Gian Piero de Bellis

La società della disinformazione

(Maggio 2013)

 


 

Il peso, in termini quantitativi e qualitativi, che ha assunto l’informazione nelle società avanzate nel corso degli ultimi decenni ha fatto sì che esse siano state definite da alcuni sociologi come società dell’informazione.
Con l’introduzione di Internet (l’infrastruttura tecnologica della rete) e del World Wide Web (l’interfaccia e il protocollo di comunicazione) questa definizione è ancora più pertinente.
Adesso non solo è possibile ma è anche un dato reale il fatto che miliardi di persone facciano circolare informazioni dappertutto nel mondo, in maniera rapida e semplice. Basta un click.

In sostanza le persone hanno a loro disposizione strumenti di diffusione dell’informazione che non aveva neanche il ministro della propaganda di uno stato autoritario nella prima metà del secolo scorso. Lui era limitato dalla tecnologia del tempo (giornali, radio) e dal fatto che il suo messaggio raggiungeva agevolmente solo la popolazione dello stato in cui operava. Adesso invece siamo in presenza di (a) una varietà degli strumenti di produzione e diffusione dell’informazione (computers, telefonini, tavolette), (b) disponibili a livello personale e (c) operativi a livello globale.
Per fare solo due esempi, il video di una (allora) perfetta sconosciuta, una certa Susan Boyle, è stato visto, secondo alcune stime, da 100 milioni di persone e ha contribuito a decretarle una popolarità mondiale. E il video della pop star sudcoreana Psy è stato visionato da più di un miliardo di persone.

Non c’è quindi da dubitare che gli strumenti a nostra disposizione per produrre, diffondere, e utilizzare informazione sono incredibilmente potenti.
È necessario allora porsi la domanda se, a questa potenza tecnologica, corrisponda un equivalente e appropriato potere intellettuale di noi individui, fatto non solo di perizia a padroneggiare il mezzo tecnico ma, anche e soprattutto, di capacità a padroneggiare l’informazione con senso critico, abilità documentaria e umana saggezza.
Ciò è importante perché, in mancanza di tali capacità e a fronte di una massa enorme di informazioni, noi rischiamo di essere solamente il nastro moltiplicatore di un colossale effetto GIGO (garbage in - garbage out). Con l’espressione GIGO si indica il fatto che, se una persona fa entrare nel circuito informazione-spazzatura e la ridiffonde, ciò che ne viene fuori non è altro che informazione-spazzatura.

Chiaramente nessuno o quasi, volutamente e apertamente, decide di far circolare informazione-spazzatura. Dobbiamo però tenere conto del fatto che le persone hanno interessi particolari e opinioni talvolta assai strane che possono condurle a mettere in circolo informazioni non veritiere o in una forma mistificante solo per difendere certi interessi e sostenere certe opinioni.

In particolare, le persone che hanno potere o disponibilità finanziarie notevoli, hanno anche molti interessi da difendere e possono benissimo pagare altre persone (intellettuali, giornalisti, lobbisti, esperti in pubbliche relazioni) perché:

  1. Presentino l'informazione funzionale al consolidamento del loro potere (contenuto), nascondendo o minimizzando tutto ciò che potrebbe metterlo in pericolo;
  2. Presentino l'informazione in maniera funzionale al mantenimento del loro potere (forma), ad esempio con titoli studiati per suscitare opportune emozioni a loro convenienti.

Attraverso un martellamento continuo, la massa è poi portata ad accettare quelle informazioni come una realtà di fatto. Una volta che ciò avviene, i meccanismi psicologici dell'essere umano comune fanno sì che egli sia più propenso a prendere in esame ed accogliere ulteriori informazioni che rafforzano ciò in cui già crede, e a ignorare o tralasciare tutto ciò che potrebbe mettere in questione le sue credenze consolidate.

Uno studioso americano, Leon Festinger, ha esaminato questa dinamica in un libro intitolato A Theory of Cognitive Dissonance (1957). In quel testo, Festinger avanza l’ipotesi che gli individui evitano dati che potrebbero entrare in contrasto con le loro opinioni più radicate in quanto questo provoca un disagio psicologico (ambiguità, incertezze, paure). E invece accettano, senza porsi ulteriori questioni, tutti i dati che sostengono e rafforzano le convinzioni che essi già hanno.

