Gian Piero de Bellis

La necessità di una strategia di sperimentazione

( Gennaio 2012)

 


 

Regolarmente, nel corso delle settimane, e soprattutto all’inizio dell’anno o alla fine di un periodo di vacanze, una persona riflette sulle cose da fare e si organizza per realizzarle, dandosi obiettivi precisi, identificando i mezzi con i quali e le fasi attraverso le quali tali obiettivi potranno, con maggiore probabilità, essere raggiunti.

In periodi di profondi cambiamenti personali e sociali la mancanza di una agenda di cose da fare si traduce in una situazione in cui (a) i cambiamenti vengono subìti, oppure (b) i cambiamenti avvengono in una direzione e con esiti opposti a quelli voluti.

Spesso succede che, in mancanza di idee chiare su cosa fare anche quando si è in una situazione di profondo scontento e di un continuo malessere personale, la risposta più semplice, l’unica a cui si riesce a dar vita, è la protesta verbale, la denuncia, con parole ed espressioni più o meno forti, di una situazione di sfruttamento e di soffocamento che diventa sempre più insopportabile.

È probabile che, prima o poi, una protesta verbale sempre più diffusa, porti a degli scoppi di violenza da parte di individui o di piccoli gruppi o addirittura a rivolte di categorie e di strati della popolazione.

Per fronteggiare una rivolta, il potere, cioè al giorno d’oggi il ceto partitico-burocratico-affaristico che occupa i posti al vertice dello stato, usa due possibili strategie:

  • Cambiare alcune parti del gruppo dirigente, le meno presentabili, in modo da salvare il grosso della casta e delle sottocaste ad esso collegate;
  • Cambiare alcuni aspetti della situazione corrente attraverso una serie di riforme mirate che accontentino certi gruppi e riducano la portata della rivolta.

L’assenza di idee chiare su quello che si vuole e sui mezzi da impiegare e i passaggi da attuare per raggiungere l’obiettivo, in altre parole, la mancanza di una strategia che si concretizzi in una agenda di cose da fare (obiettivi, mezzi, passaggi) fa sì che il potere, anche il più inefficiente, riesca, con alcuni interventi, a salvarsi in maniera ricorrente e possa continuare, per inerzia, a somministrare le sue cattive medicine che tutti finiscono per ingurgitare, anche coloro che imprecano a più alta voce.

Prendiamo ad esempio due settori in cui lo stato continua ad operare i suoi guasti:

  • i mezzi e le forme dello scambio:
  • i mezzi e le forme dell’istruzione.

Praticamente tutti noi che siamo arcistufi dello stato monopolista e sfruttatore, continuiamo a utilizzare strumenti di pagamento forniti (o meglio imposti) dallo stato. Inoltre, quasi tutti noi abbiamo frequentato scuole statali e, coloro che hanno figli, continuano a mandare i loro figli in scuole statali, o in scuole i cui programmi sono dettati dallo stato.

Questa è purtroppo la situazione attuale nella quasi generalità dei casi.

Comunque, il problema non è soltanto che molti si trovano costretti ad accettare una realtà a loro profondamente sgradita. Il problema più serio deriva dal fatto che, a fronte di una marea infinita di discorsi ideologici, di imprecazioni rabbiose, di parole durissime contro mille bersagli di natura diversa, poco o nulla è stato espresso e realizzato riguardo alla pratica, sperimentazione e costruzione di mezzi di pagamenti e di modelli educativi alternativi. Arrivo a dire che anche il dibattito su tutto ciò è addirittura quasi inesistente. Si è più portati a discutere di signoraggio, di crollo dell’euro e di ritorno alla lira, di anarco-comunismo e di anarco-capitalismo, di scuola Austriaca e di Milton Friedman, piuttosto che far partire una serie di progetti sperimentali che ci portino al di là della carta straccia prodotta dallo stato (nota sotto il nome di moneta a corso legale), e della spazzatura propagandistica fatta circolare dallo stato (nota sotto il nome di istruzione pubblica).

Purtroppo, lottare contro il vecchio attraverso il chiacchiericcio politico-ideologico serve solo a logorare gli individui e a perpetuare il potere; quello di cui c’è bisogno è la creazione e attuazione del nuovo di modo che il vecchio risulti poi, nei fatti, accantonato e superato definitivamente.

Invece, se la politica e il giornalismo, basati entrambi sulla produzione di aria fritta, continuano a farla da padroni anche presso coloro che si rifiutano di sottostare ai padroni, io credo che non ci sia da farsi molte illusioni in termini di liberazione dallo stato padronale.

Ad ogni modo, essendo la speranza l’ultima a morire, ed essendo la voglia di liberazione qualcosa che, per taluni, non potrà mai finire, suggerisco di iniziare a occuparci attivamente di questi temi (mezzi di scambio, mezzi di istruzione) per arrivare poi a definire e a far partire progetti sperimentali concreti al riguardo.

A tale proposito vorrei formulare nei mesi a venire alcune proposte che vadano poi a costituire una Agenda di cose da fare e che tutto ciò, nella migliore delle ipotesi, stimoli o sfoci, prima o poi, in interventi sperimentali concreti.

 


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