Gian Piero de Bellis

La rivoluzione che (forse) per alcuni non verrà

(Aprile 2013)

 


 

Una persona che si tiene al corrente di quello che avviene al giorno d’oggi in varie parti del mondo non può non essere ottimista riguardo agli sviluppi futuri, anche se con moderazione e senza entusiasmi irrazionali. L’ottimismo deriva da due constatazioni di base:

  • la tecnologia (comunicazione, produzione) sta avanzando continuamente e sta mettendo a disposizione di moltissimi individui strumenti di informazione e di azione che era fantascienza immaginare solo alcuni decenni fa;
  • la politica e i centri di potere (lo stato e le sue ramificazioni) stanno attraversando una crisi epocale, in termini di mancanza di risorse e di credibilità, e la fine del loro dominio è molto probabile.

In sostanza il nuovo (liberazione) sta avanzando e il vecchio (imposizione) sta marcendo. Quindi, da molti punti di vista le prospettive per gli individui liberi e le comunità volontarie che essi andranno a formare sono abbastanza buone.
Ma il discorso si complica se andiamo a vedere più a fondo la situazione, soprattutto culturale, di talune persone. Per alcuni il cambiamento rivoluzionario che si sta attuando, giorno dopo giorno, non avrà (forse) mai luogo a livello personale e, quando avverrà a livello sociale, con alcune rotture e modifiche scioccanti, essi saranno del tutto impreparati. E questa loro impreparazione proviene essenzialmente da due convinzioni profondamente radicate:

  1. Essi pensano che la crisi che stiamo vivendo (a partire dal 2008) sia soltanto una battuta d’arresto nella crescita economica, provocata dalla cattiva amministrazione dello stato, che rimane l’organismo essenziale di governo delle società. E se solo altri (il loro partito o movimento) subentrassero nella gestione, la crisi sarebbe superata in tempi relativamente brevi.
  2. Per superare la crisi queste persone, qualunque sia la loro ricetta (più stato – meno stato) fanno sempre riferimento a ideologie dei secoli passati (socialismo, liberalismo) e a figure del secolo passato (se solo avessimo un Roosevelt, se solo avessimo una Thatcher) da cui essi traggono tuttora ispirazione.

Dovrebbe invece essere chiaro che ideologie (politiche) del passato e figure (politiche) del passato sono strumenti spuntati rispetto alle novità tecnologiche e culturali del presente. Infatti, la politica è sempre vissuta di espedienti buoni per il momento contingente ed è quindi difficile se non impossibile trarre da essa insegnamenti di valore universale validi per il futuro.

Allora, se qualcuno è davvero intenzionato a favorire un cambiamento rivoluzionario, tre passaggi risultano essenziali:

  1. abbandonare i vecchi paradigmi basati su vecchie ideologie che hanno tutte finito per fare riferimento allo stato (lo stato assistenziale, lo stato minimo, lo stato popolare, lo stato liberale, lo stato a bassa tassazione, lo stato fornitore esclusivo di sicurezza, e altre amenità di questo genere);
  2. abbandonare le vecchie parole che non hanno più alcun significato e che non sto neanche più ad elencare tanto sono logore e assurde. Per sapere a cosa faccio riferimento basta sentire i discorsi di un uomo politico o leggere i giornali.
  3. abbandonare le vecchie contrapposizioni e, se possibile, anche tutti i contrasti tra persone e gruppi, per concentrarsi sulla unica vera contrapposizione: quella tra gli individui liberi e le comunità volontarie da una parte e gli apparati degli stati territoriali, padronali e monopolisti, dall'altra.

Concentriamoci su quest’ultimo aspetto perché è quello che divide, in maniera fuorviante, persone che potrebbero benissimo lottare assieme per la liberazione dallo stato.
Nell’universo culturale di molte persone sono state instillate queste due contrapposizioni, a cui sono fatti corrispondere interessi contrapposti:

  • privato (individuo)
  • pubblico (società)

Il 13 Luglio 2012, il presidente americano Barack Obama ha tenuto un discorso su cui si è sviluppato un acceso dibattito. Sosteneva il presidente che il successo dell’individuo è il risultato di tutta una serie di aiuti e supporti sociali di cui il singolo aveva goduto. L’individuo, da solo, sarebbe stato in grado di compiere poco o nulla.
Contro questa posizioni si sono levate le voci di coloro che invece ritengono l’individuo il centro e il motore di tutto; per essi tutto è opera dei cosiddetti self-made men.