Per esemplificare ciò, facciamo riferimento alla realtà corrente. Nella fase attuale di crisi economica in alcuni paesi dell’Europa occidentale, colui che ritiene che l'euro (la moneta comune) sia all'origine dei problemi economici vissuti da molti cittadini sarà portato a:

  1. selezionare tutti gli articoli che, nel loro titolo, indicano che la moneta unica ha generato disastri;
  2. diffondere presso amici e conoscenti (ad es. tramite conversazioni o via Facebook) ogni presa di posizione volta a rafforzare tale tesi.

La fede nella bontà della propria opinione arriva al punto che non solo la lettura di articoli che sostengono altre tesi è evitata ma spesso si trascura anche la lettura dell'articolo in questione che potrebbe anche contenere informazioni aggiuntive non in sintonia con il titolo e la lettura dei commenti che potrebbero gettare dubbi sulla tesi. Tutto ciò è considerato superfluo in quanto l’opinione è ritenuta incontrovertibile (non falsificabile e non modificabile).
In questo caso, cercando di annullare la dissonanza cognitiva l’individuo cancella (non seleziona e mette da parte) ciò che entrerebbe in contraddizione con la sua opinione radicata, anche se si tratta di esperienze personali quali, ad esempio, la crisi economica profonda e continua – designata con il termine di stagflazione = stagnazione + inflazione – che ha caratterizzato, negli stessi paesi, il periodo anteriore all'introduzione dell'euro.

L’errore che si compie è quello di sostenere in maniera fideistico-dommatica una certa credenza che, facendo parte del mondo dei fatti verificabili, dovrebbe invece essere soggetta ad analisi critica e a verifica attenta. E, come le persone religiose, sotto l’influsso del clero, lasciavano agli uomini di Chiesa l’interpretazione della Bibbia e l’enunciazione della verità, così, i laici lasciano ai nuovi chierici, intellettuali e giornalisti, l’interpretazione dei fatti e si limitano a far circolare le notizie da costoro confezionate, senza effettuare alcun accertamento, ma accontentandosi semplicemente del fatto che le informazioni fatte circolare sono in sintonia con le loro opinioni.   

Il fatto è che i chierici dell’informazione sono al servizio dello stato (o dei padroni legati allo stato) e le quantità enormi di spazzatura informativa che essi producono ha come unico scopo quella di essere funzionale ai bisogni del potere-stato. E quali sono questi bisogni?

In una situazione di decomposizione dello stato, in cui i soggetti detentori del potere sono allo sbando, alla ricerca di una giustificazione del loro esistere, l’invenzione di conflitti fasulli, di ipotetici scontri di civiltà, la scoperta di nemici esterni (i tedeschi, i musulmani, gli extra-comunitari, ecc.) e interni (i comunisti, i liberali, il mercato, ecc.) è il percorso obbligato e collaudato per una riproposizione, in grande stile, dello stato nel suo ruolo di garante della sicurezza di tutti e di protettore di una fantomatica identità culturale.
Quindi, talune persone, che pure sono decisamente critiche dello stato, finiscono poi per comportarsi come pedine inconsapevoli di rilancio dello stato, attuato attraverso la propagazione di contrapposizioni fasulle volte a generare fissazioni demenziali (noi i buoni – loro i cattivi).

Il gioco ha funzionato in passato e funziona spesso anche nel presente vista la facilità con cui le persone abboccano a rilanciare notizie, anche le più inverosimili.
Per questo l’avvenire può riservarci, nel breve periodo, anche sorprese molto sgradite, e non è esagerato parlare, con riferimento a taluni casi, di una società della disinformazione.
Ma nel lungo periodo ritengo che si possa essere fiduciosi per due motivi principali:

  1. gli stessi strumenti che agevolano la disinformazione possono essere utilizzati anche per la controinformazione;
  2. le persone e i gruppi di persone che diffondono disinformazione diventano poi vittime della loro stessa disinformazione o perché perdono di credibilità agli occhi di molti una volta che le informazioni da essi diffuse vengono smascherate come prive di fondamenta, o perché finiscono per perdere il senso della realtà e quindi perdono la capacità di capire e padroneggiare la realtà.

In linea generale, tranne casi di persone che coscientemente producono disinformazione (modello Goebbels) tutti noi, per ignoranza, superficialità o ingenuità, possiamo essere vittime o agenti di disinformazione. Si tratta allora, non appena ci si rende conto di ciò, di dichiararlo apertamente e di fare opera di correzione-controinformazione.

Abbiamo a nostra disposizione strumenti potentissimi. Utilizziamoli per diventare tutti noi potenti sotto il profilo cognitivo e gestionale, in modo da non avere affatto bisogno di “potenti” esterni che manipolano le nostre opinioni e gestiscono le nostre vite.

 


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