Paolo Acton Beccadelli di Camporeale

Discorso a favore del dazio sui cereali

(1885)

 



Nota

Il principe napoletano Paolo Acton Beccadelli di Camporeale, deputato al Parlamento dello stato italiano si chiede: se abbiamo favorito le industrie introducendo i dazi doganali, perché non possiamo fare lo stesso per l'agricoltura. Logica ineccepibile dal punto di vista del potere statale se non fosse che i dazi, mentre generano l'arricchimento indebito dei ceti protetti (cioè, parassitari), accrescono la miseria dei ceti indigenti e chiudono loro ogni prospettiva di miglioramento, costringendoli sempre più a cercare una esistenza migliore in altri paesi.

 


 

Se per essi [i prodotti manifatturieri] fu trovato giusto imporre un dazio su prodotti esteri che compensasse l'industria italiana della maggiore tassazione cui soggiace; perché, domando io, perché non si deve fare il medesimo pei prodotti agricoli? Non merita forse l'agricoltura quei medesimi riguardi, quelle medesime cure di cui si è così larghi agli altri prodotti dell'industria nazionale?

Eppure, o signori, in Italia abbiamo 18 milioni di persone che vivono della terra!
Ma, si dice, che questo dazio porterà un aumento sul prezzo del pane, che si vuole affamare il popolo.
Francamente sono frasi e non altro.

Se si vuol fare della rettorica sta bene, ma se si vuol fare qualche cosa praticamente, sul serio, cominciamo dallo stabilire un punto che è chiaro, indiscutibile.
E questo è che la condizione dei contadini non si può scindere, è subordinata alle condizioni nelle quali si trova la proprietà. Se volete migliorare la condizione dei contadini, migliorate la condizione delle proprietà. Non v'è altro mezzo.

Ed il venire a dire che la crisi esiste solo pei proprietari, i quali intendono sfruttare il malcontento delle plebi rurali e dei coltivatori per migliorare la propria condizione economica, mentre quando i prezzi erano alti non pensavano che a pressurare il contadino, a me pare, che non solo sia cosa non vera o non giusta, ma che sia anche poco lodevole ed opportuna.

Del resto, è poi vero che il dazio di introduzione sui grani porterà questo aumento sul prezzo del pane?
Io ne dubito, e ne dubito perché abbiamo visto che l'abolizione della tassa sul macinato non ha portato nessuna diminuzione sul prezzo del pane e delle paste.

Ma c'è di più: è ribassato il prezzo dei grani di un terzo o di metà, eppure vediamo che il prezzo del pane è rimasto a un incirca quello che era prima quando i grani costavano cari.
Dunque, il dire che col dazio d'introduzione si vuole affamare il popolo, sarà rettorica bellissima, ma non corrisponde al vero.

Notato anche che v'è una scuola in Germania, della quale, credo, sia stato fautore ed iniziatore Bismarck, la quale sostiene e prova che i dazi di importazione ricadono in gran parte sopra gli intermediarii, e che poco o punto pesano sul consumo diretto.
Credo che in ciò vi sia molto del vero; ad ogni modo, questa è una questione complicata alla quale ho voluto soltanto accennare di volo.

Del resto non è solo in Italia che si sente la necessità di proteggere l'industria dei cereali contro la fatale concorrenza estera, noi vediamo che in altri paesi si agita la questione; in Francia e in Germania, questi dazi non sono ancora un fatto compiuto, è vero, ma ormai non è più dubbio che saranno attuati.

Ebbene, vogliamo proprio che l'Italia diventi il porto franco di tutti i produttori delle altre parti del mondo?
Vogliamo noi essere i soli a lasciare le porte aperte, quando tutti gli altri prendono tante precauzioni?
Vogliamo proprio ridurre ad estrema rovina l'agricoltura nazionale prima di deciderci a provvedere?
La nostra sola ed unica ricchezza è la terra, è l'agricoltura.

Abbiamo, è vero, qualche industria manifatturiera, ma essa vive vita tisica o stentata, e solo si sostiene grazie alle ordinazioni dello Stato, più che per virtù e rigoglio proprio.
Insomma, la vera base della ricchezza in Italia è l'agricoltura.

Ora io vi domando: perché si debbono proteggere tutte le altre industrie nazionali e per l'agricoltura non si deve far nulla?
Non è forse un'industria nazionale?
Non è forse la più nazionale delle industrie che sono in Italia?
Perché essa deve essere trattata quale Cenerentola e non si vuol fare per essa quello che si fa per tutte le altre industrie?
È logico?  È giusto?

E concludo, o signori: la crisi agraria c'è, acuta, dolorosa, esiziale.
Questa crisi potrà superarsi colla trasformazione delle colture, e questa trasformazione potrà essere facilitata da un ragionevole e largo sistema di credito, soprattutto se si arriverà a poter dare questo credito per lunga durata ed a mite saggio d'interesse.

Ma ci vuol tempo per questo, e durante il periodo transitorio io chiedo che sia adottato un provvedimento transitorio anch'esso, ma efficace e di effetto pronto. E questo potrebbe essere lo stabilimento di un dazio d'introduzione a scala mobile sui cereali esteri, parendomi questo il sistema più conveniente e quello che in niun caso può produrre gli effetti dannosi che da alcuni si temono, poiché il dazio scema man mano che il prezzo rincara, o si annulla quando vi è penuria.

Ponendo questo dazio l'Italia non si discosta da quello che fanno le altre nazioni e da quello che essa stessa ha fatto per i prodotti industriali "nazionali."

Atti Parlamentari, Camera dei deputati (15 Febbraio 1885)

 

 


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