Lo schierarsi a sostegno dell’una o dell’altra tesi, a favore dell’uno o dell’altro campo, ha caratterizzato, caratterizza e probabilmente caratterizzerà i discorsi politici negli anni a venire. Ma se uno riflette criticamente e serenamente su queste due posizioni si rende ben presto conto che esse, non solo sono entrambe fallaci, ma presentano entrambe un mondo che non esiste o che, qualora esistesse, non sarebbe affatto attraente in una prospettiva di liberazione.

In sostanza, quando Obama (e con lui molti altri) pensa alla società, lui fa riferimento allo stato e in particolare allo stato assistenziale. E gli oppositori di Obama, quando pensano all’individuo, fanno riferimento ad un essere intraprendente e indipendente, come raffigurato nei romanzi di Ayn Rand, che domina la realtà circostante e che non deve niente a nessuno per quanto riguarda il suo successo personale.

Queste due visioni, che pur sembrano così diverse e distanti, sono in effetti molto simili. Innanzitutto sono entrambe abbastanza irreali e del tutto unilaterali, in quanto mettono in luce solo l'aspetto che fa comodo ai loro sostenitori. In entrambe poi si concepisce il mondo esterno come composto di entità impersonali (lo stato, il mercato) e di atomi (i sudditi, i consumatori, gli imprenditori, i lavoratori) e il contendere è solo su chi è più importante e dovrebbe contare di più.

Questa visione è il prodotto della Rivoluzione Francese che ha dato vita allo stato moderno. Infatti l’entità stato, nelle sue due forme di stato liberale e di stato socialista, ha via via sbarazzato il campo di tutte le espressioni sociali sorte nel corso dei secoli (le città libere, le comunità locali, le associazioni, le gilde, le confraternite, le società di mutuo soccorso, ecc. ecc.) e ha promosso due sole realtà sostanziali: la società-stato e l’individuo-atomo.

In sostanza, i liberali (padronali) e i socialisti (autoritari) a cui dobbiamo la formazione dello stato moderno hanno distrutto, nel corso della storia che li ha visti al potere, tutti i corpi intermedi autonomi che si frapponevano tra lo stato (o altre entità impersonali) e l’individuo. Per questo entrambi fanno davvero fatica a concepire un “individuo relazionale” che deve il suo sviluppo sia a sé stesso che agli altri. Un individuo che si è sviluppato sulla base di una fitta trama di supporti reciproci che egli stesso, assieme ad altri, ha costruito, e di cui è benefattore e beneficiario al tempo stesso.
Questa trama è visibile dappertutto (a partire dalla famiglia). Essa opera in tutti i campi, da quello delle scoperte scientifiche in cui l’inventore produce qualcosa di nuovo sulla base dei contributi precedenti, a quello della produzione industriale in cui i miglioramenti sono il risultato di molteplici apporti, passati e presenti.

Al contrario, coloro per i quali l’essere umano relazionale (il singolo e le sue relazioni sociali) costituisce il nocciolo della realtà non sanno che farsene della contrapposizione individuo-società. E per quanto riguarda il binomio pubblico-privato, nella maniera in cui viene presentato, cioè in termini di alternativa, appare ad essi soltanto come una grande impostura.

In sostanza sia i sostenitori del prevalere del pubblico che i sostenitori del prevalere del privato hanno una visione monca e tutto sommato distorta della realtà. Essi non si rendono conto che l’esistenza degli individui è fatta di relazioni sociali, di scambi reciproci, di dare e ricevere, di contributi e di aiuti, in cui l’essere umano singolo è il prodotto della società e la società è il prodotto dei singoli individui. E in tutto questo, lo stato (di matrice liberale o socialista) non è altri che il padrone prepotente e impiccione che può esistere solo perché gli individui sono stati trasformati, dalla propaganda ideologica e dall'azione politica, in atomi-sudditi-dipendenti, isolati e manipolati.

In definitiva, la rivoluzione verrà per tutti solo quando la maggior parte delle persone, parlando di società, faranno riferimento a gruppi e comunità volontarie; e parlando di individui, faranno riferimento ai membri attivi che compongono questi gruppi e comunità volontarie. E questo senza che si creino nel loro cervello e nella loro realtà quotidiana contrapposizioni inventate.

Fino a quando ciò non si verificherà i “socialisti” identificheranno la società con stato, e cioè con una entità per essi indispensabile per la protezione degli individui più deboli (ed essi non saranno mai in grado di concepire-diventare esseri liberi); e i “liberali” vedranno gli individui come atomi autosufficienti e saranno incapaci di organizzarsi come gruppo contro lo strapotere dello stato (ed essi non saranno mai in grado di concepire-dar vita a comunità volontarie).

E in tal caso, per essi, la rivoluzione (forse) non verrà.

 


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