre finanze, e con pericolo pel nostro credito, che abbiamo bisogno di rendere sempre più solido."

 

(Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XV, Discussioni, tornata del 27 Gennaio 1885)

 

 


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